Un antico proverbio latino recita: «In medio stat virtus». Nel precedente articolo abbiamo detto che chi ben comincia è a metà dell’opera. Ora possiamo affermare, parlando della conduzione della fase centrale della curva, che la virtù è nel mezzo. Infatti se l’impostazione data dallo sciatore nel 1° arco di curva è determinante per tutta la conduzione della curva, in quanto ne stabilisce il raggio di curvatura, la conduzione dello sci nel 2° arco di curva si caratterizza per la capacità dello sciatore di sfruttare al massimo la componente della forza peso sulla linea di massima pendenza e, quindi, per la conseguente capacità di sviluppare una velocità più alta. In questo, i migliori atleti di Coppa del Mondo sono interpreti assoluti, in quanto sanno che durante questa porzione di curva è possibile utilizzare al massimo la componente dell’accelerazione di gravità che tira a valle lo sciatore.
Lo possiamo vedere bene nella sequenza (qui sotto) di quattro fotogrammi che andiamo ad analizzare.
Fotogramma 1: continua l’azione di pressione sullo sci esterno, tale da deformarlo e fargli percorrere il raggio di curvatura voluto, nonché la presa del vincolo sulla neve. Lo sci interno sembra quasi del tutto scarico. Notare come la posizione piuttosto raccolta e «corta» evidenzi un’azione di scarsa verticalizzazione condotta nella fase precedente.
Fotogramma 2:
Solo ora lo sciatore si inclina decisamente all’interno della curva, sempre senza perdere l’appoggio dello sci esterno e continuando nell’azione di pressione sullo stesso sci, pur iniziando però a dare pressione o meglio a trovare un appoggio anche sullo sci interno. Le gambe hanno iniziato ad allungarsi così da aumentare il braccio b1 della coppia di forze formata dalla forza peso e dalla componente carico verticale che si oppone alla coppia data dalla forza centrifuga e dalla forza centripeta. Come abbiamo già detto questo permette allo sciatore di contrastare una maggiore forza centrifuga e quindi di sviluppare una maggiore velocità, laddove la componente della forza peso risulterà maggiore, poiché si approssima alla linea di massima pendenza.
Fotogramma 3:
Continua l’azione di cui al fotogramma precedente. Lo sciatore accentua la distensione della gamba esterna, aumentando al massimo il braccio sopra indicato (b1) e sviluppando così la massima velocità possibile su quel pendio e con un paio di sci ai piedi.
Fotogramma 4:
Nell’ultimo fotogramma della sequenza l’atleta inizia il 3° terzo di curva già traguardando la successiva porta, «spezza» il busto così da ridurre il braccio (b1) della coppia formata dalla forza peso e dal carico verticale ed incrementa il braccio b2 della coppia opponente formata dalla forza centrifuga e dalla forza centripeta. Questo offre all’atleta un’azione raddrizzante rispetto al terreno, rendendolo pronto per l’inversione degli spigoli e per affrontare la prossima curva.
In questo ambito molti allenatori mi hanno chiesto quali possono essere i carichi che agiscono su uno sciatore in curva. Se consideriamo una gara di slalom speciale sappiamo che le velocità raggiungono anche i 40 – 50 km/h. Se ipotizziamo una velocità media dello slalomista di circa 10 m/sec e un raggio (di curvatura) di 5 m, applicando la formula della forza centrifuga
P · V² m · V²
Fc = =
g · r r
si ottiene una forza centrifuga
Fc = m x 100/5 = m x 20 m/sec2, cioè due volte il peso dello sciatore (Fp= m x 9,8 m/sec2). A questa poi va aggiunta la componente perpendicolare al terreno della forza di gravità (m g x cos α), con il risultato che il carico totale è superiore a 2 volte l’accelerazione di gravità. Un altro argomento di confronto e più volte discusso con atleti e con allenatori è stato quello delle traiettorie da compiere in un tracciato. Esiste per ogni tracciato una traiettoria ideale, ma non esiste una regola ideale valida per tutti i tracciati.
I fattori principali sono dati dalla pendenza del pendio, dal tipo di neve, dal tipo di tracciato (ad esempio uno slalom o una discesa libera), ecc. Facciamo un esempio considerando un tracciato di slalom su pendio ripido. Sappiamo che su un pendio ripido è minore l’attrito (componente normale della forza peso), mentre maggiore è la forza motrice data dalla componente orizzontale della forza peso. In questo caso la traiettoria migliore sarà quella che percorre il minor spazio possibile ovvero una linea molto vicina ai pali del tracciato. Lo possiamo dimostrare matematicamente. Se ad ogni porta allunghiamo il tracciato di 10 cm dalla curva ottimale, mantenendo inalterate le altre condizioni della sciata, considerando 40 porte per una gara di slalom, alla velocità media che abbiamo indicato di 10 m/s, avremo un ritardo a fine manche di
t = (40 x 0,1 m)/(10 m/s) = 0,4 s
ossia quasi mezzo secondo, valore che aumenta al diminuire della velocità dello sciatore, risultato determinato esclusivamente da un modesto allungamento del tracciato per ogni porta (10 cm!).
Se poi consideriamo che la traiettoria del baricentro è più breve della traiettoria percorsa dai piedi dello sciatore, si comprende perché oggi atleti dotati di leve articolari lunghe sono avvantaggiati rispetto ad atleti brevilinei. Altro discorso sono le gare di superG o discesa libera dove le velocità raggiungono o superano i 100 km/h. In questi casi piccole deviazioni dal percorso ottimale non sono così significative, come dimostra la relazione sopra indicata, applicata, ad esempio, ad una velocità di 30 m/s (108 km/h) che fornisce un ritardo di poco superiore al decimo di secondo.
Ma quanto attrito e perdita di tempo risulta dalla ricerca di curve più strette che mi impongono necessità di frenare, soprattutto laddove il pendio non è molto ripido? Provare per credere!
Luigi Pimpinella ha editato due libri. Il primo è «BiomeccanicA Dello sci alpino», il secondo, qui in foto, «Bioingegneria della postura e del movimento nello sci alpIno» entrambi editIida «Youcanprint». Info: pimpinellaluigi@gmail.com
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