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Psicologia: in pista dopo un infortunio

Capita spesso di sentire di atleti che dopo un infortunio tornano alle competizioni più forti di prima. Come è possibile che capiti questo? Quali fattori mentali sono coinvolti nella rinascita del nuovo atleta?
C’è un detto: «Ciò che non ammazza fortifica». Quante volte abbiamo sentito questa frase e altrettante volte abbiamo pensato che spesso ciò che ammazza invece riesce benissimo nel suo intento! Quindi, come è possibile agire sull’atleta infortunato affinché si fortifichi invece di schiantarsi, abbandonando la carriera agonistica?
Durante le Olimpiadi estive di Rio si sono verificati diversi esempi di atleti fortificati successivamente ad un infortunio fisico, oppure atleti che hanno iniziato l’attività agonistica per compensare un problema fisico e atleti che grazie allo sport sono riusciti a uscire da una condizione sociale ed economica disagevole. Gabriele Detti, l’ultimo talento mezzofondista tra i nuotatori italiani, a otto anni ha rischiato la vita restando incastrato con la gamba in una passerella di cemento armato ceduta improvvisamente. Uno scoglio gli stava tranciando la gamba. Così ora non ha paura di morire portando la propria prestazione, a ogni gara, al limite della fatica. Sempre Gabriele lo scorso anno ha contratto un brutto virus alle vie urinarie e dopo aver macinato chilometri di acqua eccolo in agosto 2016 più forte di prima con la sua medaglia d’oro al collo. La prima medaglia d’oro di casa Brasile l’ha conquistata Rafaela Silva nel Judo, che dopo quattro anni di violenza e povertà torna più forte di prima. E ancora altri nomi: Yusra Mardini, scappata dalla guerra siriana, Majlinda Kelmendi kosovara partigiana del suo paese costretta per anni a gareggiare per altre nazioni, finalmente portabandiera a Rio 2016 per il Kosovo.
Quale meccanismo mentale si nasconde dietro a questi esempi di grandi Campioni?
è la capacità per cui quando si presenta un limite o impedimento fisico mentale o politico, l’atleta talentuoso riesce a reagire utilizzando le risorse interne che probabilmente nemmeno lui sapeva di avere. In termini ormai di uso comune sappiamo che la dote di tali atleti si chiama resilienza, cioè la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici. Possiamo anche dire che è un periodo di sosta forzata in cui gli atleti si permettono di riflettere in modo profondo su se stessi e questo causa grandi cambiamenti sulla loro psiche. Calati in circostanze avverse questi atleti si risvegliano reagendo in modo inusuale ma funzionale alla propria vita, senza snaturare chi sono e cosa vogliono, ma restando attenti a sfruttare le opportunità positive offerte dallo sport praticato. La miccia del loro successo viene accesa dalle circostanze negative attorno a loro, diventano dei supereroi e contro ogni previsione, raggiungono mete importanti di grande successo. Fabio Basile, 21 anni, judoka, dopo la sua medaglia d’oro assolutamente imprevista fino a qualche mese prima, ha dichiarato. «Sono successe cose pazzesche, non ho mai avuto una forza così».
La comunicazione della sua convocazione solo per le Olimpiadi di Tokyo 2020 ha azionato la sua miccia fino ad arrivare a scalare il ranking mondiale in cinque mesi e a vincere l’oro Olimpico quattro anni prima del previsto. Sembra che i fattori classici della resilienza a volte non siano sufficienti per spiegare la reazione di questi Supereroi dello sport. Infatti, ai fattori naturali di resilienza (in dotazione genetica solo per alcuni eletti), vanno aggiunti anche elementi di aiuto esterno:
– l’aiuto fisioterapico che permette il recupero della funzionalità del proprio corpo;
– l’aiuto tecnico e fisico per recuperare il livello tecnico e la forma atletica;
– l’aiuto mentale che aiuta l’accettazione di un corpo «diverso», comunque di valore rispetto al vecchio corpo del pre-infortunio;
– l’aiuto emotivo per trasformare il dolore e la rabbia dell’infortunio in energia canalizzata a cercare il risarcimento dovuto, come una sorta di rivendicazione, un credito che gli spetta, una vendetta contro l’episodio negativo vissuto.
Gli incresciosi infortuni dei nostri Campioni dello sci alpino, quindi possiamo anche viverli come una opportunità di crescita con la possibilità di tornare più forti di prima. Linsey Vonn e Mikaela Shiffrin sono stati gli esempi più eclatanti della stagione appena passata, ora aspettiamo al cancelletto di partenza altri grandi campioni dello sci, augurando loro di trovare quel pulsante che ognuno ha dentro di sè per reagire e tornare più forti e più Campioni di prima!

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Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

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