Mario Fabretto, il maestro dopo un anno di stop
Pubblichiamo una lettera inviata dall’amico e maestro di sci Mario Fabretto, scuola sci Academy Zoncolan, istruttore di Nordic Walking e winter nordic walking e accompagnatore di mountain bike e una specializzazione per l’insegnamento ai disabili. Lo si ricorda anche per la direzione tecnica dell’Amsi quando Dino De Gaudenz era presidente dell’Associazione. Classe 57, si è sempre dedicato al mondo dell’informatica, professione che lo ha spontaneamente portato a sviluppare servizi utili all’associazione nel settore della comunicazione. Da sempre sostenitore del maestro multidisciplinare, è laureato in fisica (Università di Trieste). Ecco il suo pensiero.
È giusto si lascino operare le persone e le istituzioni preposte così da permettere loro non solamente di curare con attenzione i passi da compiere, ma anche il tempo per valutare l’efficacia degli stessi.
Quando un anno fa partì il “tutti a casa e laviamoci le mani”, noi maestri di sci che stavamo lavorando nel pieno di una stagione invernale decisamente buona nonostante la scarsezza di neve patita nel periodo natalizio e in pratica fino a tutto febbraio, sebbene a malincuore, abbiamo riposto i nostri attrezzi consapevoli che la salute pubblica doveva essere posta come valore primario, al di là degli interessi personali o di categoria.
Dentro di noi ci rendevamo conto che quell’improvvisa interruzione esponeva la nostra categoria, e in particolare coloro che di questo mestiere vivono, magari sostenendo una famiglia, a una perdita economica importante che non si sarebbe potuta compensare nemmeno se fossimo ritornati in breve tempo alla normalità.
Eravamo tuttavia fiduciosi da un lato che le azioni intraprese fossero state accuratamente valutate da chi di competenza così da portarci in tempi ragionevoli al di fuori dalla crisi, dall’altro che i nostri organi istituzionali avrebbero saputo dialogare con il governo in modo da garantirci un aiuto di tipo economico che potesse, almeno in parte, compensare quanto perso per l’anticipata chiusura della stagione.
Siamo oggi a un anno di distanza da quel 10 marzo 2020 quando, con la neve scesa abbondante da pochi giorni, gli impianti di risalita furono fermati in tutt’Italia. I maestri e le scuole di sci non hanno perso solamente l’ultima parte della stagione 2019/20, ma anche tutta quella successiva.
E sinora non si è visto un euro di aiuto economico, anche se in molti abbiamo pagato la quota per Collegio e AMSI continuando a dare fiducia, come è corretto e senza polemiche, alla strada istituzionale.
In tutti questi mesi si è sentito parlare dello sci come sport agonistico, di atleti d’interesse nazionale (!), di sciatori “professionisti” (!), di sci come attività sportiva un po’ d’elite, per benestanti, proprietari di seconde case, con la popolazione degli sciatori divisa banalmente tra la Coppa del Mondo e gli apré ski.
Si è visto come i nostri governanti poco capiscano relativamente ad attività fisica e sport, ma credo che la stessa nostra categoria abbia le idee piuttosto confuse sull’argomento. E questa confusione è spesso il motivo per cui quella di maestro di sci venga considerata una professione “sui generis”, da prendere in considerazione solamente dopo – e se c’è il tempo – si siano trattati argomenti più importanti.
Probabilmente è giunto il momento di ripensare alla disciplina dello sci in un’ottica di tipo diverso, sin qui fin troppo trascurata: lo sci è un esercizio fisico che fa bene!
E non solo fa bene ma, in una società nella quale le condizioni lavorative stanno portando a una sempre più preoccupante sedentarietà, è una attività che racchiude in sé aspetti difficilmente riscontrabili tutti assieme in altri sport.
Quali la stimolazione della propriocettività, dell’equilibrio, della coordinazione motoria, della reattività muscolare… il tutto svolto all’aperto, in un ambiente naturale per fortuna ancora lontano dall’inquinamento delle città, su un terreno e in condizioni nelle quali anche l’eventuale caduta è di gran lunga meno traumatica rispetto a quanto, ad esempio, può esserlo una dalla bicicletta.
Ci si dimentica troppo spesso che la stragrande maggioranza dei praticanti lo sci non ha mai partecipato a una gara e non ha alcuna intenzione di farlo in futuro (a meno di non esservi costretti per poter continuare a frequentare le piste…).
Lo sci è principalmente un’attività motoria popolare, molto diffusa che, sotto la guida di insegnanti competenti, può diventare esercizio fisico vero e proprio, quale è definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
L’intervallo tra momenti attivi e fasi di riposo (le risalite) lo rende molto utile anche e soprattutto in età avanzata, risultando efficace nel prevenire o ritardare la perdita di mobilità dovuta all’invecchiamento, costituendo allo stesso tempo un valido esercizio a livello cardio-circolatorio.
Contrariamente a quanto si possa pensare sentendo parlare dei numerosi infortuni in cui occorrono gli atleti, lo sci, anche quello da discesa e lo snowboard, è uno degli sport meno traumatici e per diversi motivi. Naturalmente, come per tutte le cose, una corretta informazione e istruzione sono componenti fondamentali sia per l’efficacia della disciplina che per il suo svolgimento in sicurezza.
Ed è qui che si deve identificare il ruolo del maestro di sci: operatore a livello motorio a tutti gli effetti, perché è proprio questo l’ambito in cui è prevalentemente chiamato a operare.
I nostri rappresentanti dovrebbero avere molto più presente questo aspetto quando dialogano con esponenti del governo, così da evitare di far collocare l’azione del maestro tra quelle attività considerate appannaggio di una categoria di giovani benestanti che passano le loro vacanze invernali divertendosi a portare in giro allievi altrettanto benestanti…
Se negli anni passati avessimo avuto maggiore attenzione nei confronti di questi aspetti, invece che rincorrere l’utopia del maestro “lepre” che doveva ricercare e far emergere “talenti” per il mondo dell’agonismo, forse oggi si sarebbe potuto pensare di dare una precisa responsabilità alle scuole e ai maestri di sci, permettendo loro di lavorare anche in piena pandemia.
Si poteva proporre che il maestro, proprio in quanto professionista e veicolo non solo di formazione ma anche di informazione, potesse frequentare piste e impianti di risalita con i propri allievi.
Beninteso con precise e ben definite regole per garantire non solo il necessario distanziamento, ma anche la messa in atto di quei normali e opportuni comportamenti d’igiene atti a prevenire la diffusione di questo virus (e di altri agenti patogeni).
Perché a nessuno è venuto in mente di proporre che sulle piste da sci, dal momento che molti impianti erano già in funzione per gli allenamenti, potesse accedere anche chi voleva fare una lezione di sci?
Le scuole di sci, entità operanti con riconoscimento regionale, e i maestri, professionisti iscritti a un albo, avrebbero potuto essere i garanti del rispetto di regole che, date le caratteristiche dei luoghi di svolgimento delle lezioni, sarebbero state piuttosto facili da redigere e altrettanto facili da far applicare.
L’utilità dal punto di vista sociale e sanitario, per quanto abbiamo detto prima, è chiara.
Si potrebbe obiettare che in questo modo si andrebbe a privilegiare chi paga la lezione di sci, impedendo a tutti gli altri di frequentare liberamente la montagna.
A parte il fatto che quest’inverno sulle piste si sono visti comportamenti assolutamente anarchici (dove c’era di tutto e di più tranne gli sciatori “normali”: le cabinovie portavano i pedoni ma non gli sciatori!!!), permettere di lavorare a una categoria professionale avrebbe significato sgravare tutti i cittadini dal peso di dover trovare i sostegni economici da destinare a quei lavoratori, con beneficio economico per tutta la collettività.
Quando un’emergenza costringe a sospendere molte attività lavorative dovrebbe essere un imperativo, per chi governa, cercare di salvaguardare le possibilità di lavoro per chi può continuare a farlo in sicurezza.
Purtroppo l’attività motoria quale prevenzione e “terapia” per molte problematiche di tipo psico/fisico nel nostro Paese non è ancora considerata importante (anche se lo è ad esempio l’omeopatia!) e la mancanza di attenzione che anche i nostri organismi istituzionali hanno a tale proposito suggerisce che la strada da percorrere sia ancora lunga.
E intanto si è andati a creare un grave problema economico che non riguarda solamente qualche migliaio di maestri di sci.