Notizie

Quanto l’attività sportiva influisce sulla qualità del sonno secondo la scienza

Quanto l’attività sportiva influisce sulla qualità del sonno secondo la scienza? Ve lo siete mai chiesti?  Le ricerche condotte in questo campo sono generalmente concordi nel dire che l’esercizio fisico, soprattutto se svolto in modo regolare, migliora la qualità del sonno.

Nonostante questo dato, bisogna tenere in considerazione che ci possono essere variabili che possono modulare questo effetto. Come ad esempio il carico di lavoro crescente quando ci si avvicina alle competizioni. O l’elevata frequenza dei viaggi da affrontare.

La domanda che alcuni ricercatori si sono posti è, se l’allenamento e le condizioni di forma fisica degli atleti possano influenzare la qualità e la durata del loro riposo notturno. Nonostante la forte rilevanza che il sonno riveste nello sport, sono in realtà ancora relativamente pochi gli studi che abbiano studiato la qualità e la quantità di sonno negli atleti.

Nello specifico, se parliamo dello sci alpino, il primo studio che abbia indagato la qualità del sonno e i cronotipi negli sciatori agonisti è stato proprio quello condotto in collaborazione col Prof. Costa tramite l’Università di Bologna.

Senza scendere troppo in tecnicismi, sappiamo che generalmente il sonno cambia in seguito a una pratica sportiva intensa e continuativa. Per alcuni aspetti migliora, per altri peggiora.

Anche se non abbiamo ancora una risposta certa e univoca, secondo alcuni studiosi è possibile che i benefici prodotti dall’esercizio fisico dipendano in larga misura dalla stimolazione cognitiva che lo accompagna piuttosto che dall’attività motoria in sé. Infatti, c’è ancora molto da scoprire sui meccanismi che mediano la relazione tra l’esercizio fisico ed il sonno!

Ciò che tuttavia è emerso da alcune di queste ricerche è che gli atleti tendano in media ad avere una durata del sonno maggiore ed una maggiore quantità di sonno a onde lente (Slow Wave Sleep – SWS) rispetto a chi non pratica sport a livello agonistico.

Per fare un po’ di chiarezza, quando si parla di sonno a onde lente si indica uno stadio specifico in cui il nostro sonno è profondo

e ristoratore. Viene chiamato «a onde lente» proprio perché durante questo stadio il nostro cervello emette delle tipiche onde cerebrali, chiamate onde delta, che sono molto ampie e «lente» (cioè poco frequenti) rispetto a quelle della veglia o degli altri stadi del sonno meno profondi.

Questa fase del sonno è molto importante per gli atleti proprio perché, oltre ad un rafforzamento del sistema immunitario, l’organismo rilascia degli ormoni che contribuiscono sia a regolare il metabolismo che alla crescita ed alla riparazione muscolare e dei tessuti

I motivi per cui dopo aver svolto dell’attività fisica il sonno profondo (SWS) degli atleti aumenta può essere legato a diversi elementi, tra cui la preparazione aerobica, il consumo energetico, la fatica muscolare e soprattutto i loro stili di vita regolari e sani che spesso includono anche migliori abitudini di sonno.

Oltre ciò, anche le specifiche caratteristiche genetiche degli atleti unite al loro stile di vita possono intervenire in questo processo.

Quando si parla di fasi o stadi del sonno che cosa si intende esattamente? Il nostro sonno può essere suddiviso in diverse fasi che si alternano durante tutta la notte e che vanno a costituire l’architettura del nostro sonno. Andiamo ora a vedere brevemente insieme quali sono.

L’ARCHITETTURA DEL SONNO

Il sonno può essere schematicamente suddiviso in due macrocategorie di cui, probabilmente, avrete già sentito parlare, ovvero:

1 Il sonno non-REM (NREM) o sonno sincronizzato, composto da 4 stadi (dove il 3° ed il 4° sono stati recentemente accorpati).
2 Il sonno REM (Rapid Eye Movements) anche detto sonno desincronizzato.

Il sonno NREM e REM si alternano ciclicamente durante la notte ogni 90-120 minuti andando, per l’appunto, a creare i nostri cicli del sonno. Questa successione armonica dei cicli NREM-REM e dei diversi stadi del sonno viene rappresentata schematicamente da un grafico chiamato «ipnogramma» (come evidenzia lo schema qui sotto)

Se proviamo a seguire visivamente la figura (cioé l’ipnogramma) possiamo notare come in una notte tipica l’ingresso nel sonno sia caratterizzato dalla comparsa dello stadio 1 a cui segue, in progressione, lo stadio 2 (dove sonno è ancora leggero) per poi scendere ulteriormente nello lo stadio 3 e 4 (ovvero, del sonno profondo).

A questo punto normalmente avviene un breve ritorno allo stadio 2 che spesso preannuncia l’ingresso nella fase REM che, se ve lo state chiedendo, è proprio la fase dove normalmente si fanno sogni più vividi. Man mano che i cicli del sonno si ripetono durante la notte, le fasi REM (come potete anche leggere nella figura) si allungano sempre di più. Infatti non è un caso che i sogni più vividi e lunghi avvengano spesso nelle ultime ore del nostro sonno.

Mentre noi siamo tra le braccia di Morfeo, le percentuali e la durata dei vari stadi non rimangono fisse ma, anzi, variano durante la notte. Se, come vi accennavo, durante l’arco della notte le fasi REM si allungano sempre di più, gli stadi del nostro sonno profondo (3 e 4), al contrario, tendono a diminuire non andando più a occupare il grosso spazio che, invece, occupano normalmente nei primi due cicli del sonno.

Il campione freeskier Johnny Collinson

Perché vi sto parlando dell’architettura del nostro sonno? Perché molte ricerche nel campo della psicofisiologia del sonno evidenziano come l’esercizio fisico può interferire sulla struttura del sonno. Questo a seconda degli orari e della frequenza del suo svolgimento.

In primo luogo, sembra che svolgere attività fisica intensa 4-8 ore prima di andare a dormire possa:

A. Diminuire il tempo di addormentamento ed i risvegli (e microrisvegli) notturni.
B. Aumentare leggermente la quantità del sonno profondo e ridurre il sonno REM.

Questi effetti appena descritti permangono anche negli atleti che svolgono attività fisica in modo regolare.

In conclusione, si può dire che l’esercizio fisico e lo sport in generale faccia bene! Persino negli anziani, infatti, dei programmi di esercizio fisico prolungato migliorano il loro sonno.

Contrariamente a quanto si è ritenuto per molto tempo, le ultime ricerche affermano che l’esercizio fisico fa bene al sonno.  Anche se svolto in orario serale. L’importante è che non sia troppo intenso e, soprattutto, che non tolga tempo e spazio al sonno.

di Matteo Re

About the author

Matteo Re

Matteo RE, ex atleta e appassionato di sci, è psicologo laureato nel corso di laurea magistrale in Psicologia Cognitiva Applicata presso l’Università di Bologna che ha cercato nel suo percorso di studi di coniugare la passione sportiva con l’ambito accademico-scientifico.
Ha realizzato una tesi sperimentale presso il laboratorio di Psicofisiologia del Sogno e del Sonno dell’Università di Bologna con responsabile il Prof. Vincenzo Natale. La collaborazione con il Prof. Marco Costa, professore associato presso il dipartimento di Psicologia «Renzo Canestrari» dell’Università di Bologna e responsabile del laboratorio di Psicologia Ambientale e Psicoacustica, ha portato alla pubblicazione del lavoro sulla rivista internazionale di ricerca sui ritmi biologici e medici «Chronobiology International».

Add Comment

Click here to post a comment