Tommaso Sala a un mese dal primo slalom:”Posso giocarmela!”
Intercettiamo Tommaso Sala tra un allenamento e l’altro con il primo slalom distante un mese (Val d’Isère, 11 dicembre) e qualche appuntamento Fis e di Coppa Europa all’orizzonte pre prendere il ritmo gara. Quello che non ha potuto già prendere a Sölden perché Carca ha preferito non inserirlo tra i convocati.
Tommy, avresti voluto esserci anche tu?
Devo proprio risponderti? A parte gli scherzi, è giusto che in questo momento mi dedichi soltanto allo slalom, dunque scelta assolutamente condivisa. Quest’estate ci ho dato dentro abbastanza tra le porte larghe, ma nelle ultime tre stagioni ne ho fatte troppo poche. Ogni volta che mi ci mettevo mi si bloccava la schiena e allora dovevo fermarmi una, due, tre settimane. Da lì la necessità di concentrarmi sullo slalom. Poi, se mi chiedi se mi piacerebbe in futuro riprenderlo, ti rispondo assolutamente sì. L’ho sempre fatto, mi è sempre piaciuto, è ancora un obiettivo. Farò qualche giro in Coppa Europa, la prima per me credo sarà l’1 e 2 dicembre a Gurgl, in Austria.
Invece per il primo slalom manca ancora un mesetto…
Eh sì, Val d’Isère, 11 dicembre, ma va bene così, perché si sposa con la mia personale visione di programmazione agonistica. In generale sono per il non sciare troppo durante l’estate ed è per questo che secondo me Sölden è troppo presto. Ottimo evento di marketing perché dà una spinta emotiva alla pratica dello sci, ma per gli atleti è un po’ una forzatura. Non è un caso che con l’avvicinarsi dell’opening aumentino statisticamente gli infortuni.
Tu hai già dato! A proposito, la caviglia ti dà ancora problemi?
Ne ho continuamente. La mia caviglia non andrà mai a posto, ho rotto troppe cose. Si contiene, ma col passare del tempo peggiora, per fortuna lentamente. Però peggiora, quindi ho imparato a conviverci. Potrebbe cambiare qualcosa finire sotto i ferri, ma già nel 2018 mi dissero di tornare eventualmente a carriera ultimata, con la promessa di non prenderci più botte perché si tratterebbe di un intervento importante che in Italia non ha ancora mai fatto nessuno.
Per questo che sei riuscito a venire fuori soltanto l’inverno scorso?
Nì, in realtà ero molto in forma anche l’anno prima, forse ancora meglio dell’ultima Coppa, ma sono incappato nel covid saltando i primi due appuntamenti di coppa in Badia e Campiglio. A parte la positività, non ce la facevo proprio. Sono rimasto un sacco di giorni a letto, faticavo a respirare con una saturazione bassissima, febbre alta. Tutti i sintomi previsti li ho patiti dal primo all’ultimo. Chiedi a mia mamma, non riuscivo nemmeno a parlarle al telefono!
Quanto ti è durata?
Quattro, cinque giorni d’infermo, ma poi quando mi sono ripreso, appena facevo due passi mi sembrava di aver scalato l’Everest. È bastata una doccia per farmi dormire venti ore di seguito! Per riprendere le capacità polmonari che avevo prima ci ho messo sei mesi e mezzo. Capirai che stagione potevo fare…
Eri comunque certo che prima o poi sarebbe venuto fuori il vero Tommy…
Mah, senti, in allenamento ho sempre sciato molto bene, poi in gara, per un motivo o l’altro, non sono mai riuscito a venir fuori. L’anno scorso, primo anno in cui non ho avuto niente, è andata com’è andata. Oddio, a ben vedere mi sono fermato a ottobre tre settimane per il mal di schiena, però ho avuto il tempo per ristabilirmi in vista della prima gara.
È dura lottare per beccare quel dannato posto nei trenta…
È la cosa più difficile, ma anche in questo caso ho già dato. Ora sono 13esimo al mondo e spero di non tornare più in quell’inferno!
Invece dove speri di arrivare?
Non lo so semplicemente perché è una domanda che non mi pongo mai. Fissare obiettivi precisi mi crea pressioni, aspettative e stress. È uno degli argomenti che affronto di più col mio mental coach. Lui, ma credo tutti gli psicologi dello sport, sostiene che sia necessario porseli. Allora abbiamo trovato un compromesso: obiettivi sì, ma non basati sui risultati, perché è troppo dipendente da un’infinità di variabili. Non stiamo parlando dei 100 metri dove probabilmente fai una programmazione per abbassare, di volta in volta il tuo tempo. In quel caso sei solo tu e un corridoio di tartan. Quindi lavoro su altro, ovvero essere me stesso al 100 per 100 sempre.
Come l’anno scorso?
In qualche occasione non ci sono riuscito, ma dietro c’era anche una certa strategia. Mi servivano punti, solidità e anche un po’ di fiducia. Quest’anno la situazione è differente, parto un po’ più avanti e posso giocarmela di più e prendermi quei rischi che prima evitavo.
Non sembra che tu ne corra troppi, la tua sciata è molto pulita!
Se mi guardi scendere, specie in Tv, sembro lento. Tutt’altra cosa rispetto, ad esempio, a Vinatzer, che ha una sciata molto dinamica e si muove tanto. Lo vedi e ti dà la sensazione di andare velocissimo. La mia figura è invece sempre stata ben più statica, ma quello che è cambiato ultimamente dal punto di vista tecnico è la solidità nei rimbalzi, esplosioni, errori. Prima ne facevo parecchi, ora se li commetto, li recupero rapidamente. Ho poi la fortuna di essere sempre centrale.
Un atteggiamento che regala sicurezza…
Ecco, questo potrebbe essere l’errore più grande, così come andare a tutti i costi a ricercare troppe sensazioni.
Gli allenatori servono anche per questo: a te aiutano di più sul lato tecnico o motivazionale?
50 e 50, perché ci deve essere un mix molto equilibrato. Considera che la tecnica non si ferma mai. Senza andare troppo indietro nel tempo, ma ti ricordi come sciavamo solo cinque anni fa? Vincevi le gare se le carvavi tutte, con lo spigolo di taglio, bello rotondo. Se oggi scii così non arrivi nei 40! Ecco, se non hai il coach che ti porta sulla strada giusta sei fregato. Dall’altro lato se hai a che fare con un tecnico molle, che non ti dice niente, non ti motiva, non ti sprona, rischi di arrivare al cancelletto con lo stesso atteggiamento.
Hai ancora rapporti con i tuoi primi allenatori di club?
Certo che sì, Pier Dei Cas e Carlo Riva, ovvero quelli dello Sci Club Lecco che mi hanno tirato su. Proprio pochi giorni fa ho passato due ore a casa di Pier, Ci vediamo o sentiamo ogni settimana. Siamo molto amici, quindi non parliamo soltanto di sci o di piste.
A proposito, ce n’è una che ti ispira di più?
Kitz!
Guarda caso… 6°, miglior risultato in carriera!
Non dico Kitz per questo motivo, anzi se sono arrivato sesto, forse è proprio perché ne ero innamorato già prima. Direi fin dal primo giorno che l’ho scoperta. Non ricordo quanti anni fa, quattro o cinque, credo, avevamo fatto la sciata in pista, quindi senza pali, sono arrivato in fondo e ho detto: “Questa è la pista più bella che abbia mai fatto“.
Non riesco nemmeno a definirla una pista. È qualcosa di particolare, tutta storta, mossa… Probabilmente mi ricorda quando ero piccolo e sciavo soltanto al sabato e alla domenica. Il maestro ci portava a fare un giretto in mezzo ai boschi e poi con gli amici, finita la lezione, tornavamo lì nel pomeriggio per divertirci a schivare gli alberi in neve fresca. Ecco, quelle sensazioni le provo allo stesso modo sulla Ganslern. Nell’immaginario i pali diventano alberi!
Sei andato bene anche a Schladming…
Vero, ma la pista in sé non mi fa impazzire. Di contro, l’atmosfera che c’è è pazzesca. Esiste soltanto lì, arrivi in fondo con la voce di sessantamila persone. Una cosa assurda, però la pista non ha nulla a che fare con Kitz e Wengen, le più belle in assoluto.
Se ti sente Campiglio…
Lì è figo per l’atmosfera di casa. Poi, certo, la pista non è male, leggermente corta ma ha un po’ di tutto, niente da dire. Ti accorgi però di essere a casa e questo è tanta roba. Quando sei a metà pista senti lo speaker che urla e ti gasi! L’anno scorsolo ricordo, quando all’intermedio ho sentito che ero quinto ho iniziato a spingere ancora di più. Un’altra volta mi è arrivata la voce. “è luce verde!”, e allora gli sci hanno iniziato a volare, perché ti viene di andare ancora più forte.
Dal punto di vista atletico sei messo bene?
Ho la fortuna di avere due preparatori molto bravi, quello della squadra, Bianco Dolino e quello del Lecco Dino Tenderini. A livello genetico a me manca un poco la parte aerobica. Sono super esplosivo, forte e rapido, ma poco resistente. Così, dallo scorso anno è partito un progetto di lavoro per andare a migliorare tale aspetto. Come in tutte le cose, ci vuole sempre un buon equilibrio, per avere una buona base che ti preservi anche dagli infortuni. Nel mio caso, poi ho dovuto adattare tanti esercizi alla caviglia e alla schiena. Prima correvo tanto, cosa che non riesco più a fare, pertanto, son salito in sella a una bici.
A Ushuaia è andato tutto per il verso giusto?
È la sesta volta che ci vado e questa è stata la migliore. Mi sono dovuto fermare solo tre giorni per un blocco alla schiena, ma niente a che vedere rispetto al problema patito l’anno scorso. Per il resto, tutto top! Tommaso Sala a un mese dal primo slalom:”Posso giocarmela!” . Tommaso Sala a un Tommaso Sala a un Tommaso Sala a un Tommaso Sala a un Tommaso Sala a un
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