Com’è andata? Pare complessivamente bene.
Nel valutare i conti della stagione 2018/19, i bilanci delle imprese impiantistiche si appendono a numeri ballerini che segnano a macchia di leopardo risultati ottimi, buoni, meno buoni, negativi, seguendo le casistiche di situazioni e potenzialità troppo diverse per essere comparate.
Complessivamente bene vuol dire che nonostante le bizzarrie meteorologiche, l’ormai consueto «inverno incerto» dalle scarse precipitazioni naturali ha consegnato un bilancio positivo al movimento del turismo invernale e della montagna bianca trainato dallo sci come emerge anche dalla piccola indagine che abbiamo svolto per questo numero di pM.
Nel retrogusto di senso di quell’avverbio conciliante è comunque nascosto anche quel retropensiero («poteva andare peggio») che da tanti anni ormai accompagna l’attività dell’imprenditoria della neve alle prese con i montanti mutamenti climatici talvolta accessoriati da complicanze supplementari (una a caso: il vento…), capaci di capovolgere la natura, di lesinere precipitazioni naturali tra novembre e dicembre per poi magari dispensarle abbondanti addirittura tra aprile e maggio dopo aver inventato un marzo di temperature africane.
Insomma, ogni anno ormai è una scommessa, una sfida all’ignoto, condotta però con armi sempre più perfezionate e consapevoli, con quell’innevamento tecnico che ha raggiunto livelli di efficienza straordinari, ormai talmente forte da guardare quasi con fastidio le nevicate naturali che cascano male, magari durante i week end: nei week end (come è avvenuto spesso quest’anno) è molto meglio il sole per attirare gli sciatori; tanto la neve c’è comunque, ottima e ottimamente lavorabile; le piste sono tappeti di biliardo perfettamente battuti per coccolare una clientela, soprattutto italiana, forse e addirittura fin troppo viziata.
Ecco un altro dato ormai in costante consolidamento: cresce la clientela straniera (polacchi ed Est europeo in primis), ristagna o addirittura regredisce quella italiana. Perché?
Forse perché con il telefonino in tasca e le previsioni meteo a portata di click basta una nuvola per sconsigliare il viaggio.
O forse perché la nostra perenne crisi economica non ha ancora smesso di mordere. O forse perché lo sci e la vacanza invernale subiscono sempre più la concorrenza di altre tentazioni, magari meno sportive e più esotiche.
Bisognerà valutare il problema prima che diventi serio e svuoti il bacino d’utenza che alimenta ancora, soprattutto, le località medio-piccole, quelle stazioni di prossimità che già soffrono pene d’inferno per le loro fragilità strutturali.
Comunque, tra le consuete distinzioni legate a specifiche circostanze locali di chi vede il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, si può dire che la stagione invernale 2018/19 si sia chiusa ancora una volta positivamente per il comparto economico del turismo invernale.
Ancora una volta l’hanno salvata gli investimenti ingenti compiuti dai gestori delle imprese impiantistiche nell’innevamento tecnico ma c’è sicuramente chi ha pagato più di altri in termini di presenze, accessi, e fatturati; c’è il gap tra le località che dispongono di quote elevate e di risorse per investimenti milionari e le località di quote medio-basse e di mezzi limitati.
È questo, la tutela delle realtà più piccole e meno forti, uno dei temi su cui potrebbero tentare di ritrovarsi e di riprendersi l’ANEF e Federfuni sanando la ferita della loro divisione.
I problemi ci sono per tutti, «ricchi» e «poveri». Pare che l’andamento climatico sia ormai orientato a propinare qualsiasi scherzo salvo che tornare alle certezze di un passato di anno in anno sempre più lontano; pare che voglia proporre sempre più spesso, ad esempio, inverni capovolti, con la neve naturale che cade dopo anziché prima, come è successo quest’anno.
È certo comunque che con questo clima, senza disporre della possibilità di innevare artificialmente le piste non esiste più la sicurezza della convenienza di gestione delle società degli impianti e il processo di selezione naturale tra le stazioni sciistiche rischia di accentuarsi.
Tra novembre e dicembre, le strisce bianche dell’innevamento tecnico stese nel panorama brullo di montagne spoglie sono sempre più spesso la salvezza di chi ha saputo e potuto permettersele e nello stesso tempo hanno efficacemente rappresentato la sfida a cui è chiamata oggi l’economia della montagna bianca e del turismo invernale trainato dallo sci per garantirsi il futuro.
In quell’immagine così emblematica c’è la tecnologia della ricerca per poter produrre neve anche in condizioni climatiche difficili e a temperature critiche; c’è la volontà ferrea di non arrendersi alle incognite del clima nello sforzo di mantenere viva un’attività imprenditoriale che alimenta le economie di tanti territori tra le Alpi e gli Appennini producendo attività indotte e benessere.
Ma servono investimenti sempre più onerosi, privati e pubblici, a fronte di un’utenza che non fa più sconti, che vuole essere coccolata con piste sempre perfette battute da «gatti» sempre più futuristici dotati di sistemi satellitari, con impianti di risalita sempre più moderni, con seggiovie dalle seggiole che non stonerebbero in un elegante salotto, e poi con offerte sempre più sofisticate per il doposci, la sera, il wellness, le spa.
Il mercato del turismo invernale diventa sempre più difficile ma è anche questo il bello della sfida: alzare l’asticella, migliorare la qualità dell’offerta.