Sciare sotto protezione, armati fino ai denti sembra il titolo di un film d’azione moderno. Invece è la moderna interpretazione delle antiche armature come riparo per gli sciatori d’oggi.
Fin dall’antichità e ovunque sul globo terrestre, si è sempre assistito alla creazione di orpelli che abbigliassero i guerrieri in modo da riparali il più possibile da eventuali colpi che giungessero dall’esterno. Sia che fossero da arma da taglio da contatto, che da corpo contundente da impatto.
In Europa dal XIV fino a giungere al XVI secolo si assistette a un progressivo incremento della corazzatura dei cavalieri fino a giungere al massimo nelle armature del XVII secolo. Quando ormai obsolete sui campi di battaglia, erano delle proprie e vere opere d’arte riservate soprattutto a scopi di rappresentanza.
O come protezione durante i tornei cavallereschi. L’armatura è tuttora presente in campo bellico come difesa di mezzi e soldati, sotto vari aspetti e forme, ma non solo.
Ma questo – domanda lecita – cosa c’entra con lo sci alpino?
Ormai, se procediamo nell’analisi del bagaglio essenziale di ogni sciatore agonista, notiamo, a seconda della specialità praticata, una serie di variopinti capi di abbigliamento. Che potrebbero essere, a tutti gli effetti, assimilabili agli antichi e/o moderni sistemi di difesa individuale passiva di guerrieri in procinto di affrontare una battaglia.
Nel nostro caso, la battaglia, è nei confronti degli impatti che il corpo dello sciatore moderno subisce col contatto violento e ripetuto sia con rapid-gates. Ovvero i pali da slalom o quelli direzionali di gigante e superG. E pure con qualche riserbo tecnico, nelle discese libere.
Senza entrare nei meriti tecnici, è ovvio che le attuali velocità e le traiettorie da ricercare per la massima performance, portano a impattare con violenza, in maniera voluta o occasionale, contro i corpi statici. Quelli di delimitazione del percorso in modo più o meno traumatico per il nostro corpo.
Per evitare ciò e per essere più “incidenti” sul percorso, sono nate e si sono evolute nel tempo, una serie di strutture a protezione delle varie parti del corpo dello sciatore agonista (e non solo).
Il casco ne è il tipico e più evidente esempio! Da ciò l’espansione alle varie protezioni è sotto gli occhi di tutti e giustamente ne devono essere serviti tutti, fin dalle prime esperienze tra i pali.
Ormai esistono aziende dedicate, che hanno in catalogo protezioni per ogni età e soluzione. E come spesso accade, la produzione, segue le necessità che comunque nascono prima che la disponibilità del prodotto industriale sia disponibile sul mercato.
Chiaro esempio di economia politica dove l’offerta nasce da una domanda che comunque precede la creazione dell’offerta stessa. Infatti, a necessità, l’utilizzatore sopperisce agli eventi traumatici, spesso attraverso soluzioni, che potremmo definire “casereccie” o detta all’americana “custom-made”.
I ricordi vanno ai primi momenti in cui, all’emancipazione della tecnica sciistica, si ebbero delle soluzioni improvvisate. Con protezioni applicate al momento, poi elaborate dalle aziende.
Brunel, sarto di Soraga (TN), negli anni ’70, fu uno dei primi ad inserire nelle sue creazioni sportive “su misura”, intercapedini protettive. Poi presenti anche nella produzione di serie e diventate leggenda addosso ai mitici componenti della valanga azzurra.
A seguire (anni ’80/90) si crearono in casa delle protezioni costruite con vari materiali di recupero, fino a giungere alla costruzione “custom” con resine epossidiche e/o poliestere abbinate alla fibra di vetro.
Anche in questo caso, poi, l’industria fece sue le richieste di mercato e quindi l’offerta divenne un bene alla portata di tutti.
Questa è storia, che comunque si ripete nel tempo. Perché la tecnica precede il prodotto e quindi a ogni variazione di ingaggio al palo, si sommano importanti traumi che possono anche trascendere in temibili conseguenze patologiche. Che purtroppo spesso necessitano di intervento medico, se non nei casi più gravi, anche del chirurgo.
Specialmente per le fasce giovanili, bisogna porre molta attenzione a ciò. Ttanto più che ematomi di ampia superficie e mal curati, possono provocare, con la ripetizione degli impatti, cronicizzazioni , ripeto, pericolose.
Quindi, oltre a essere adeguatamente protetti, bisogna sempre avere la massima attenzione alle “botte” subite.
Essere protetti, nella extrema ratio della performance sportiva, significa anche avere maggior sicurezza. E quindi affrontare con maggiore determinazione e veemenza anche i tracciati più insidiosi.
Ecco allora i guerrieri moderni dello sci alpino che, come antichi cavalieri della tavola rotonda, giungono a farsi confezionare le proprie armature su misura. Perché le stesse protezioni, siano costruite sulla “pelle” dell’atleta, tanto che le stesse possano garantire, oltre che protezione, il massimo della vestibilità.
Dal punto di vista del metodologo dello movimento e delle attività sportive, possiamo ritenere che il processo di difesa del corpo sia da identificare su in due aspetti :
1. La creazione, attraverso un opportuno programma di preparazione fisica, di una struttura muscolare atta a “difendere” il più possibile lo sciatore dagli impatti.
Imperativo quindi, creare la naturale barriera difensiva con una opportuna muscolatura che può efficacemente contrastare una parte degli impatti. Parliamo allora di un supporto difensivo attivo, creato e voluto.
2. Ma questo non è sufficiente, per cui si deve ricorrere a dispositivi di difesa passiva adeguatamente strutturati, tanto che creino un esoscheletro artificiale di difesa. Parliamo allora di una armatura passiva, da aggiungere al tradizionale abbigliamento sportivo.
Il punto Uno è chiaramente compito dello specialista della preparazione fisica. Professionista che può anche, col contributo dell’allenatore tecnico, creare, oltre ad una opportuna massa muscolare, anche schemi motori precisi. Capaci di favorire la migliore esecuzione di un gesto in relazione all’impatto.
A questa costruzione personalizzata, di una resistente struttura muscolare, segue la necessità di fornirsi delle adeguate protezione di cui al punto Due.
Nell’alto livello, dove i centesimi di secondo cambiano la classifica finale, fino al colore di una medaglia Olimpica e/o Mondiale, la cura dei dettagli fa la differenza. E così come dai campioni abbiamo appreso la necessità, poi diventata arte, del Setting del materiale tecnico, ora si è giunti al settaggio personalizzato. Anche per le protezioni individuali.
E qui entrano in campo aziende specializzate nella produzione, diremmo “sartoriale” delle protezioni, dove l’atleta è sottoposto ad una rilevazione micrometrica delle proprie caratteristiche strutturali ed antropometriche.
Dopodiché si passa al calco sulla persona per poi passare alla produzione personalizzata dell’armatura, con materiali derivati dalla tecnologia aero-spaziale.
Fantascienza o pazzia della redazione di SciareMag?
Direi proprio di no come lo dimostra l’articolo che dedicheremo a breve alle protezioni create “su misura” per una delle atlete di vertice dello sci mondiale. Stiamo parlando di Petra Vlhova, intercettata sia a Hintertux proprio in questi giorni. Ma anche nel laboratorio cui la slovacca si è affidata. Tutto in esclusiva per Sciare e sempre Senza Scarponi.
Sul numero del 1° novembre di Sciare, approfondiremo l’argomento anche con alcuni esercizi idonei per creare una muscolatura di difesa per giovani atleti sciatori, naturalmente sempre Senza Scarponi.
Il norvegese Timon Haugan, con protezioni Energiapura