Il “Pensiero di un maestro di sci” di oggi si intitola: “Rischiamo di andare in bianco”.
Rimaniamo sempre aggrappati a notizie che attendono conferma. Una di queste è l’istituzione di una possibile quarta zona, la “bianca”, dal 16 gennaio, dove sarebbe (il condizionale è d’obbligo) possibile spostarsi da una Regione all’altra.
Sempre naturalmente che quella vicina abbia lo stesso colore bianco.
Con questa colorazione riaprirebbero anche i bar e i ristoranti, senza più limitazioni di orario.
Sempre dalle indiscrezioni trapelate, si apprende però che la zona bianca verrebbe data a quelle Regioni il cui indice di contagio Rt è sotto lo 0,50 e dove l’incidenza media nella popolazione è inferiore ai 50 casi settimanali ogni 100mila abitanti.
Attualmente la media nazionale dell’RT è superiore a 1 nella maggior parte delle Regioni e dunque? Di cosa stiamo parlando, se non di un improbabile “liberi tutti”, vietatissimo perché motivato dall’andamento epidemiologico.
Ricordo che fino a oggi non sappiamo ancora quale sia il parere del CTS e quali siano le linee guida da seguire in caso di apertura degli impianti ai turisti: è normale tutto ciò? È avere rispetto per la montagna? A mio parere assolutamente no.
In compenso, a detta degli scienziati, medici e virologi dell’ISS (Istituito Superiore Sanità) e del CTS, continuiamo a sentir parlare di una probabile terza ondata.
Come andrà a finire? Lo sci viene considerato altamente contagioso: dunque? Anche se i dati che lo attestino non li conosciamo (e il CTS mai li fornirà).
Alcune Regioni avranno, forse, il “bollino bianco”, ma saranno comunque vacanze “locali”, perché non sarà consentito raggiungere la località scelta fuori dalla propria Regione se di un altro colore.
Senza “corridoi”, permessi agli sciatori da Regione a Regione, per molte località, che non hanno grandi città vicine, sarà inutile aprire gli impianti.
E così il turismo bianco dovrà inevitabilmente issare… bandiera bianca. La vacanza sugli sci la si vuol far passare come un pericolo per tutta la collettività, un divertimento di cui si può fare a meno in questo periodo di pandemia.
Inutile nasconderlo, ma sono solo e soltanto sino a oggi alcune categorie a pagare il prezzo di questo lockdown. E francamente si fa fatica a capire il perché, specialmente quando si parla di montagna e di sci, quest’ultimo sport all’aria aperta.
Che dire allora dei mezzi pubblici, dove è previsto il 50% del carico, ma nessun controllo? Soltanto inviti agli utenti a essere disciplinati e possibilmente a scegliere orari diversi. Per noi, al contrario, “obbligo” di controlli con personale addetto. Che naturalmente faremo, per la sicurezza di tutti.
Vogliamo poi parlare delle code all’ingresso dei centri commerciali, dove le distanze non sono rispettate (da vedere). Noi, al contrario, con una chiara segnaletica per il rispetto delle distanze tra sciatori all’interno delle stazioni di imbarco.
All’aperto, invece, con “serpentoni” e transenne per contingentare le salite in seggiovia o in sciovia. Queste le differenze, non c’è altro da commentare.
La montagna aspetta decisioni e questo “non sapere” è irrispettoso soprattutto per chi vuol conoscere il proprio futuro. Si potrà lavorare in questi due mesi, oppure no?
Ma tutto ciò pare essere ignorato dal Governo. Così come i ristori, che ogni sera, e in ogni “pensiero”, ricordo sempre. Viste le promesse fatte. Che vanno mantenute.
Walter Galli
P.S. La montagna ha bisogno di fatti concreti. Prima che sia troppo tardi.