Hei tu, sciatore formidabile, pittore di curve disegnate ad arte, intellettuale della tecnica, vuoi diventare maestro di sci? Ecco qui alcuni consigli.
Prima cosa, non conta chi sei stato fino al momento in cui decidi di diventare maestro. È invece fondamentale essere coscienti che il percorso non è né semplice, tanto meno breve. Un’esperienza splendida ma che ha bisogno di totale devozione, coraggio e caparbietà. Senza queste caratteristiche, la scia pure perdere.
Tutti coloro che vogliono diventare maestri di sci hanno la necessità di superare le prove selettive per accedere al corso di formazione.
Questo è il primo e forse anche lo scoglio più impegnativo da superare. Le selezioni, così come le formazioni, sono di competenza regionale e ognuna può avere regole differenti.
Di base le differenze sono proprio minime ma in particolare due sono i punti identici per tutti e riguardano le prove dimostrative per le quali si sarà giudicati. Stiamo parlando del gigante cronometrato e 3 e/o 4 dimostrazioni di curve condotte ad archi differenti.
Chi può passare le selezioni? Quali sono i requisiti indispensabili, e non acquisibili in 90 giorni di formazione, per diventare maestro di sci? Perché si scelgono proprio queste prove per dimostrare di essere all’altezza?
Molti si chiedono cosa centri una prova di gigante cronometrata con il lavoro di maestro. Contestano il fatto che magari per un pugno di centesimi non si riesca d accedere al corso. Insomma, agonismo e insegnamento sono mondi differenti. Dunque?
La classe tecnica dirigente sostiene questo: non è forse la capacità di essere performanti in un gigante, una delle finezze espressive più eclatanti del gesto tecnico? E se queste non devono essere appannaggio del maestro di sci, di chi altri lo devono essere?
Il gigante è una prova spietata, super partes, come solo quella contro il cronometro lo sa essere. Una gara contro se stessi e sulla capacità di rientrare entro il tempo limite fatto segnare dall’istruttore così detto parametratore.
Così, chiunque abbia compiuto la maggiore età ha la possibilità di misurarsi con i suoi nervi su questa prova di velocità che risulta essere il primo sbarramento da superare per accedere alle fasi successive.
Una volta espletata la parte amministrativa, la sera prima degli esami, si procede all’accreditamento.
I selezionandi ricevono le prime istruzioni per l’indomani. L’emozione traspare da occhi agitati che saltellano da un lato all’altro della sala, da sorrisi timidi ed inibiti. O da fili di voce che cercano di mascherare il timore reverenziale di una prova che potrebbe stravolgere, in positivo, le loro vite.
Come nelle gare più importanti, ogni concorrente riceve il proprio pettorale estratto a sorte. Sarà il numero con cui si getterà tra le porte del gigante il giorno dopo.
Il gigantista che è in ognuno di loro dovrà fare del suo meglio per avvicinarsi all’istruttore che, dal canto suo, dovrà cercare di non sbagliare per rendere giustizia ed equità in ogni prova e per ogni selezione d’Italia.
Così qualcuno si sente pronto dopo qualche giorno di allenamento, qualcun altro un po’ meno. L’unica verità è che ogni prova di gigante è una storia a sé. Non si può mai essere sicuri di passare, finché il tempo al traguardo non si sia fermato nel momento giusto.
Questa la bellezza dell’imparzialità del cronometro. Un secondo aspetto positivo di questa prova è che si hanno due chances per dimostrare di meritare l’accesso.
Le Regioni e i collegi organizzano al meglio questa prova, i migliori allenatori tracciano all’occorrenza, squadre di lisciatori minimizzano il segno del passaggio dei concorrenti. È necessario perché spesso i candidati sono centinaia!
Addirittura i parametratori, a discrezione di regolamento, scendono ogni batteria di 20-40 concorrenti per evitare che le condizioni della pista siano impari o svantaggiose per gli ultimi al cancelletto.
Al termine di questa prima opportunità, aleggiano emozioni e sentimenti misti. Felicità estrema di essere passati al primo colpo, delusione per una caduta inaspettata. O rabbia per un errore un po’ troppo marcato o speranza che vada meglio nella seconda… manche, specie se si è rimasti fuori per un nonnulla.
Tutto si ripete, una seconda volta. Chi ha già superato la prova invece fa soltanto il tifo! Finisce così la prima giornata di selezioni. Tra sorrisi e lacrime o solo delusioni.
Qualche mente saggia rielabora pensierosa l’esperienza valutando il gap al raggiungimento del traguardo sognato.
Intanto la commissione convocata ad hoc per la seconda fase (valutazione dei diversi archi di curva), silenziosamente controlla il corretto svolgimento del gigante, del quale è garante.
Così inizia a osservare qualche candidato dai punti più strategici della pista, così che possa già farsi un’idea per la valutazione delle prove successive.
Nel pomeriggio ecco un nuovo impegno istituzionale per i ragazzi che hanno avuto accesso alla seconda fase.
Si è convocati per un nuovo incontro in sala con commissione, presidente, rappresentanti del collegio e funzionari regionali.
In pochi entrano in quella sala con il morale alto per aver superato una prova difficile, ma ancora in ansia perché solo metà del lavoro è stato portato a termine.
Ognuno di loro sa che l’indomani dovranno concretizzare il loro sforzo, dimostrando al meglio in 3 o 4 discese tutte le loro abilità, adeguandosi agli archi richiesti.
Ma cosa vuole davvero vedere la commissione in queste poche discese? Beh…sicuramente non dei maestri già formati, con tecnicismi ed automatismi perfetti.
I maestri/commissari sanno bene che i candidati sono lì a dimostrare di essere capaci di affrontare un corso di formazione, cercano di valutare il valore potenziale di ogni singolo, senza essere appannati dalle costruzioni sulla figura dello sciatore che, negli anni, si sono succedute.
Sono molto attenti a valutare la capacità di gestione dei piedi, il saper controllare la velocità, seppur elevata, senza perderne il controllo, il riuscire ad eseguire in spazi determinati arco corto, medio ed ampio e la disponibilità motoria.
Nonostante resti a totale discrezione del collegio di commissione il numero e quali archi da dimostrare, nella maggioranza dei casi le prove più frequenti si avvicinano molto per dimensione ed andatura a quelle del Livello 7 della progressione tecnica dello sci italiano attualmente in uso.
La caratteristica principale di questo livello è la capacità di creare delle curve, deformando e conducendo gli sci, senza aumentare la velocità e in un corridoio di larghezza costante in funzione del tipo di arco.
Tre le grandezze previste: Cortoraggio, Serpentina e Parallelo.
L’Arco corto, detto cortoraggio, si esegue in un corridoio di larghezza di circa 5-6mt con una frequenza molto elevata, cadenzata dal ritmo dell’appoggio del bastone ad ogni inversione di curva.
In questo arco la difficoltà maggiore sta nel creare degli archi di curva con un raggio inferiore a quello geometrico suggerito dalla sciancratura dello sci. Tale effetto riusciamo ad averlo grazie ad una gestione fine della rotazione dei piedi in abbinamento ad un’ angolazione elevata.
Vista l’alta velocità dei gesti e la rapida inversione della direzione, ai meno addetti ai lavori, potrebbe sembrare che siano delle sterzate controllate, niente di più sbagliato! Difficilissimo è creare una deformazione in un tempo cosi breve, con il bastone che deve appoggiare e la direzione da ricambiare!
Il segreto sta nel muovere il meno possibile i segmenti superiori, che fungono da stabilizzatori e permettono alle gambe ed ai piedi di muoversi più velocemente da un lato all’altro.
Sarà dunque importante generare delle traiettorie rotonde e dinamiche senza precludere la fluidità dei movimenti.
Nel corso degli ultimi 50 anni questo arco è cambiato molto, adeguandosi alle possibilità offerte dalla tecnologia dei nuovi attrezzi.
Il corto raggio moderno vede spazi e respiri più ampi, seppur le velocità non siano diminuite, anzi. Questa prova è sicuramente impegnativa per la reattività ed il numero di movimenti da eseguire nel minor spazio, poco il tempo per pensare.
Se c’è una minima esitazione nel tempismo o nel movimento, tutto va «fuori giri» inficiando l’efficacia della prova, essendo difficilissimo rientrare al ritmo giusto!
Quindi è una prova che vuole far dimostrare: ritmo, coordinazione, rapidità e capacità di gestione delle rotazioni / inclinazioni con elevatissima velocità angolare.
La seconda prova è l’arco medio o serpentina. Le porzioni più esterne di due archi successivi di queste curve dovrebbero rientrare in un corridoio laterale di 10-12 mt,. Quindi, il doppio dell’arco corto.
Con questa tipologia di curva, grazie alle geometrie dei race carver è idealmente possibile condurre l’intero arco con minime rotazioni dei piedi. Significa lasciare due tracce nette dei binari sulla neve.
Così facendo, l’attrito laterale è minimizzato con la conseguenza che la velocità tende ad aumentare e con essa le forze da gestire.
Questa è la caratteristica difficoltà del medio: restare entro i termini canonici senza aumentare la velocità.
Dimostrare, inoltre, di non riuscire a gestire e modulare le forze elevate che si creano. È poi necessario a tal fine avere una tonicità muscolare senza rigidità e ritmo elevato, dettato dalla necessità di anticipare le forze che si eserciteranno nella seconda fase di curva.
Ovviamente maggiore è la pendenza dove si dovrà dimostrare quest’arco e esponenzialmente maggiori saranno le difficoltà riproposte per la gestione dell’arco.
L’ultimo arco previsto dal livello L 7 è l’arco ampio o parallelo. Questo è canonizzato in una larghezza di corridoio di 20-24mt, raggiungendo velocità generali più elevate.
La vera difficoltà di quest’arco sta nella gradualitò, nello spazio e nel tempo, dei movimenti necessari a svolgere la curva, la cui bellezza sarà espressa dalla fluidità, dall’armonia e dalla precisione della presa di spigolo condotta in tutta la curva.
Oltre queste dimostrazioni, che dovrebbero evidenziare i massimi livelli della tecnica, o la capacità reale / potenziale di poterla effettuare, abbiamo altre due prove possibili, ma non sempre usate: la prova Libera e la prova situazionale.
La prova libera
Il candidato deve dimostrare di saper collegare azioni motorie differenti adatte al contesto e al pendio. E con la possibilità di muoversi liberamente secondo ogni arco.
Significa cambiare ritmi ed eseguire a suo piacimento salti, inversioni di direzione o altre abilità.
È una prova divertente da dimostrare e da guardare. Viene premiata in particolare la capacità di controllo della velocità, la gestione dei tempismi. Si considerano anche i collegamenti di ritmi diversi con la maggiore naturalezza possibile.
Prova che premia creatività ed abilità motoria nell’accezione più ampia del termine. La prova situazionale, solitamente, viene tirata in ballo quando le condizioni della pista / fuoripista sono particolarmente difficili o sconnesse.
La prova libera è atta a dimostrare la capacità di gestione del corpo e dei piedi in momenti non ottimali e particolarmente difficili. Dove sarebbe eccessivo richiedere una canonizzazione di archi, dimensioni e velocità.
Permette di evidenziare la capacità di adattamento dei candidati, esaltando doti atletiche e motorie in generale. Eh sì, anche queste risultano fondamentali per la figura del maestro di sci.
Ok, Fin qui una panoramica veloce di ciò che si deve fare, ma cosa evitare in selezione?
Presi dall’ansia, dal timore di non raggiungere i risultati per i quali ci si è molto allenati, alcuni candidati vanno in «palla». E commettono errori di gestione piuttosto compromettenti.
I primi problemi amministrativi e istituzionali, seppure non rilevanti essendo un bando pubblico, sono sempre in agguato. Tipo, visite mediche non in originale, iscrizioni non in tempo, produzione di atti amministrativi non corretti.
Questi sono i classici inconvenienti con i quali si scontrano i ragazzi che sono appeni usciti dal mondo delle gare. Coloro che non hanno ancora avuto a che fare con le lungaggini della pubblica amministrazione.
In questo, i candidati più maturi hanno un piccolo vantaggio. Molto notati sono i ritardi, le assenze, la non dimestichezza nello gestire le situazioni e la maleducazione nell’affrontare problematiche in itinere.
I riflettori sono accesi, sempre, in ogni fase del processo di selezione. Tutti sono potenziali selezionati. La commissione da attenta osservatrice, cura la figura ed è piacevolmente compiaciuta se i candidati sono ordinati, precisi e puliti.
Essendo la seconda parte, una dimostrazione anche estetica, l’abbigliamento potrebbe favorire se armonizzato dagli archi corretti.
Piccoli trucchetti: le righe orizzontali sul busto accentuano le inclinazioni. Pantaloni troppo larghi nascondono i gesti delle ginocchia. Se invece sono eccessivamente stretti potrebbero ingannare da lontano se i gesti non sono corretti.
Altri «peccati veniali,» probabilmente dovuti alla tensione, sono quelli di imprecare all’arrivo, se si pensa di aver sbagliato, parlare o urlare durante la prova.
Questi «particolari» fanno spesso scappare il sorriso alla commissione. Un’altra cosa da non fare, che è capitata alcune volte, è lo scambio di persona!
Qualche furbetto ha pensato di far scendere qualcuno al posto suo. Probabilmente sospettando di non essere sufficiente per quella prova. Ma è che è stato smascherato al controllo documento d’identità che avviene prima di ogni prova. Ovviamente le conseguenze sono state gravissime!
Beh, comunque l’aspetto positivo degli errori c’è. A meno che non si voglia imbrogliare, la maggior parte degli errori che si possono commettere, tra i quali c’è anche la caduta, sono rimediabili. Basta ottenere la piena sufficienza della dimostrazione del gesto tecnico.
Questo perché, su tutto, la bravura è sicuramente un aspetto imprescindibile. Dura è la prova di selezione all’accesso, ma non è forse questo ciò che aiuta a rendere i maestri Italiani i migliori?
di Chiara Carratù (Istruttore Nazionale)