Un articolo leggero (visto il periodo) ma curioso scritto dal giornalista “storico” Luca Steffenoni, dal titolo, Polivalenti vs specialisti, in principio c’era solo lo sci!
Proprio così , in principio c’era solo lo sci. Delle sue declinazioni importava a pochi. Che sul tracciato si aggirassero con eleganza dei pali in nocciolo o si preferisse tirare diritto incuranti delle asperità del percorso, era del tutto ininfluente.
Qualcuno, come Zeno Colò e Leo Gasperl, ha pure esagerato mettendo nel proprio carnet, a fianco di slalom e discesa libera, anche le gare di velocità pura, alla ricerca di folli record con lunghi pezzi di frassino e scarponi in cuoio stringati.
Ai tempi chiunque aspirasse all’eccellenza doveva saper fare di tutto, portando al traguardo la propria dotazione naturale di tibie, peroni e caviglie mettendoci possibilmente meno tempo degli altri.
Oggi diremmo che erano tutti polivalenti. Lo sono stati Emile Allais, Jean Claude Killy, Adrien Duvillard, Toni Sailer, Karl Schranz e tanti altri.
Poi con gli anni ‘70 è iniziata l’era della specializzazione e con essa una serie infinita di discussioni da bar, o meglio da baita.
«Certo Franz Klammer è fortissimo, ma non ha mai vinto una coppa generale».
«Stenmark? Un grande slalomista, ma il nostro Gustavo buttandosi dalla Streif ha dimostrato di essere ben più forte».
«Ma che scemenze dici? Se per fermare Ingo hanno dovuto perfino cambiare i regolamenti di coppa».
«Tomba? Bravo, bravo, niente da dire, però con la mamma non gli fa fare le discese libere… dai vuoi mettere con Girardelli?».
Mille polemiche e vere litigate, che nascondono un quesito vecchio come lo sci: va premiata l’eccellenza in una singola disciplina o la capacità di fare punti in tutte?
Per limare le distanze, tra le mille vicissitudini regolamentare che hanno accompagnato la combinata, è arrivato in soccorso il Super-G. Una specie di jolly, al quale possono aspirare tanto i discesisti, quanto gli slalomisti.
Le carte si sono mescolate solo apparentemente. Due unici specialisti sono finiti nell’Albo d’oro di CdM: il nostro Tomba e Luc Alphand.
La parte del leone l’hanno continuata a fare i veri polivalenti con Phil Mahre, Pirmin Zurbriggen, Marc Girardelli, Paul Accola, Aamodt, Lasse Kjius e Bode Miller.
Una grande speranza ce l’hanno invece i semi-polivalenti, gli atleti che sanno sfruttare la combinata, ma evitano gli estremi sia questa la discesa o lo slalom.
Saliti in vetta al mondo con Andreas Wenzel, Herman Maier, Stephan Eberharter, Svindal, Carlo Janka, Ivica Kostelic e con il grande Marcel Hirscher.
E il futuro? C’è un unica certezza. L’incapacità dello sci italiano a produrre giovani atleti polivalenti ci lascerà per lungo tempo a bocca asciutta.