Incontro con l’ingegner Mario Della Cagnoletta che, con la sua società Valteco, è stato tra i protagonisti di primo piano nello sviluppo e nella diffusione delle tecnologie di produzione della neve programmata nel nostro Paese. Per vent’anni, insieme ad altri numerosi marchi, ha fornito a stazioni scistiche non soltanto italiane gli impianti che hanno condotto il turismo invernale nella modernità
L’innevamento tecnico («Ma io ho sempre preferito chiamarlo programmato») in Italia ha avuto un pioniere che si chiama Mario Della Cagnoletta («Questo cognome esiste solo in Valtellina»), un signore elegante con baffi e pizzetto risorgimentali che vive la sua terza (o quarta?) età con rassegnata consapevolezza temperata dal dialetto natìo («Sun vecc…») ma con la ricchezza di ricordi che « mi procurano un po’ di nostalgia ma mi riportano ad un bellissimo periodo della mia vita».
Per vent’anni, dall’alba degli anni Ottanta al 2000, con la sua Società Valteco («Naturalmente in omaggio alla Valtellina…») ha realizzato circa 100 impianti tra le Alpi e gli Appennini (ma non solo, come vedremo…) con il sistema «acqua-aria» ad alta pressione utilizzando i cannoni Larchmont di Boston, importando per un certo periodo le macchine svedesi Lenko, collaborando con Leitner Neve e costruendo anche un «cannone» in proprio (il GF730) con la collaborazione della Tazzari.
Erano le origini di una tecnologia agli albori, di importazione americana, che avrebbe rivoluzionato la gestione delle stazioni sciistiche («Allora nevicava ma i gestori erano comunque presi dalla possibilità di anticipare comunque i tempi, dalla voglia di aprire con certezza per il Ponte dell’Immacolata e noi dell’innevamento eravamo visti un po’ come santoni, come maghi») e che oggi è spesso l’architrave indispensabile per continuare a garantire l’economia del turismo invernale.
«Facevamo già ottima neve, 450/500 chili per metro cubo, solo che noi spruzzavamo l’acqua a 7 Bar mentre oggi si spara a 29/30 Bar. Poi sono arrivate anche le aste che io ho introdotto per primo in Europa nel 1995 e che ho sempre chiamato “giraffe”, il progressivo miglioramento degli ugelli, tanti perfezionamenti e nuove soluzioni ma, per favore, non si dica che si può fare ottima neve se non ci sono temperature e umidità adeguate. L’acqua gelata non è neve…».
Oggi, a 87 anni, alcuni contorni e particolari dettagli sfumano come fanno le ombre al tramonto ma certi ricordi restano vivi come quando «gli altri stavano a letto e io uscivo di notte ad annusare il freddo». Cerca di radunarli tutti per raccontarci la sua storia nella club house del Molinetto Country Club di Cernusco sul Naviglio (Milano) dove si farebbe ancora le 18 buche col suo 30 di handicap («Ma sono arrivato anche a 18») se un piccolo incidente domestico non lo costringesse ancora a camminare con un bastone. Sono con lui la dolce signora Rosanna, 83 anni, sposata nel 1966 («Lui mi faceva un filo terribile…») e tre dei sette nipoti avuti dai tre figli Giovanna, Francesca e Paolo.
Una larga, bella e unitissima famiglia. Il cristallo di neve perfetto sparato nel cielo della vita dall’ingegner Mario Della Cagnoletta, nato a Sondrio il 7 luglio 1937 da Giovanbattista («Assicuratore con una laurea in Giurisprudenza») e Berta, ultimo di tre figli dopo Arturo e Giovanna, cresciuto nel capoluogo valtellinese tra le aule del Liceo Classico Piazzi («Me la cavavo anche con il latino e il greco ma se allora a Sondrio ci fosse stato lo Scientifico avrei fatto senz’altro quello…»), tanto tennis fino ai trent’anni («Il golf sarebbe arrivato solo negli anni Novanta»), lo sci («Sì, ero un buon sciatore, ricordo anche un 3° posto in uno slalom gigante sul ghiacciaio del Ventina») naturalmente sempre, prima e dopo, «soprattutto all’Aprica, sul Palabione, e poi a Chiesa Valmalenco, da quando è stata realizzata la funivia al Pizzo Palù per noi sondriesi era comodissima».
La consuetudine con la città natale si interrompe per frequentare un biennio propedeutico a Pavia, alunno del prestigioso Collegio Ghislieri, prima di trasferirsi a Genova dove, con il convinto sostegno dello zio Ugo Crovetti, a capo dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico, si laurea in ingegneria navale nel 1962. Dopo il militare («Genio aeronautico a Pratica di Mare»), il lavoro arriva subito (altri tempi…) presso la filiale italiana di Vignate (Milano) dell’americana Ingersoll Rand, fondata nel 1871 da Simon Ingersoll e leader mondiale nella produzione di compressori ad aria.
E proprio quelli servono per spruzzare l’acqua nel freddo dell’inverno e attivare il primo impianto di innevamento tecnico ad alta pressione che il direttore di stazione Pino Rosenwirth sta attrezzando a Piancavallo con la consulenza del progettista canadese Peter Alford. È il 1976. Insieme ai compressori, l’azienda spedisce in Friuli il giovane ingegnere valtellinese che si trova alle prese con pacchi di specifiche da tradurre, lasciate dall’ingegnere canadese prima di sparire («…e si traduceva “bypass” con “circonvallazione mezzi”…») ma se la cava alla grande e contribuisce a condurre in porto il pioneristico progetto.
Subito dopo Alford vengono Pontedilegno, Borno, altri interventi e altri anni di lavoro per la Ingersoll Rand, ma con l’idea sempre più convinta che quelle esperienze possono trasformarsi in una attività propria. Nel cuore di un periodo in cui l’innevamento tecnico brucia le tappe e alla francese York si aggiungono numerosi marchi di produzione e progettazione («Infatti… Siamo andati bene fin quando eravamo in pochi, poi la concorrenza è diventata davvero troppa»), la Valteco Srl dell’ingegner Della Cagnoletta si ritaglia un ruolo da assoluto protagonista, i cannoni Musket e Z-1 della Larchmont si fanno conoscere un po’ dovunque nelle stazioni invernali.
Nel 1982 realizza il suo primo sistema di innevamento con i cannoni dell’azienda americana attrezzando la pista Stella Alpina a Bormio: «Era novembre – ricorda Mario – c’erano da disputare le World Series in vista del Congresso FIS di Sidney che doveva decidere l’assegnazione dei Mondiali 1985. Fu un successo organizzativo decisivo per dimostrare la capacità di garantire la neve e Mario Cotelli mi sostenne, volle che fosse un’impresa valtellinese a realizzare l’impianto».
Fu un successo per Bormio, fu un successo per Valteco. Nel 1985 Gianni Marzola commissiona la progettazione dell’impianto per l’area di Plan de Gralba in Valgardena. E poi Sestriere, Alagna e Alpe di Mera, Corno alle Scale e Ovindoli, Abetone e Amiata («…dove fare neve era proprio difficile»), impianti e progetti Valteco tra le Alpi e gli Appennini ma non solo («Abbiamo fatto neve anche nel Principato di Andorra, sui Pirenei, al seguito di Agudio »).
Dai ricordi saltano fuori anche i viaggi si può dire «di studio e di lavoro» («Con Aldo del Bo’ ed Eugenio Monti eravamo stati a Lake Placid per vedere come funzionava là l’innevamento. Sono stato a Östersund, in Svezia, a visitare la fabbrica Lenko») e altre cosette («Ai montanari piaceva moltissimo essere portati in giro a visitare e conoscere altri posti fuori dalle loro valli»).
Tutto bello e tutto bene finché (appunto…) il mercato non diventa saturo di concorrenza. Nel 2000, a 63 anni, Mario dice stop: cede l’azienda a Sergio Lima che è uscito da York e ha fondato Snowstar ma ritaglia dalla transazione il segmento di produzione avviato nel settore degli allestimenti per il tempo libero per consegnarlo alla figlia Giovanna che, insieme al marito Matteo Pulli, farà del marchio Gea un leader di quel mercato. Segue un periodo di consulenza in materia di collaudi di tipo amministrativo in collaborazione con l’ingegner Giuppani di Sondrio. Inizia una serena e agiata vita, tra le 18 buche del Molinetto Country Club e i nipoti che nascono e crescono. E la neve programmata? Un pensiero bianco che resta: «Sun vecc…ma è stato bello ricordare».
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