Giampiero Orleoni, 66 anni, titolare della Icemont SaS che a Bielmonte (Biella) gestisce 5 seggiovie e due skilift, è presidente di ARPIET dal 2014, vale a dire dall’anno fatidico durante il quale, all’assemblea di Bolzano, avvenne l’inedito e storico «scisma» di un gruppo di società impiantistiche dalla «madre ANEF» che in quella circostanza vedeva il cambio della guardia alla presidenza tra Sandro Lazzari e Valeria Ghezzi.
I dissidenti, concentrati in prevalenza tra gli Appennini ma sparsi a macchia di leopardo anche tra le Alpi, diedero alla nuova organizzazione, guidata da Andrea Formento, il nome di Federfuni.
Numerose società di gestione impianti a fune piemontesi vi avevano aderito rimarcando un profondo distacco da ANEF. Sei anni dopo il «ritorno a casa».
– Orleoni, quali furono le ragioni per le quali, nel 2014, appoggiaste l’iniziativa di Federfuni separandovi di fatto da ANEF?
– La nostra scelta fu motivata allora dall’impossibilità di avere un dialogo alla pari e di portare avanti le esigenze piemontesi. Non riscontravamo una volontà di ascolto nel sottolineare le oggettive diversità di situazioni e di difficoltà tra le società che vivono in regioni a statuto speciale e quelle in regioni a statuto ordinario, tra le società più grandi e strutturate e quelle più piccole. Il nucleo forte dell’ANEF composto dalle società del Trentino Alto Adige sembrava sordo a questo tipo di rivendicazioni che rimangono valide a tutt’oggi. Noi avevamo ritenuto che fosse giunto il momento di sottolineare il nostro dissenso anche a seguito della vicenda legata al rinnovo del contratto di lavoro durante la quale, come sempre, l’ANEF di allora aveva accettato qualsiasi richiesta conoscendo le risorse delle società più forti ma senza considerare le esigenze di quelle più deboli.
– E perché sei anni dopo avete deciso di tornare in ANEF?
– Perché abbiamo avuto la garanzia di poter dare spazio alle nostre richieste e di condividerle con tutte le altre componenti dell’Associazione. Abbiamo posto delle condizioni, anche in termini di rappresentanza, che sono state accettate: siamo stati ascoltati come non succedeva allora. Molte delle problematiche che avevamo sollevato allora sono ancora sul tavolo, tra l’altro accentuate per diversi aspetti dalle conseguenze dell’epidemia da coronavirus; ma ora anche all’interno di ANEF è maturata la consapevolezza di doversi misurare con maggiore attenzione verso certe situazioni di disparità e disuguaglianza.
– Sono stati sei anni «inutili»?
– Per noi di ARPIET assolutamente no. In questo periodo abbiamo portato a casa molti risultati, dall’implementazione della legge regionale 2 del 2009 alla legge sull’abolizione del fine vita degli impianti che ci ha visti in una posizione protagonista. Abbiamo consolidato la nostra rappresentanza territoriale e abbiamo sempre tenuto aperto il confronto e la condivisione con altre realtà territoriali su proposte e documenti da presentare agli enti locali e alla politica.
– Adesso il distacco da Federfuni significa una valutazione negativa di quella iniziativa?
– Le istanze che porta avanti sono quelle che ci avevano convinto ad appoggiarla ma il suo percorso di crescita ci sembra interrotto. A Federfuni, come società individuali, abbiamo portato soprattutto la nostra esperienza di ente territoriale proponendo anche a loro di strutturarsi con questo schema. Purtroppo, con rammarico, abbiamo constatato che il processo di aggregazioni territoriali da noi indicato non è stato perseguito ma si sono invece sempre più evidenziate divisioni e contrapposizioni.
– Ritiene ora che sarebbe opportuna una definitiva riunificazione?
– Sì, secondo me sarebbe importante avere un’unica e forte associazione di rappresentanza della categoria degli esercenti funiviari che possa unitariamente far valere le proprie ragioni, lasciando da parte problemi e divergenze di natura personale.