Tecnica

Così Sofia Goggia si è rimessa in piedi. Il Lavoro con Matteo Artina

Così Sofia Goggia si è rimessa in piedi. Il Lavoro con Matteo Artina. I risultati ottenuti da Sofia Goggia al suo rientro dopo il brutto infortunio patito il 5 febbraio scorso a Pontedilegno, richiamano facilmente al miracolo. Sappiamo bene quanto sia dura anche per delle top player tornare ad essere competitivi dopo dieci mesi e senza il consueto ritiro in Sud America. Poiché i miracoli possono capitare una volta su un milione, abbiamo voluto approfondire che tipo di lavoro ha fatto Sofia per tornare così vincente fin da subito. Così abbiamo interpellato il suo preparatore atletico Matteo Artina che ha iniziato a seguirla dal dicembre 2023, dopo un primo rapporto avvenuto nel quadriennio olimpico di Pyeongchang.

Matteo era a Pontedilegno quel giorno…
Si, c’ero, è stato davvero un momento difficile. Era il 5 febbraio ma dopo cinque giorni eravamo già al lavoro.

Scherzi?
Confermo, di fatto non abbiamo mai staccato.

Un motivo in più per raccontare quello che molti definiscono un miracolo…
Non è un miracolo, metti insieme l’unicità di Sofia e un lavoro di squadra di qualità e il risultato è quello che hai visto. 

Come bere un bicchier d’acqua…
Non voglio essere retorico e mettere su il solito disco, ma l’obiettivo raggiunto lo si deve proprio a questo, a uno staff che si è stretto attorno a lei e a lei che ha saputo tenerlo assieme, nel pieno rispetto dei ruoli. Sofia è una calamita, ti coinvolge, è stimolante; raramente si ha a che fare con atleti che riescono a dare risposte così determinate in un percorso del genere..

Tolto il gesso era scesa molto?
Sì, è la conseguenza del periodo di immobilità e privazione del carico. Con questi atleti, però, il fatto di farsi male alla mattina, essere operati alla sera e seguire poi un iter anticipato fa tantissimo in termini di recupero e contenuti. Il polpaccio ovviamente era inesistente, così come si era abbassata notevolmente la forza contrattile, ma abbiamo potuto concentrarci su altri gruppi muscolari, adduttori, ischiocrurali (muscoli posteriori della coscia), glutei, per essere pronti nel momento in cui avrebbe ricominciato ad appoggiare il piede e caricare la gamba. Gli scarponi li ha rimessi una volta recuperato un volume adeguato del polpaccio, ovviamente dopo l’ok dei medici. 

Va bene, dai, racconta…
I dettagli hanno fatto la differenza. Abbiamo potuto lavorare tutti, dall’ortopedico alla fisioterapista, dall’allenatore allo skiman fino alla parte di mia competenza, senza perdere un solo minuto di intensità e qualità. La base è stata costruire le condizioni perché Sofia potesse lavorare al meglio. Mi riferisco all’approccio mentale. Con tutto il suo passato, durante una stagione così positiva, un nuovo infortunio poteva creare una condizione demoralizzante. Tutti abbiamo rispettato le sue necessità, i suoi tempi. Ognuno di noi ha anteposto questo aspetto al lavoro pratico previsto dalle diverse competenze. Quindi non è soltanto un fatto di tabelle o schemi per recuperare la salute fisica.  

Parli soprattutto del periodo post chirurgico?
Quella fase, parliamo dei primi due mesi, ha interessato soprattutto lo staff della commissione medica Fisi guidata dal dottor Panzeri che ci ha fatto un po’ da faro. Intendo, come dosare i carichi, quanto concentrarci sulla ripresa muscolare prima analitica e poi globale sulla caviglia piuttosto che sull’arto inferiore. Ci siamo quindi dedicati a un graduale mantenimento di tutte le capacità fisiche «attorno» all’infortunio, ovvero la forza del tronco e la parte alta del corpo. E poi le qualità aerobiche utilizzando alcuni attrezzi specifici adattati. Un vogatore che permetteva di spingere con una sola gamba e quella incidentata su uno skateboard, o uno skierg usando una panca dove appoggiare il ginocchio per avere comunque una sorta di appoggio bipodalico.  

Quando avete iniziato a «caricare?»
In maniera molto graduale. Questa è stata forse la fase più difficile del nostro lavoro. L’ortopedico avvisa di procedere in modo progressivo e crescente, ma trovare un modo per misurare la progressività del carico non è semplice. Così ci siamo affidati ad un file di excel per identificare come calcolarlo. Ho usato una unità di misura fittizia (unità di carico), frutto del rapporto tra il carico assiale (ad esempio una spinta di 20 kg) e il tempo (le ripetizioni). Quindi ho stabilito i protocolli da seguire da lì a salire. Siamo andati avanti così per un mese e mezzo.

Hai utilizzato apparecchiature particolari?
Un treadmill che, sollevandola, le toglieva carico. Ci ha consentito di ripristinare lo schema motorio di base del cammino, altra fase molto importante, in avanti, all’indietro, di lato, poi con un passo più veloce, poi la corsa, poi le salite e altri esercizi. Abbiamo usato quindi la assault bike, strumento abbastanza complicato dal momento che bisognava capire quanto era lecito spingere. Poi molta inventiva, tante idee anche con attrezzature tutto sommato semplici. E infine abbiamo tenuto in considerazione gli impegni istituzionali che la obbligavano a stare tanto in piedi, fatto che non potevamo trascurare. Questo periodo ci ha permesso di lavorare molto sulla parte alta, situazione che l’allenatore, Luca Agazzi, ha poi sfruttato per perfezionare la fase di partenza dove Sofia aveva margine di miglioramento. E per il momento devo dire che sono molto soddisfatto! 

Riusciva a lavorare bene su un piede solo?
È una questione di determinazione, ed è davvero difficile descrivere quanta ne possiede Sofia. E forse è anche qui che si vede la differenza tra una brava atleta e una fuoriclasse. È un dono di natura, o il risultato di tanta attitudine ben indirizzata. Non ho una certezza su questo, ma in lei la determinazione la vedo davvero tutti i giorni.

Siete andati anche a Salisburgo?
Andare al centro Red Bull è stato importante per eseguire dei test di valutazione sia del recupero dall’infortunio che per la condizione atletica. Per capire come lavorare ci servivano dei parametri che indicassero quanto Sofia dovesse recuperare dal punto di vista condizionale. 

Quando avete iniziato a lavorare sulla forza?
Ai primi di maggio, quindi quando aveva ancora le piastre. Ovviamente con molta cautela, più che altro per iniziare a costruire un po’ di massa muscolare. Raggiunto un primo livello accettabile, senza aver incontrato alcun problema, abbiamo ripreso un altro tipo di lavoro che andava sicuramente approfondito: agilità e coordinazione. E ci abbiamo dato dentro, direi per tutta l’estate, senza mai però mollare la costruzione fisica. 

Agilità e coordinazione, è stato questo il segreto?
È stato tutto l’insieme, ma credo abbia giocato un ruolo importante. Personalmente la ritengo una delle parti più importanti in termini di prestazione. Ad esempio, approssimando un po’, se un atleta che deve sollevare 100 kg in una specifica giornata, ne solleva 95, quindi 5 in meno, non cambia nulla, va bene lo stesso. Ma dinnanzi a un esercizio di coordinazione l’alternativa a farlo bene è non riuscirci proprio. E questo genera una sensazione a volte frustrante, un senso di incapacità che incide non poco sull’emotività. È il grande limite che hanno molti atleti. C’è chi insiste ripetizione dopo ripetizione fino a quando l’esercizio funziona, e chi invece perde attenzione, si irrita e si ferma. 

E come se l’è cavata?
Secondo te? Sofia insiste fino a che le cose arrivano, è il suo carattere.

Poi la decisione di togliere i mezzi di sintesi…
Ha fatto una scelta molto coraggiosa. L’ha ponderata, e infine me l’ha comunicata. Mi ha chiesto un parere e, per quanto mi riguarda, ciò che lei sente essere meglio per lei, a me sta bene.  Le ho chiesto soltanto una cosa, cioè se fosse disposta a sacrificare un po’ delle vacanze d’agosto per dedicarsi a un piccolo percorso pre-operatorio. Dovendosi fermare per un paio di settimane, un po’ di costruzione muscolare sarebbe stata conveniente.

Immagino la risposta…
Esatto, un sì granitico, senza un minimo di incertezza. In questo modo abbiamo potuto concentrarci sulla forza base, che non ha avuto una valenza particolare sulla performance, ma si è rivelata fondamentale quando abbiamo affrontato la fase successiva riservata alla potenza. E anche qui, chapeau. 

La programmazione su coordinazione e agilità è stata una specie di scommessa?
Una scommessa, nella misura in cui fa parte della mia visione di come si costruisce la performance a tutto tondo, ovvero portare Sofia ad avere un vocabolario motorio più ampio possibile. Una soddisfazione, nel vedere tutte le persone dello staff riporre fiducia incondizionata sulla mia visione del lavoro fisico.

Vedi, gli esercizi di coordinazione si stanno un po’ standardizzando, sono sempre i soliti quattro, certamente misurabili ma ciclici, prevedibili e con uno scarso tasso di difficoltà. Uno sciatore invece vive in un mondo dove «anticipazione» e «adattamento» sono le parole d’ordine. E allora bisogna fare i conti con la capacità di prestazione psicomotoria (vedi «Affordance» nel box accanto).

Scarse qualità coordinative possono produrre atleti con valori assoluti di forza o resistenza spaventosi,

che però poi non trovano un riscontro con la capacità di esprimere le medesime qualità sulla neve. In questo passaggio, ampliare il bagaglio motorio attraverso ad esempio la «differenziazione cinestesica» (vedi la voce nel box) porta l’atleta ad avere un’incredibile percezione corporea, con effetti importanti, prestativi e tecnici. Quando un allenatore ti chiede di eseguire un esercizio o una correzione sulla neve, presumibilmente arrivi all’esecuzione corretta con tempi ridotti, lasciando spazio ad altri approfondimenti. Ecco, con Sofia abbiamo lavorato moltissimo sull’agilità e ci siamo anche divertiti! 

Esercizi esclusivi?
Ce ne sono a tonnellate nella «nostra» letteratura, ma la parte più difficile non è capire cosa fare, ma trovare un atleta disposto a impegnarsi in situazioni se vuoi complicate rispetto a un percorso semplice e che ti dà subito un riscontro numerico. Sofia ha lavorato tanto per migliorare la qualità dei suoi movimenti, l’agilità, le capacità di tipo pliometrico. Si tratta di ripetizioni ad oltranza, oscillando tra errori ed esecuzioni corrette, tra sentirsi a proprio agio o impacciata. È una questione di volontà, di attitudine.  

Quindi più coordinazione e meno muscoli?
Servono entrambi, ma credo che per raggiungere il massimo livello nello sci di oggi serva soprattutto atletismo, in senso stretto. Il vantaggio di avere confidenza col proprio corpo è assoluto. Ci arrivi con esercizi di agilità giocando molto sull’efficacia esecutiva di gesti non-programmati. Devi far sì che il tuo corpo sia utilizzato dal sistema nervoso in una programmazione denominata «feed-forward» (vedi box). Interpreto lo sci come una disciplina che deve tutto alle capacità neuromuscolari -piuttosto che quelle metaboliche- per cui l’anticipazione motoria diventa una condizione indispensabile.

Non vorrei essere troppo lezioso, ma per questo motivo è importante avere più informazioni possibili in ingresso, ovvero sapere per metà cosa succede al mio corpo nello spazio e per metà cosa fa il mio corpo. Tanta percezione, orientamento spaziale, capacità di combinazione motoria, reazione a stimoli complessi. Ma soprattutto visualizzazione, perché nell’istante in cui l’atleta deve fare un movimento, nel suo sistema nervoso ci deve già essere l’immagine di sé stesso mentre lo esegue. E su questo Sofia è incredibile! Le chiedi di fare un esercizio, glielo descrivi verbalmente, volutamente non lo esegui, lei chiude gli occhi, traduce le parole in movimenti, li apre e lo fa giusto. Non a caso la scelta delle linee nei passaggi chiave è uno dei suoi punti di forza.

Hai detto feed-forward, ovvero anticipo?
Esatto, lo sciatore non ha tempo di verificare se il movimento eseguito è corretto, perché nel momento in cui si accorge che c’è qualcosa di sbagliato la curva se n’è bella che andata! Certo, ha ancora possibilità di effettuare correzioni, ma solo per recuperare la linea e salvare la curva successiva, ma non posso far altro che gestire le conseguenze di ciò che ho fatto prima. Dare del tu al proprio corpo significa facilitare la necessità di agire di anticipo. Attenzione però,  non voglio farla troppo facile. Dietro a questo concetto c’è tutto un corollario di dettagli indispensabili. Perché se l’atleta, ad esempio, è molto rigido alle anche e non ha un tilt corretto di bacino (squilibrio nella posizione pelvica della colonna vertebrale e del bacino), ogni due giorni ha mal di schiena, indipendentemente dalle sue capacità coordinative e condizionali. 

Sofia è una perfetta esecutrice o vuole sapere cosa c’è dietro a un esercizio?
Sofia vuole sapere per che cosa sta impiegando il suo tempo. È bellissimo questo, prima di tutto perché si crea un dialogo. Dal mero esecutore che non chiede difficilmente arriveranno dei feedback. Durante l’allenamento abbiamo sempre dei momenti di confronto, sulle reciproche aspettative, ovvero il raggiungimento degli obiettivi. È capitato che io fossi soddisfatto sull’esecuzione di alcuni esercizi, mentre lei nutriva qualche dubbio e allora il confronto si è rivelato fondamentale per proseguire il cammino con la massima serenità. Riguardo poi agli esercizi di forza o al lavoro metabolico, è preparatissima. Conosce perfettamente i range di frequenza cardiaca, i watt… E sai quel è il vantaggio? Si chiama consapevolezza: avere memoria e contezza del proprio percorso e dei traguardi raggiunti in allenamento, porta un atleta a uno stato di maggior fiducia nei proprio mezzi nel momento della gara. E gli stati d’ansia diminuiscono.  

Stiamo sconfinando nel mondo della psicologia?

Ho avuto la fortuna di potermi confrontare negli anni con numerosi psicologi. Lo scopo non è mai stato quello di padroneggiare la loro materia, ma piuttosto imparare tutto quello che poteva farmi evitare di commettere errori. A volte basta una parola sbagliata, detta in buona fede, o la cattiva interpretazione di un gesto o di uno sguardo, per mettere in discussione l’intero lavoro o determinare un rapporto poco lineare, negativo.

Quello che ho capito molto bene è che creare un rapporto d’amicizia con l’atleta può essere sconveniente. Non è necessario entrare nella vita privata e conoscere il diario di bordo quotidiano per sapere come gestirlo. Esistono segnali comunicativi che sono sempre lì, davanti agli occhi. Quindi, ti chiedo come stai, ma non cos’hai fatto la sera prima. Mi concentro piuttosto su altri aspetti, ad esempio intuire lo stato d’animo di quel giorno.

L’empatia è fondamentale per costruire un dialogo funzionale al lavoro. Con Sofia c’è uno scambio molto piacevole, e riusciamo a comunicare anche con poche parole, il giusto linguaggio corporeo, un solo sguardo per comprendere se sarà una giornata buona o più faticosa. Se non capisci questo il tempo impiegato in palestra non darà buoni frutti.

Sofia in palestra è come la vediamo in pista?
Sofia entra ed esce dalla palestra sempre col gas aperto. Se lo chiude significa che ha finito la benzina e allora vuol dire che è andata bene! Credo che a lei piaccia la preparazione atletica nella misura in cui la vede come un tassello, e sottolineo uno, della costruzione della performance. Un mattoncino fondamentale per realizzare qualcosa di grande.

Mi piace pensare che lavori tanto non solo per dovere, ma anche per piacere.

D’altra parte, in ogni cosa che fa, va sempre a mille e chiede spiegazioni quando capita che la rallenti. Se programmiamo 15 salti ma a 12 la fermo perché per me sono sufficienti, mi chiede per quale motivo non dovrebbe fare gli altri tre.

Questo per spiegare che non lascia mai nulla d’intentato per non disattendere le sue aspettative ma anche per rispetto nei confronti di chi la allena. È la conseguenza di chi ha motivazioni così forti. Dinnanzi a questo quadro dimmi tu se Sofia in palestra è come la vediamo sulla neve…

Cosa apprezzi di più di Sofia?
Tante cose e sicuramente quello che i tifosi non possono vedere. Ad esempio, l’attenzione che ha nei dettagli e la concentrazione che mette in ogni cosa, con l’obiettivo di limare anche un solo centesimo! La qualità che mi impressiona maggiormente comunque sarà sempre l’incredibile capacità che ha di avere tutto sotto controllo, una capacità attentiva davvero fuori dal comune.

Mentre scende, è competitiva, è attenta alla risposta degli sci, capisce se è veloce, decide se modificare la tattica che si era prefissata, e sono sicuro che saprebbe raccontare anche come sono vestiti i guardiaporte. Non le sfugge niente. Poi, la capacità di essere il fulcro centrale dello staff, il catalizzatore del dialogo comune, il collettore delle informazioni dei singoli. Se avesse voglia di tenere un corso su come dev’essere la vita di un’atleta, sai quanti migliorerebbero il proprio rendimento?

L’hai seguita a Copper?
Nella prima metà del blocco perché dovevamo completare il lavoro dedicato alla potenza. Con l’avvicinamento alle gare sono tornato a casa ma è arrivata Sarah Bazzocchi, la fisioterapista.

Ti è capitato di dover modificare il programma di lavoro?
È capitato di dover adattare i volumi di lavoro, a volte l’intensità. Capita anche di modificare le strategie di lavoro, ma mai l’obiettivo della giornata. Nello sci alpino secondo me è normale. Arrivi a fine mattinata che dici, bene, anche oggi abbiamo fatto i nostri 4 minuti di sci nelle ultime 3 ore di lavoro. Spesso di questo con Sofia, Luca e Babi ridiamo, ma è proprio così. È uno sport complicato, per fare quattro giri di un minuto ciascuno, il tempo totale da impiegare può arrivare a ore. Al pomeriggio tutto questo si ripresenta sotto forma di stanchezza, e spesso il modo per rispettare questa situazione è adattare i volumi di lavoro piuttosto che l’intensità. Funziona così anche nei pre-gara: tanta intensità (agilità), poco volume.

Avete passato momenti di criticità?
Nel primo periodo Sofia ha subìto molto quello che le era successo, ma sono stato anche testimone di un’atleta che, nonostante tutto, non ha mai perso la barra a dritta. Trovo molto nobile che sia riuscita a vivere le difficoltà in maniera privata. In palestra non si è mai portata una volta uno stato di sconforto. Quindi, motivazioni sempre al top e il desiderio di fare qualcosa in più piuttosto che in meno.  

Come l’hai vista in azione in pista?Faccio outing: di sci non ne capisco niente. Dai, facciamo che ne capisco poco, per cui mi fido ciecamente del parere dei tecnici. Quando scende vedo solo due cose: se non si schiaccia di busto, ovvero se non cerca di comprimersi invece che lavorare col terreno, e se la sua azione è esteticamente bella. La mia soddisfazione personale è vedere un gesto armonico, fluido, attraente, banalmente bello da vedere, anche se può non coincidere col miglior tempo, perché il mio vocabolario non può che esser quello della motricità. Ma d’altra parte io non guardo volentieri le gare.

Ma dai…
Riconosco il mio limite, non riesco, è più forte di me. Io sono testimone delle sue fatiche, per cui se non arriva un bel risultato vivo un senso di dispiacere dal lato umano. Passiamo insieme molto tempo, giorno per giorno, poi sulla neve, e infine in gara, fino a quando entra nella casetta di partenza. Poi me ne sto assieme a Babi (Greppi lo skiman – n.d.r.) evitando di sbirciare dallo schermo, fino quando scendiamo all’arrivo per scoprire com’è andata.  

Pronti via, seconda, prima e terza: di là verità, tu lo sapevi!
In università una delle prime cose che insegno è: non tutto ciò che conta si può contare. Posso sapere con precisione l’altezza del salto, il tempo di appoggio dei piedi a terra, il massimo consumo di ossigeno. Ma poi c’è quella parte, forse evanescente, che è la qualità esecutiva, il movimento umano. Qualcosa che deve essere efficiente, bello, armonico.

Lo sci non è fatto solo di numeri, quelli dicono tanto, ma non tutto,

e difficilmente da soli possono predire il risultato di una gara. Voglio essere onesto, un buon dialogo di staff riesce ad anticipare le aspettative che si possono avere rispetto alle prestazioni. Insomma, era chiaro a tutti che non sarebbe arrivata trentesima.

Pur con tutte le variabili che intervengono nello sci non credo che si vinca o si perda per casualità. Io non ho più meriti di altri nei risultati di Sofia. La mia responsabilità sta nel – passami il termine – «consegnare» a Luca Agazzi una Sofia preparata dal punto di vista fisico, condizionale, coordinativo, nelle abilità motorie. Per questo insisto nel dire che il risultato, sia che vada bene, sia che vada male, è solo il frutto del lavoro dell’intero team, non esiste il merito di uno o dell’altro. 

Sarai con lei anche ai Mondiali?
Assolutamente sì, come sempre vicino fino al momento del via. Poi occhi chiusi e orecchie tappate! 


TERMINOLOGIE TECNICHE NELLA SPIEGAZIONE DEL PROF. WALTER STACCO

Differenziazione Cinestesica o cinestetica

È la capacità che, attraverso un allenamento funzionale di qualità, stimola l’atleta ad acquisire la fine abilità di interpretare correttamente ogni informazione proveniente dall’esterno. Questo al fine di elaborare correttamente gli impulsi in arrivo, per rispondere in modo adeguato ed efficiente col proprio corpo, a quanto di perturbante proviene dall’esterno. Tale abilità neuro-motoria è anche la capacità di interpretare correttamente il proprio corpo in ogni istante in cui, con lo stesso, si esercita un’azione motoria. Queste sono solo alcune delle parole chiave, per comprendere meglio l’allenamento e la preparazione fisico-atletica di eccellenza, di cui SenzaScarponi vuole farvi partecipi attivi.

Affordance

Somma di più concetti nell’ambito dell’interazione ambiente-atleta-allenamento. Altro termine che appare nell’articolo e più volte presente nella nostra rubrica, è Feed-Forward in contrapposizione a Feed-Back dove, il secondo termine, è l’attuazione di una correzione e/o rivisitazione di una azione (nel nostro caso motoria) dopo che si ottiene un risultato…nello sci è quanto accade solo in ambito di revisione (video post-discesa) ma non migliora il risultato finale, in quanto il risultato è conseguente a quanto avvenuto.

FACCIAMO DUE ESEMPI
1 Evento Atteso:
il tracciato. Mental, Visual, Eye Training sono gli strumenti che sono messi in atto nel momento in cui si identifica perfettamente la «linea» che gli sci devono seguire;

2 Evento Inatteso: alla partenza mi avvertono che un avvallamento condiziona quanto sopra. In quel momento, prima di partire, devo «rivedere» il tracciato e apportare le opportune modifiche. I fuoriclasse si distinguono dai campioni in quanto sono in grado di «modificare» il loro gesto motorio in tempo reale, sul tracciato…e questo non è facile!

Feedback/Atleticità

In preparazione fisico-atletica, feedback significa ricercare «l’atleticità». O meglio, significa arricchire ciò che l’atleta ha nel suo «bagaglio motorio». Tale è lo scrigno segreto da dove si estrae magicamente «quel qualcosa che serve in quel momento». Atleticità significa esser ricchi di quei gioielli d’esperienza (che non si acquisiscono solo sciando -ndr) utili per trovare una soluzione a «quell’avvallamento» che mi ha creato problemi e ritornare ad essere competitivo subito dopo. Così Sofia Goggia si  Così Sofia Goggia si  Così Sofia Goggia si  Così Sofia Goggia si  Così Sofia Goggia si  Così Sofia Goggia si  Così Sofia Goggia si  Così Sofia Goggia si  Così Sofia Goggia si  Così Sofia Goggia si  Così Sofia Goggia si  Così Sofia Goggia si  Così Sofia Goggia si  Così Sofia Goggia si 

About the author

Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

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