Il NHOA Ski Team come progetto unico nel suo genere aspira a creare un modello educativo importante, con la consapevolezza di avere la responsabilità di crescere i giovani in un contesto di eccellenza, equilibrio e inclusione. In un’iniziativa a 360º come questa, non possono mancare contributi di professionisti esperti anche al di fuori delle piste. Sui numeri precedenti abbiamo raccontato il sistema organizzativo, ora è il momento di approfondire altri aspetti senza i quali non sarebbe possibile raggiungere il traguardo con il giusto equilibrio e benessere fisico-mentale.
A occuparsi di questi fondamentali aspetti ci sono: il Prof. Giuseppe Vercelli, psicologo e psicoterapeuta, docente di Psicologia dello Sport e della Prestazione Umana presso l’Università degli Studi di Torino, nonché Responsabile dell’Area Psicologica di Juventus F.C., della FISI e psicologo ufficiale del CONI per 5 Giochi Olimpici.
Bruno Anzile, allenatore di III livello FIDAL, di IV livello europeo CONI, specialista della performance, nonché preparatore atletico per 19 anni delle squadre nazionali di sci alpino con la partecipazione a 5 Giochi Olimpici e di una squadra vincitrice della Coppa Italia di hockey.
Marco Tagliaferri, chiropratico e preparatore atletico di atleti internazionali nel ciclismo e negli sport di endurance, come ad esempio Alex Lupato, 4 volte Campione italiano enduro e Francesco Iolitta, per anni nella top ten mondiale nel trial, oltre a essere responsabile della preparazione atletica del NHOA Ski Team Piemonte.
E naturalmente Alessandro Serra, già Responsabile e Head Coach delle Squadre Nazionali di Coppa del Mondo di Sci Alpino per l’Italia e la Finlandia, con alle spalle 3 Giochi Olimpici e 5 Campionati Mondiali, che sovraintende l’intero programma tecnico del NHOA Ski Team.
Giuseppe Vercelli Com’è nato il modello S.F.E.R.A.?
Il modello S.F.E.R.A. è il frutto di un lavoro di almeno 16 anni, tra elaborazioni statistiche e tante correzioni e aggiustamenti. Oggi è considerato l’unico modello scientifico che lavora sulla prestazione, tra l’altro di semplice interpretazione. Da gli strumenti all’atleta, allenatore o squadra per percepire il problema e trovare la soluzione.
Come ci sei arrivato?
Siamo partiti da una domanda: esistono dei fattori di prestazione che possono essere riconosciuti, misurati e quindi allenati? La risposta è sì, e l’abbiamo trovata nel 2004 con i cinque fattori di prestazione: Sincronia, Forza, Energia, Ritmo, Attivazione – S.F.E.R.A. La prima reale applicazione di questi fattori è stata in occasione delle Olimpiadi di Torino 2006 con la squadra italiana di sci alpino. L’uscita di Giorgio Rocca in slalom ci fece capire come non bastasse mettere assieme un insieme di fattori, ma bisognasse costruire un vero e proprio modello. Nei 10 anni successivi sono state più utili le sconfitte delle vittorie perché hanno fatto emergere i meccanismi alla base di determinate risposte emotive alle diverse situazioni.
Qual è il significato dei 5 fattori?
Sincronia: la capacità di essere presenti e concentrati su ciò che si sta facendo nel momento della prestazione, ovvero quello che sta facendo il mio corpo viene percepito dalla mia mente.
Punti di Forza: le capacità e abilità fisiche, tecniche e mentali di cui si è assolutamente certi. Quando sono in gara devo identificarmi unicamente con i miei punti di forza. Se al contrario richiamo i punti deboli sono spacciato!
Energia: è l’uso attivo della forza e della potenza, ovvero rimanere su quel confine sottile tra poca e troppa energia che rappresenta la quantità di forza da usare per svolgere al meglio la prestazione. Per trovare la giusta regolazione devo portare l’attenzione su un unico pensiero dominante che è quello che più mi serve in quel momento, generalmente un aspetto tecnico.
Ritmo: è l’ordinata successione degli intervalli di tempo, ciò che genera il giusto flusso nella sequenza dei movimenti: quando tutto è fluido, armonico e ordinato, quindi, sto facendo le cose a tempo.
Attivazione: è il contatto con la motivazione, quell’intima intenzione che mi spinge a fare un’attività con passione. Riassumendo: il fuoco dentro! Sono, dunque, bene attivato quando riconosco interiormente le mie motivazioni.
Come si trasmettono agli allenatori questi fondamenti?
L’obiettivo del modello è di trasmettere con un linguaggio semplice l’essenza dei 5 fattori e di come possono rivelarsi utile. L’allenatore ha altro a cui pensare rispetto alla dimensione mentale, ma se gli spieghi con semplicità quello che serve, i fattori psicologici possono aiutare molto ed essere allenati facilmente con esercizi tecnici o atletici. Il mio compito nel NHOA Ski Team è proprio quello di formare gli allenatori affinché trasmettano agli atleti il modello S.F.E.R.A..
Ad esempio quali esercizi?
Il fattore Sincronia, ad esempio, può essere allenato tramite una serie di esercizi che permettono di facilitare un’adeguata connessione tra corpo e mente. Per il fattore Ritmo, esistono diverse tecniche respiratorie da eseguire. Non si tratta di esercizi troppo complessi o articolati e non è necessario che l’allenatore entri troppo nel dettaglio, già la base è sufficiente, ovviamente si tratta di un lavoro che va fatto prima di scendere in pista. Eventualmente si può poi correggere il tiro dopo l’allenamento.
Si devono applicare sempre tutti e 5 i fattori?
I fattori sono tutti connessi tra loro ma normalmente non vengono usati tutti assieme. Si utilizza quello che in quel momento si rivela più indicato e uno solo alla volta.
È facile individuare quali fattori usare?
Bisogna capire il significato di ogni singolo fattore di prestazione declinato per ogni sport. Ad esempio, per lo sciatore, sincronia significa sentire bene il “grip” appena esce dal cancelletto, mentre invece il ritmo devi sentirlo prima dentro di te e poi viverlo sul tracciato. Una volta capito qual è quel fattore che in quel momento ci sembra debole, si individua un esercizio utile per potenziarlo. È questa la logica: prima l’allenatore fa una fotografia all’atleta, poi dà inizio a un processo di ottimizzazione attraverso un allenamento specifico per poi verificarne l’efficacia.
S.F.E.R.A. non ha punti deboli?
Di base no, diciamo che è più complicato renderlo efficace quando l’atleta è demotivato e non ha voglia di utilizzarlo. Questo corrisponde al fattore attivazione, se non hai quel fuoco dentro significa che non sei disposto a dare un valore aggiunto alla tua prestazione. L’allenatore in questi casi non ha tante possibilità di intervenire.
Da sinistra,l’allenastore Alessandro Lazzaro, ideatore dell’app Onesporter, Luca Mantovani, vice presidente NHOA Ski e Alessandro Serra, Direttore tecnico di NHOA Sku Team
Si applica a un ragazzino di 14 anni allo stesso modo di un giovane di 22?
Sotto i 12 anni si deve usare un linguaggio ovviamente più semplice. Paradossalmente, essendo S.F.E.R.A. un modello naturalistico, sono loro stessi a riconoscere i fattori, giocando assieme. Tra un 14enne e un 20enne non ci sono sostanziali differenze, cambiano solo le sensazioni.
Il modello interviene anche sulla personalità?
Assolutamente no, atleti introversi o particolarmente espansivi che entrano in S.F.E.R.A. migliorano la loro performance per conservando le loro specifiche personalità. Per lavorare su temi di questo tipo è necessario attivare un lavoro completamente differente e specifico. Il modello è applicabile in ambito agonistico, o meglio, ovunque ci sia una sfida, quindi anche per esempio in ambito lavorativo o scolastico. Di fatto rende l’individuo più sicuro perché invece di agire in modo casuale su un disagio, reagisce con consapevolezza. Chi vuole eccellere deve lavorare sull’aspetto mentale. È scientificamente provato!
Marco Tagliaferri, Arrivi dall’alto livello di altri sport, ciclismo, triathlon, sport di endurance: occuparsi di sci è uguale?
Non lo è e la sfida è proprio questa. Ho avuto modo di confrontarmi con Alessandro Serra sui metodi di preparazione dal punto di vista scientifico. Nel ciclismo, per fare un esempio, esistono dati precisi e scientifici che ti dicono cosa puoi fare. Se su strada non hai rapporto peso/potenza di 6 watt/kg non puoi nemmeno ipotizzare di diventare professionista. Nello sci questo non esiste, dunque è tutto un mondo nuovo su cui ragionare. Lo scopo è capire se la preparazione atletica eseguita è quella giusta in uno sport dove la componente tecnica e ambientale influenzano tantissimo.
Allora iniziamo con una domanda scomoda: perché molti atleti, che siano Ragazzi, Allievi o Giovani, spesso si trovano in difficoltà a fare una semplice capovolta?
Forse perché fanno 50 giornate di ghiacciaio dai 6 anni in poi, concentrandosi solo sul numero di curve, invece di differenziare e includere altre attività che gli permetterebbero di formare bene il loro corpo. Arrivo da una generazione dove i ragazzini giocavano in strada. Questo non avviene più, per cui se determinati movimenti non glieli fai fare, non saranno mai in grado di compierli, vedi ad esempio fare una semplice capovolta.
Sulla questione interviene anche Anzile:
I ragazzi hanno poca percezione del proprio corpo. L’ho riscontrato anche in altri sport, per cui non è colpa solo dello sci. Bisogna tornare indietro e cercare di formare l’abc della motricità già partendo dai bambini più piccoli, dai 3/4 anni. A 10 anni un ragazzino deve già essere molto agile.
Il problema è ancora più complesso, dice Alessandro Serra: si ha la convinzione che alcuni gesti tecnici o si assimilano da piccoli oppure non si riuscirà più a eseguirli bene, è la specializzazione dello sport moderno che trascina in questa specie di vortice.
Nello sci è ancora più evidente perché non ci si può allenare tanto quanto in altri sport, per cui si tendono a privilegiare le uscite sulla neve. Sarebbe opportuno trovare un giusto equilibrio.
Qual è l’equilibrio per il NHOA Ski Team?
Come NHOA Ski Team ogni club ha la sua libertà di programmazione nella ricerca del giusto equilibrio fra gesto tecnico e multilateralità. Per esempio, nella scorsa stagione come NHOA Ski Team Piemonte, il primo a mettere in pratica questa progettualità, sul programma annuale abbiamo proposto 176 giornate di sport, di cui 99 di sci e 77 di multilateralità, quindi, l’attività sulla neve è sotto al 60%. Il 22% è preparazione atletica, 7% (13 giornate) di acrobatica, 6% di pattini, 2 giorni di test atletici, 3% di enduro e 3% di sup. Nello sci alpino, 12 giornate di gare, 11 uscite di ghiacciaio per i Pulcini, 8 in più per i Children e 9 di sci indoor. In totale 20 giornate di sci estivo per i piccoli, 28 per i ragazzi. Più o meno la metà di uno sci club classico. Il rapporto tra multilateralità e sci è di 4 a 1!
Marco, Perché questa formula?
Abbiamo considerato con quanti giorni di sci estivo un atleta di Coppa del Mondo arriva alla prima gara. Partendo da questo dato abbiamo disegnato il nostro grafico e soprattutto stabilito che per ogni giornata di sci occorrono 4 giorni di multilateralità per bilanciare. In inverno, ovviamente, questo rapporto decade.
Bruno, così non si sminuisce il gesto tecnico?
Al contrario, il gesto tecnico dello sci prevede una certa precisione che si ottiene se si ha una buona base di mobilità motoria. Alessandro lo potrà confermare.
Ale, è così?
Quando allenavo in Coppa del Mondo gli atleti arrivavano a Sölden con 40/45 giorni di sci. Tutti tranne Marcus Sandell che aveva seri problemi alla schiena, per cui poteva sciare la metà degli altri, ciononostante, proprio in quelle prime gare, si presentava quasi al massimo della sua forma (6° nel 2013, 7° nel 2014). Questo mi ha fatto capire che non è tanto la quantità di sci che conta, ma la qualità. La proporzione elaborata dal NHOA Ski Team parte anche da queste valutazioni.
Come reagiscono i ragazzi?
Si divertono un sacco. Tutte queste giornate di multilateralità portano un beneficio immenso non sono dal punto di vista atletico: da giugno in poi fanno gruppo grazie ai raduni atletici con tutti i NHOA Ski Team assieme, creano relazioni e fanno attività all’aperto nella natura. Questo genera entusiasmo, e di questa sensazione lo sci è solo un di cui, cosa molto rilevante perché va ad agire contro il rischio dell’abbandono precoce caratteristico di questo sport
Bruno, però lo sci è uno sport individuale…
Assolutamente vero, però il lavoro lo si fa assieme ad altri, si festeggia insieme e ci si supporta nelle difficoltà. È vero, al cancelletto ogni ragazzo è da solo però servirà moltissimo il rapporto che si è creato con gli altri se il risultato non sarà soddisfacente. Solo allora la sconfitta sarà capita e accettata senza drammi. È una mia priorità questa e sono entrato nel NHOA Ski Team proprio perché si tratta di un progetto sociale educativo, una scuola di vita. Fai sacrifici, soffri, combatti stando 180 giorni assieme a tuoi coetanei!
Come si crea lo spirito agonistico?
Non si crea ma è sempre presente in pista come in palestra. Tutti sanno che ci sono atleti più forti di altri, le differenze ci sono eccome, ma non rappresentano mai un ostacolo. Chi è meno abile impara dai migliori e i migliori si impegnano al massimo per non essere raggiunti e per aiutare al tempo stesso i loro compagni. Alla fine, l’ago della bilancia pende verso chi si impegna di più.
In Piemonte, dice Marco Tagliaferri: è stato fondamentale applicare il modello S.F.E.R.A. Il ragazzino che magari ha qualche difficoltà motoria o coordinativa è sicuramente più forte su altri aspetti, partendo proprio da quelli si può arrivare a migliorare laddove è più debole. Tale sistema consente di tenere sempre alto l’entusiasmo e di non mollare mai. Poi è chiaro che ci sarà sempre l’atleta che vince e quello che gli è dietro. L’importante però, almeno da ragazzi, è avere piena coscienza di aver dato il massimo.
Gli date da fare i compiti a casa?
Ai Children sì ma senza esagerare. Con i Pulcini c’è una certa libertà e un programma che punta più verso il gioco. Il concetto è di non portare allo stesso livello fisico i più piccoli perché non si sentano mai arrivati. Si allenterebbe il desiderio di voler fare di più: non è sempre così positivo che un 12enne riesca a fare le stesse cose di un 14enne! È importante che i Pulcini avvertano il senso di cambiamento come un forte stimolo a crescere. Di contro i più grandi sanno di essere un esempio per i più piccoli e questo alimenta in loro un certo senso di responsabilità.
Un’ultima questione Bruno: il genitore che vuole aumentare i carichi di lavoro del proprio figlio…
Ne ho viste di tutti i colori. Bambini di 8 anni sollevare pesi assurdi o esagerare anche con i balzi. Avevano muscoli da paura ma anche problemi grossi alle inserzioni nel tendine rotuleo, solo per dirne una. C’è la tendenza a volere a tutti i costi fare di più del dovuto perché si ritiene che sia questo il vero modello dell’atleta evoluto, senza rispettare l’evoluzione biologica, fisiologica e mentale di un bambino. Da noi questo non avverrà mai!
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