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Salviamo i Master A

In rifugio, al termine di una gara master in notturna, eravamo quattro amici che si sentivano tutti e quattro nello stesso modo un po’ dei pirla: nemmeno sommando le porte che ciascuno di noi aveva fatto, si poteva dire di aver finito la gara. Chi dopo tre, chi dopo quattro, chi dopo sei porte, eravamo usciti tutti. Nessuno aveva fatto più di dieci curve, eppure tutti avevamo fatto almeno 150 km d’auto e altrettanti ci attendevano per tornare a casa; tutti avevamo perso dalle due alle tre ore di lavoro e almeno un centone di euro tra iscrizione, abbonamento e gasolio. Forse avevamo beccato la gara sbagliata, la neve sbagliata; forse siamo stati dei conigli uscendo dove in altri tempi avremmo tentato di reagire. Ma rischiare di farsi male per una gara master non ha mica tanto senso e infatti ciascuno di noi, nell’intimità della propria discesa, ha liberamente scelto di mandare a quel paese gara e soldi e tempo spesi, pensando che arrivare al traguardo in taboga sarebbe stato decisamente più da pirla; però, in rifugio, questo era l’umore: un po’ pirla comunque ci sentivamo e così, per evitare di esserlo ancora, nessuno dei quattro si è iscritto alla gara successiva. Oggi i master A sono in proporzione meno dei B. Cosa vuol dire «in proporzione?» Che tra 100 B che potrebbero, per capacità tecnica e per stato di salute fisica, fare le gare, la percentuale a loro favore è altissima rispetto a 100 A con gli stessi requisiti, sebbene i primi siano più vecchi dei secondi. E infatti gli A1, quelli che partono con i numeri più alti, quelli più giovani, sono quasi, addirittura, del tutto scomparsi. Ma è chiaro! I B hanno piste perfette e si divertono, gli A, no, perché i B d’oggi sono, sì, più numerosi ma soprattutto più forti di quelli di un tempo e dove quelli spazzolavano, questi segnano e spaccano, lasciando, dopo quasi un centinaio di passaggi, una pista massacrata. Ovvio, spesso dipende dal tipo di neve, ma in genere se in Coppa dopo i 15, il tempo non si riesce più a farlo, nei Master, dopo gli 80 concorrenti, il piacere di scendere su una pista in cui ci si possa esprimere al massimo diventa impossibile. Per salvare la partecipazione degli A basterebbe imporre la ritracciatura. Di tutta la gara, se fosse necessario; di alcune porte, se fosse conveniente. C’è il problema della ricognizione? Beh, in mezz’ora la si fa a seguito del tracciatore, salvando una gara e dando senso a ore e ore di macchina, di lavoro perso, di soldi spesi ma soprattutto, aspetto fondamentale per un master, senza farlo sentire un pirla.

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Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

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