Quando il professore ti dice che non devi sciare. Ho avuto un civile confronto con un insegnante di filosofia dei licei che dissentiva da quanto avevo scritto. A suo modo di vedere, quello che io criticavo: troppe ore in classe e troppe ore a casa a studiare. Al punto di non permettere ai nostri giovani nessun’altra attività al di fuori della scuola stessa e dello studio a casa, cui essa obbliga, era invece un valore assoluto.
Cinque, a volte sei, in alcuni casi perfino sette ore in classe e poi dalle due alle tre, ma anche quattro ore di studio a casa, non erano una follia, ma a suo giudizio, il modo corretto per crescere bene. Abbiamo discusso. Ho cercato di fargli capire che nell’età della formazione i giovani devono arricchirsi di altre conoscenze oltre a quelle che offrono le classiche materie scolastiche. E , prime tra tutte, i giovani devono cercare la conoscenza che si acquisisce dalla pratica sportiva, la quale, oltre a insegnarti come si fa bene un certo sport, lo sci per esempio, ti dà uno stile di vita sano, volitivo, agonistico nella ricerca del proprio miglioramento, che ti rimane per sempre. Gli ho citato quanto sosteneva un erudito spagnolo del ‘600, Baltasar Gracian.
«La formazione dell’uomo moderno deve avvenire attraverso tre fasi: parlare con i morti, parlare con i vivi, parlare con se stessi».
Ovvero studiare gli antichi, viaggiare, oggi aggiungeremmo fare sport, riflettere. Dagli antichi greci a Gracian, passando per l’antica Roma, la formazione dei giovani non è mai stata a una dimensione: solo e soltanto scuola.
Siamo andati per le lunghe tra tesi e antitesi. Quando, a certo punto, ha detto: «fare bene il liceo è determinante per un giovane e per i suoi genitori è motivo di felicità», mi è stato chiaro il suo pensiero. Egli considera il frequentare il liceo come un fine. Infatti solo così si può spiegare un’adolescenza intera passata sui banchi a studiare e a fare i compiti per casa.
Ma la scuola non è un fine. Nemmeno il sapere lo è. La conoscenza per la conoscenza è sterile erudizione. La scuola, come tutte le attività umane, è un mezzo per quel fine che è una buona e serena vita, ovvero una vita felice, unico vero fine dell’uomo.
Dopotutto abbiamo sempre preso in giro i Mastro don Gesualdo di ieri o quegli imprenditori di oggi che vivono soltanto per il lavoro.
Che hanno nell’accumulo di denaro l’unico fine della loro vita, trascorrendo in azienda 12 ore al giorno, sabati e domeniche compresi, per ritrovarsi nell’assurda condizione di non avere nemmeno il tempo per godersi il denaro che hanno accumulato.
Per la stessa ragione abbiamo sempre irriso quelli che facevano lo sci club con il solo fine di diventare campioni. Per poi, una volta verificato che campioni non lo sarebbero mai diventatati, smettere definitivamente di sciare e perfino di andare in montagna.
Nemmeno Hirscher, con la sua ottava Coppa del Mondo, vive lo sci come fine, dato che oggi non sarà più lui a vincerla e dovrà trovarsi un altro mezzo, come lo è stato finora lo sci, che continui a farlo vivere in felicità e serenità.
Per questo è importante che i nostri giovani crescano nello studio e nello sport, dedicando il giusto tempo per l’uno e per l’altro. Senza rinunciare all’uno o all’altro, perché entrambi non sono fini, ma sono mezzi che li condurranno a una buona vita.