Abbiamo tutti vissuto un periodo che ha preceduto la obbligatoria chiusura dei nostri impianti il 10 marzo che ha visto un susseguirsi di annunci, di smentite, di richieste e di ritrattazioni; siamo passati da «state tranquilli abbiamo preso le misure necessarie ed adottato i protocolli più idonei per contrastare questo virus» o «è solo una semplice influenza» per arrivare all’ 11 marzo con l’inizio di una continua emanazione di decreti del presidente del consiglio che riguardavano l’intero territorio nazionale.
E stranamente nel mezzo a questa escalation di presa di coscienza di una situazione che stava diventando emergenziale ci siamo trovati prima noi impiantisti e poi il concetto più esteso dello «sciare» come se questa fosse una pratica da portare per esempio come immagine negativa al tempo del coronavirus.
Cerchiamo allora di rimettere nella giusta sequenza gli avvenimenti e di riportarli al week end di sole e neve su tutta la montagna italiana.
Nella giornata del sabato le edizioni online dei giornali ed i social, grazie alla fervente attività dei professionisti della tastiera, venivano inondati di foto di file interminabili alle partenze degli impianti di risalita; file interminabili che da un esame più attento della questione si erano create alle partenze degli impianti di arroccamento, che essendo per la maggior parte a cabine chiuse dovevano sottostare al decreto del 4 marzo che prevedeva che in questi casi la portata dell’impianto doveva essere diminuita ad un terzo di quella effettiva.
Nella serata il presidente del consiglio annunciava l’entrata in vigore di un decreto che prevedeva la completa chiusura dei comprensori sciistici di alcune zone d’Italia definite rosse.
Ma, come è successo poi in seguito, nell’annunciare l’emanazione dei decreto ometteva di dichiarare che lo stesso sarebbe entrato in vigore, al momento della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale; cosa che è avvenuta la domenica alle ore 13.00 facendo sì che molti degli impiantisti dei comprensori ricadenti nelle zone identificate come rosse non avessero, nella prima parte della mattinata, più certezza del proprio comportamento e della legalità delle proprie scelte anche nei confronti dei propri utenti.
Il provvedimento di chiusura ha però comportato in ogni caso lo spostamento di una massa imponente di sciatori verso i comprensori vicini alle località oggetto dell’annunciato decreto causando in questo caso code interminabili su tutti gli impianti e ricreando quindi le condizioni per cui una certa stampa ed i leoni da tastiera potessero volutamente mettere in evidenza in maniera ancora più massiccia la pratica dello sci poco rispondente, a detta loro, alla situazione che nel frattempo si era creata.
Ecco che a questo punto il nostro mondo è stato messo in discussione nel corso di una conferenza Stato Regioni alla conclusione della quale il Ministro Boccia ha dichiarato che con provvedimento immediato da parte della Protezione Civile era disposta la chiusura di tutti gli impianti sciistici stigmatizzando gli assembramenti del giorno prima ed alcune pubblicità che invitavano i giovani ad andare a sciare.
A questo punto sorgono spontanee alcune domande:
Per quale motivo viene presa una decisione in maniera cosi clamorosa poche ore prima l’annuncio di un decreto di chiusura totale o limitazione importante di altre attività su tutto il territorio nazionale?
Non si poteva presumere che tale pubblicità fosse stata pensata in momenti antecedenti, quelli dove anche alcuni politici partecipavano all’Aperitivo anti-panico, o invitavano a non enfatizzare troppo il Coronavirus, o infine dove il motto ricorrente era «…. non si ferma» dove al posto dei puntini c’erano i nomi delle varie città , e che fosse rivolta ai giovani e mirata anche a favorire le scelte, che in quei giorni molte famiglie avevano preso, di trasferirsi verso le seconde case nei luoghi di montagna?.
Una destinazione che al pari del mare, della collina, dei laghi e della campagna è stata scelta in quel Week End da una moltitudine di persone che, inconsapevolmente e per scelta non dettata da promozioni economiche, si sono recati in questi luoghi per trascorrere alcuni momenti lontano dalle loro abituali residenze. Si è voluto solo dare credito a chi pensava che con un euro si potesse creare un ritorno economico favorevole alle nostre attività!!
E perché successivamente nessuno ha preso in considerazione per esempio la sospensione delle partenze delle navi da crociera dove vi era la presunzione di possibili focolai come dimostrato precedentemente da situazioni simili, cosi come nessuno ha pensato di limitare gli accessi ai trasporti pubblici, aumentandone nel contempo la frequenza soprattutto per i pendolari nonostante le continue immagini di vagoni o autobus al limite della propria capienza, o forse in alcuni casi anche oltre?
Si è voluto colpevolizzare una sana pratica sportiva e di passione.
Un intero settore, insieme a pochi altri, è stato messo alla gogna incolpevolmente in quanto non si è reso conto al momento opportuno, cosi come tutta l’Italia compreso il mondo politico e quello esecutivo, che si era di fronte ad una emergenza sanitaria di una gravità che andava oltre ad ogni immaginazione, spacciando cosi tale inconsapevolezza per bramosia di guadagno.
Noi non ci stiamo a una tale equazione e rivendichiamo con ogni mezzo il ruolo sano e salubre della nostra attività, la buona fede delle nostre scelte e l’immediata esecuzione delle disposizioni legislative e il suo assoluto rispetto da parte del popolo della montagna e dei suoi imprenditori.
Ritengo infine che per le sue caratteristiche anche questa campagna di stampa e mediatica rientri in un disegno ben preciso di demonizzazione della nostra attività che invece rimane e rimarrà ancora per molto tempo il punto di riferimento fondamentale per l’economia della Montagna Italiana dalle Alpi agli Appennini che come preannunciato nel passato recente diventa un luogo di rifugio importante in caso di calamità come quella che sta vivendo il nostro paese.