La sicurezza in pista tra responsabilita’ soggettive e oggettive
Sul tema della sicurezza in pista recitano la loro parte due attori protagonisti che sono lo sciatore e il gestore dell’area sciabile.
Tra loro dovrebbe esistere sempre un ideale dialogo di lealtà e di correttezza finalizzato allo scopo di limitare al massimo i rischi connaturati ad una specialità sportiva (lo sci alpino o sci da discesa) dal fascino inebriante ma da tradurre in movimento sulla neve, a velocità e su pendenze variabili, in condizioni ambientali non sempre perfette, dipendenti da una dinamica d’azione complessa e da attrezzature tecniche non sempre irreprensibili.
La famosa (e discussa…) legge 363 ha colmato una lacuna normativa ma in fin della fiera non ha sciolto il nodo che lega nello stesso problema le responsabilità soggettive di chi scia e le responsabilità oggettive di chi ha attrezzato infrastrutture e piste per consentire di sciare.
In giurisprudenza si accumulano casi di incidenti e infortuni cui sono seguite cause giudiziarie dove spesso individuare «il colpevole» è un esercizio di altissima perizia legale.
E spesso il colpevole risulta alla fine essere stato la vittima, o viceversa.
Sulla 363 si sta discutendo da tempo per una sua opportuna rivisitazione sollecitata dagli esercenti funiviari spesso esposti ingiustamente sul banco degli imputati nonostante gli sforzi compiuti per onorare al meglio le esigenze della sicurezza.
Da loro, comunque, non è mai mancato il riconoscimento obiettivo della serietà del problema e l’impegno costante a migliorare e a non sottovalutare eventuali margini di correzione del loro lavoro.
Dallo sciatore-massa dovrebbe venire sempre la consapevolezza che sta praticando una sport fantastico ma in cui è insita una componente di rischio attenuabile ma non del tutto eliminabile dagli allestimenti di sicurezza messi in atto dal gestore se chi guida gli sci non si rende responsabile in prima persona della sicurezza propria e altrui.
Uno, nessuno, centomila
Il fatto è che non esiste uno sciatore-massa ma tanti sciatori diversi, non solo per livello tecnico ma anche per cultura, educazione, attenzione, consapevolezza.
Una pista facile per lo sciatore al settimo livello della Scuola Italiana Sci può diventare problematica per il principiante che esce dalla fase della curva elementare di base.
Allo stesso tempo uno sciatore consapevole oltre che eccellente sul piano tecnico possiede maggiori capacità di controllo della propria azione da mettere a frutto nel traffico spesso intenso delle piste battute rispetto ad uno sciatore magari oggettivamente meno esperto ma più incosciente dei propri reali mezzi.
Ma è pur vero che, in presenza di controllo tecnico ma in assenza di controllo mentale, lo sciatore provetto ma senza sale in zucca può lasciarsi indurre a imitare Dominik Paris anche se davanti ai suoi sci non c’è la Streif tutta per lui ma una miriade di altri sciatori in movimento da schivare come birilli sul filo del thrilling.
Una pista non perfettamente battuta o una neve particolarmente ostica creano a loro volta discriminazioni di natura tecnica e comportamentale che possono avere ricadute sul piano della sicurezza propria e altrui.
Sul ghiaccio, ad esempio, non tutti sanno «tenere» e sciare alla stessa maniera eppure molti che dovrebbero evitare di avventurarsi su certe pendenze in certe condizioni lo fanno lo stesso, per sfida (con se stessi o gli amici), per sfruttare il giornaliero fin dalle prime ore del mattino, per assenza di cultura tecnica e di senso civico.
Ed è difficile in certi casi seguire il dettato del Vangelo e perdonare a loro perché non sanno quello che fanno. Insomma potremmo continuare a lungo in questa direzione per sostenere la tesi della relatività di situazioni diverse quante sono diverse le teste, i modi e le stelle del merito tecnico secondo la Scuola Italiana Sci.
È evidente che lo sciatore debba (o dovrebbe) sentirsi responsabile in prima persona della propria e dell’altrui sicurezza, regolando i propri comportamenti in funzione della situazione di traffico in cui si trova.
Sappiamo che le statistiche snocciolano ogni anno cifre inquietanti sugli incidenti. Sappiamo che i maggiori affollamenti indotti dagli impianti sempre più moderni e veloci sono una causa di questo incremento insieme all’evoluzione tecnologica dell’attrezzatura che ha abbassato la soglia di selezione tecnica ma, con questa, la soglia dell’attenzione.
Fatta questa premessa è comunque possibile, anzi doveroso, sforzarsi di configurare una cornice, un quadro di «attese» omogeneo, che valga per tutti i tipi di sciatore riconducibili a quell’individuo-massa che, comunque, ha come comune denominatore una passione qualche volta divorante, una voglia matta di passare la sua giornata sulla neve scivolando a valle come tecnica comanda.
Pur nelle modificazioni dei costumi che negli ultimi anni hanno sensibilizzato molto l’utenza sugli aspetti e le offerte non solamente tecniche della località invernale, credo di non sbagliare se non ci discostiamo da una realtà che conosciamo bene da sempre, forse ovvia ma perennemente dominante: lo sciatore vuole sciare tanto e bene, su chilometraggi il più possibile vari e su piste ben preparate.
La «fame di sci» è il patrimonio più vero del nostro sport nella sua dimensione amatoriale, è il motore del mercato e del turismo invernale.
Ma è anche un fenomeno da incanalare e governare costruendo un’offerta di qualità e di organizzazione sempre migliore, costantemente adeguata ad una domanda sempre più esigente e selettiva.
Il lavoro determinante dei gestori delle skiarea
Sull’altro versante, la sicurezza oggettiva chiama in causa direttamente le località, i gestori degli impianti e i responsabili della preparazione delle piste. Anche in questo caso la generalizzazione è impossibile.
Qualche tempo fa i dati usciti da una indagine della rivista Sciare presso i propri lettori (un target «nobile» di sciatori) erano stati in larga parte confortanti sul livello qualitativo espresso dalle stazioni invernali in materia di sicurezza ma si mischiavano a messaggi che di tanto in tanto arrivano in redazione per segnalare qualche approssimazione e trascuratezza non solo nel mantenimento e nella battitura dei percorsi ma anche nell’allestimento delle segnalazioni e nella comunicazione, nello stato di certi impianti ormai obsoleti e inadeguati.
Da questo punto di vista la professionalità, la chiarezza, la precisione e, diremmo, la lealtà nei confronti dei propri ospiti sono le virtù cardinali attorno alle quali dovrebbe intrecciarsi l’azione delle stazioni invernali sul fronte della sicurezza in pista.
È importante trasmettere informazioni esatte sulla quantità e lo stato della neve, sul chilometraggio delle piste, sul livello di praticabilità di certi percorsi, sulle previsioni meteorologiche, anche se per queste ultime sappiamo che esistono ormai tante di quelle fonti web che spesso contribuiscono ad allarmare anziché informare.
Le indicazioni delle piste sui depliants, sulla cartellonistica, nei siti internet e in tutti i mezzi informativi possibili devono essere assolutamente credibili.
A questo proposito credo non sarebbe sacrilego mettere mano alla tradizionale scala di valutazione cromatica (nero, rosso, azzurro, verde) per sforzarsi di precisare ulteriormente, meno schematicamente e ancora più chiaramente il contenuto tecnico del percorso.
Questa classificazione, introdotta negli anni ’60, continua ad avere un suo indubbio valore informativo e precauzionale ma in molti casi risulta fin troppo sintetica.
Una pista prevalentemente rossa può presentare però nel suo tracciato un canalino stretto, molto ripido e ghiacciato che farebbe rabbrividire anche uno sciatore estremo.
Perché non trovare il modo di segnalarlo? Perché rischiare di vedere inchiodati su quel passaggio gli ignari sciatori medi allettati dall’indicazione di una pendenza media per difficoltà medie?
Altri argomenti: la segnaletica sulle piste.
Sono importanti indicazioni chiare e ben visibili sul nome e tipo di pista, sulla sua collocazione nello skirama, sulla sua direzione, sui bivi che spesso dividono, in termini di sicurezza, il paradiso dall’inferno, una innocua azzurra da una terribilissima nera.
Occorre valutare con attenzione e provvedimenti adeguati quei punti di raccordo tra piste degli skirama dove il traffico confluisce maggiormente aumentando i margini di rischio, transennare con rigore quei punti delle piste che possono provocare pericolo.
Un altro tema sono i meccanismi di pronto intervento.
Tutte le località, anche le più piccole, dispongono di una organizzazione ad hoc pronta ad intervenire sul piano logistico e sanitario in caso di infortunio in pista?
E poi il fuoripista: tema affascinante per il quale l’attrazione è sempre fortissima ma le conseguenze di imprudenza e leggerezza sono spesso tragiche: anche in questo caso le segnalazioni dovrebbero sempre essere dettagliate.
Si ha il coraggio di chiudere, quando è il caso, quegli impianti che possono condurre alla partenza di discese non battute che, per condizioni di innevamento particolarmente critiche, possono essere considerate pericolose?
La convivenza con altre tecniche di scivolamento sulla neve, a cominciare dallo snowboard: convivenza qualche volta difficile, inutile negarlo.
Ci si prende carico del problema per incentivare la fratellanza con la destinazione di zone riservate del domaine skiable e una politica «culturale» di informazione e integrazione oppure si lascia libera la convivenza?
I mille volti della sicurezza avrebbero da porre mille altre questioni oltre a queste che abbiamo avanzato.
Ci pare che responsabilità soggettive e oggettive dovrebbero trovare un punto di incontro e integrazione in un ulteriore salto di qualità culturale, in un incremento di civiltà sportiva da parte degli sciatori e di impegno innovativo da parte degli operatori turistici.