Il “pensiero di un maestro di sci” di oggi si intitola “Come governare le escursioni”.
Qui si rischia di non vedere i tanto attesi ristori. La crisi di Governo sta rallentando l’approvazione, che doveva essere votata proprio in questi giorni, del nuovo decreto Ristori, quello dove finalmente anche alla montagna veniva riconosciuto il pesantissimo danno economico avuto per questo prolungato lockdown.
Con tanto di contributi da destinare alle varie categorie colpite, dagli impiantisti agli albergatori, dai maestri di sci agli stagionali, ecc.
E adesso? Chi di queste cose se ne intende, i costituzionalisti, dicono che nonostante la paralisi istituzionale, il Governo dovrebbe comunque – obbligatoriamente – (come la legge lo impone) votare a breve e a larga maggioranza questo decreto, dove sul piatto ci sono ben 32 miliardi di euro, effetto dello scostamento di Bilancio approvato da tutti i parlamentari, della maggioranza e dell’opposizione.
Auguriamoci che tutto si risolva in tempi brevi, anche perché di ritardi e rinvii la montagna ne ha già subiti fin troppi. Col risultato di essere sempre in… attesa, come per il 15 febbraio.
Esponenti della maggioranza di Governo, nei salotti televisivi, parlano di come gli impianti di risalita siano ancora oggi una possibile fonte di contagi, con il solito e stucchevole paragone con le scuole chiuse o a “mezzo servizio” per gli studenti.
Dunque, “zitti e buoni, ci sono i ristori”, sempre che arrivino e che siano sufficienti.
Due sono state le categorie più colpite in questo lockdown, e continuano a esserlo: i bar e ristoranti (mettiamoci dentro pure i rifugi) e la montagna, intesa come lavoro.
Tutte realtà penalizzate da provvedimenti discutibili. Distanziamenti e ingressi contingentati per bar e ristoranti e spese di realizzazione a carico dei gestori, poi obbligati a chiudere.
Al contrario dei centri commerciali, aperti e vietati il sabato e la domenica, ma il virus, è risaputo, circola solo nei fine settimana!
È consentita la pratica dello sci alpinismo e delle ciaspole (per fortuna!) ma poi, per chi adesso ha la fortuna di abitare nello stesso territorio o possedere una seconda casa, trova queste strutture chiuse o è costretto, se turista di giornata, a pranzare al freddo per via dell’asporto.
Vogliamo poi parlare, sempre a proposito di ingiuste penalizzazioni, di un altro tipo di assembramento, quello, già oggetto di tantissime discriminazioni, agli impianti di risalita?
Con gli ingressi contingentati, il mantenimento delle distanze, gli skipass venduti “on line” e con un numero chiuso del 50%, di quali pericoli di contagio stiamo parlando?
Persino il CTS, bontà sua, si è espresso, anche se in modo non troppo chiaro su alcuni punti, sulle linee guide da seguire per aprire in sicurezza (e ovviamente con spese a carico delle società degli impianti e di chi ha attività commerciali, i già citati bar, ristoranti, rifugi e alberghi).
Paragonare, come qualcuno sostiene, le funivie ai mezzi pubblici, che non hanno personale per controllare le salite e le discese alle fermate, è ridicolo, assurdo. Da noi esistono i tornelli (questi sconosciuti), che bloccano gli sciatori al superamento del numero stabilito per l’accesso in cabina.
Anche se poi la maggior parte dei nostri impianti sono seggiovie, con trasporto all’aria aperta. Ma qualcuno lo dimentica. I protocolli per la montagna esistono, si possono applicare sin da subito. Non si capisce il motivo di questi ritardi, se non quello di voler affossare un comparto turistico, quello dello sci, che da solo vale il 13% del nostro turismo. Roba non da poco!
Walter Galli
P.S. Vietati gli spostamenti da Regione a Regione, se non per…, ormai ci conviviamo con questi permessi e li conosciamo, pure nelle varianti “colore”.
Però non prendiamoci in giro: la risposta è nel traffico di tutti i giorni sulle strade, autostrade e in città, oltre che nei supermarket e nei centri commerciali, quando sono aperti. Altolà agli impianti: sci alpinismo e ciaspole bastano e avanzano per far quadrare i conti del turismo di montagna. come governare le escursioni