Una distorsione di ginocchio, traumatismo tipico nella pratica dello sci, causa frequentemente una lesione delle componenti capsulo-legamentose quali i legamenti crociati e collaterali.
Tuttavia, in quelle ad alta energia, viene interessata anche la parte articolare della tibia, chiamata piatto tibiale. Per piatto tibiale si intende la parte prossimale della tibia che si articola con la parte distale del femore e anteriormente con la rotula.
È una struttura anatomica del ginocchio che sopporta notevoli stress meccanici legati alla deambulazione, corsa e sport in generale.
A seguito di traumi da «impatto» la sua superficie articolare cartilaginea penetra in quella sottostante, di consistenza spugnosa e pertanto morbida.
Questo danno osseo provoca spesso un’alterazione dell’allineamento articolare del ginocchio che si deforma lateralmente in varo – valgo. Il tutto si traduce nel tempo con una usura precoce della cartilagine articolare che porta a una riduzione dei movimenti del ginocchio e alla necessità di ricorrere a una protesi.
La frattura può essere composta, ma nella maggior parte dei casi è scomposta e pluriframmentata con cedimento di una o, in certi casi, di entrambe le superfici articolari. La sintomatologia è dominata dal dolore nella maggior parte dei casi molto forte, dal gonfiore imponente dell’articolazione per l’emorragia provocata dalla frattura e dalla deformità dell’arto. Il traumatizzato deve per forza essere trasportato presso il più vicino pronto soccorso. La diagnosi si basa sulla descrizione del trauma, sull’esame obiettivo ed è completata dall’esecuzione di un esame radiografico. L’esame tac è fondamentale sia per quantificare il danno, che per pianificare una strategia di trattamento che, il più delle volte, è chirurgica. La risonanza magnetica è preziosa nei casi di diagnosi dubbia, quando la radiografia non mostra segni conclamati di frattura. In alcuni casi la reazione edematosa della parte midollare dell’osso è segno di frattura. Il trattamento è di tipo incruento solo nei casi in cui la frattura sia assolutamente composta e stabile. Si ricorre ad apparecchi gessati o a tutori lunghi articolati, l’uso delle stampelle è fondamentale, il carico è proibito per almeno sei settimane.
Quando la frattura è scomposta, si ricorre alla chirurgia combinata con artroscopia per visualizzare direttamente lo stato della superficie articolare e la stabilizzazione «aperta» con placca e viti. Lo scopo di questo trattamento è di ripristinare al meglio la superficie dell’articolazione recuperando l’affondamento del piatto tibiale. Esistono placche definite anatomiche perché ben si adattano alla forma della tibia. È importante in questo modo permettere il precoce movimento articolare, al fine di prevenire la rigidità, complicanza ricorrente di questo tipo di traumi. Il carico è negato per periodi lunghi di tempo, anche tre mesi. La riabilitazione è strategicamente fondamentale, consentendo di progredire progressivamente nell’arco di movimento. Per favorire la guarigione il fumo è proibito, l’uso di campi magnetici pulsati è opportuno. Nei soggetti in sovrappeso il calo ponderale è utile.
CHI E’ FABIO VERDONI
Nasce a Trescore Balneario (BG) nel ‘57. Si laurea in Medicina e Chirurgia nell’85 presso l’Università Statale di Milano. Consegue nella stessa sede universitaria le specializzazioni in Ortopedia e Traumatologia, in Chirurgia della mano e il Master in Ortopedia pediatrica. È stato Dirigente medico presso l’Istituto G. Pini di Milano ricoprendo il ruolo di responsabile della Struttura Divisionale di allungamento e fissazione esterna degli arti. È Responsabile Unità Operativa Istituto Ortopedico Galeazzi Milano. È membro di Società ortopediche nazionali e internazionali. Diventa Maestro di sci nel 1976, con un trascorso agonistico a livello provinciale e zonale. Frequenta l’ambiente agonistico dello sci seguendo i propri figli Davide e Benedetta. È sempre aggiornato sull’evoluzione dello sci e dei materiali dal continuo confronto con i colleghi maestri, allenatori e istruttori.
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