Notizie

Per una volta fai il bambino

Avolte, in quanto maestri e allenatori trascorriamo molto tempo con i bambini, i ragazzini e gli adolescenti, ma non sappiamo (oppure non ricordiamo) cosa implica lo stato di «non essere adulto». La diversità non è solamente rispetto allo sviluppo fisico, palese agli occhi di tutti, ciò che pesantemente è diverso da noi resta per lo più invisibile. Il loro modo di pensare, il loro modo di ragionare, il loro modo di percepire attraverso i sensi e di elaborare le informazioni ottenute, è differente da noi. Così anche la modalità di socializzare, di rapportarsi con i propri pari o con gli adulti, le regole, le motivazioni alle azioni… insomma il loro mondo è differente dal nostro. Per noi è importante riconoscere questa differenza e accettarla per riuscire a comunicare ciò che vogliamo trasmettere, mi riferisco ovviamente alla metodologia d’insegnamento. 
 
Proviamo a comprendere i capisaldi della crescita dei nostri piccoli atleti con l’aiuto di Erik Erikson che fu uno dei primi studiosi a individuare lo sviluppo della personalità a «stadi evolutivi». Sono otto stadi organizzati in sequenza a cui corrispondono altrettante crisi psicosociali che, se superate con successo, rappresentano un passo avanti verso la maturità psicologica. Per ognuna delle fasi di sviluppo che l’Io deve affrontare e risolvere per passare alla stadio successivo, gli esiti possono essere sul versante positivo o negativo. 
 
Partendo dai primissimi stadi (a noi di poco conto ma è bene citarle) abbiamo da 0 a 1 anno due parole chiave contrapposte: fiducia e sfiducia. Ciò significa che una buona interazione con l’adulto genera nel bambino la fiducia necessaria per le relazioni future o al contrario ne avrà timore percependo sfiducia negli altri. Da 1 anno a 2 anni le parole chiave dello stadio in questione sono: autonomia contro vergogna e dubbio. Ed anche in questo caso se esiste un accudimento amorevole e attento il bambino genera la propria sana autonomia, al contrario, i sentimenti di vergogna e il dubbio faranno da padroni nelle sue interazioni con conseguenti comportamenti disadattivi. 
 
Il terzo stadio in parte è di nostro interesse, infatti l’età implicata va dai 3 ai 5 anni. Vediamo sempre più spesso questi piccoli allievi nel campetto sci appositamente abbellito, dalle scuole sci, con bellissime figure che richiamano il magico mondo della fantasia infantile. I temi psicologici di questo stadio sono: iniziativa contrapposta alla colpa. E importante che il bambino venga stimolato ad avere e verbalizzare idee, progetti e proposte anche durante l’apprendimento, affinché possa essere stimolato e alimentato quel senso di autoefficacia che sarà alla base di tutti gli apprendimenti futuri. Il peggior atteggiamento che un insegnante di sci potrebbe attuare sarebbe scaricare la colpa sul bambino facendolo sentire incapace di fare ciò che gli viene richiesto.
 
Tutti noi ricordiamo almeno un episodio in cui i bambini, anche se ancora piccoli, propongono loro stessi un esercizio al maestro di sci. Se lo sviluppo di questo stadio fallisce, ciò che vedremo sarà un bambino inibito per la paura di sbagliare fuggendo all’emozione intollerante della colpa: un bambino che, crescendo, tenderà ad evitare situazioni in cui non avrà la certezza di essere già bravo e sicuro di corrispondere alle aspettative dell’adulto, per paura del giudizio. 
 
I temi dello stadio successivo corrispondono alle categorie baby/cuccioli/ragazzi e sono: operosità e inferiorità. I capisaldi dello sviluppo di questi anni sono: empatia e maggior controllo delle proprie emozioni; lo sviluppo dell’immagine di sé in rapporto a competenze e abilità; lo sviluppo del senso morale. L’allenatore deve aiutare il bambino a diventare consapevole delle proprie competenze tecniche, atletiche e psicologiche favorendo la riflessione e l’osservazione di se stessi. L’allenatore inizierà a far «ragionare» il bambino (con domande del tipo: come ti sei sentito durante questa pista? Cosa hai osservato di diverso nella tua sciata rispetto alla pista precedente? Ecc.) affinché arrivi alla categoria Ragazzi capace di percepirsi (almeno parzialmente) padrone delle proprie emozioni e azioni. Il senso di operosità (il saper fare) migliora anche collocazione sociale tra i pari in base all’immagine di sé. Tutto questo aiuta il ragazzo a mettere le basi per la propria autostima ed evitare di cadere in quel senso d’inferiorità che lo porterebbe verso lo stadio successivo (fondamentale per la crescita) in una condizione già sfavorevole.
 
Il quinto stadio corrisponde al periodo adolescenziale (categorie Allievi e Giovani) e mette in discussione tutte le conquiste precedenti (la somma delle identificazioni precedenti per lo più familiari certe e consolidate), ora l’atleta si trova nella condizione di dover selezionare e scegliere cosa essere e cosa diventare, in base ai suoi valori, alle sue capacità e alle opportunità che gli vengono offerte.
 

Il pericolo che incombe su questa fase di vita è, per Erikson, la confusione del proprio ruolo, vale a dire il rischio di non riuscire ad integrare in una sintesi originale e personale  le proprie identificazioni, le diverse espressioni di sé e i ruoli svolti in diverse situazioni: la propria Identità. I capisaldi dello sviluppo di questo stadio, che l’allenatore deve considerare durante l’insegnamento, sono: il lutto per la perdita dell’infanzia; la ricerca di autonomia; l’essere uguale ai propri pari ma unici; la gestione degli impulsi sessuali e il confronto con le regole della società. Se il periodo adolescenziale si conclude in senso positivo, emerge un’identità caratterizzata da coerenza e continuità (intesa con una consistente stabilità interna), accettazione dei propri limiti (intesa come consapevolezza delle proprie caratteristiche fisiche e psicologiche nell’esercizio della propria personalità), senso di reciprocità (coscienza e coerenza tra la propria immagine personale e quella riflessa dagli altri). Questo significa anche diventare un atleta maturo e consapevole capace di dare sempre il massimo delle proprie capacità. Questo non solo aiuterà la crescita dell’atleta, ma diventerà la base per essere una persona capace di intimità, generatività e integrità, evitando la disperazione finale.  

About the author

Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

Add Comment

Click here to post a comment