L’invito di Loris agli sci club: “Portate i vostri ragazzi nel Tombaland”
Se conosci Alberto Tomba saprai certamente che il suo tifoso numero uno è Loris, Righi all’anagrafe. Alberto si è ritirato 21 anni fa, ma per Loris questo passaggio è come se non fosse mai avvenuto. Che sia in gara o no, il suo amore per la leggenda dello sci non cambia di una virgola. Nella sua casa di Spilamberto, a 500 metri dal casello di Modena Sud, ha creato un ambiente che nemmeno il creativo più duttile è in grado di immaginare.
Tu suoni il campanello e dopo pochi secondi ti arriva all’orecchio l’indimenticabile inno scandito dalla sua voce: “Alè-alè, alè-alè…”. Varchi la soglia ma lui non c’è, allora osi ad addentrarti nello stretto corridoio poco illuminato e vieni subito coinvolto da suoni di campanacci, urla e schiamazzi da stadio e una musica trionfalistica. Da quel gran chiasso passa anche la voce un po’ soffocata di Alfredo Pigna che descrive una delle innumerevoli opere d’arte di Alberto. Dopo due passi di corridoio decidi se andare a destra in una stanzetta tre metri per tre ridotta a un metro per uno tanto è stipata di cose. Oppure ne fai un altro e giri a sinistra e ti trovi in una sorta di scantinato lungo 15 metri, stretto 5, ma non capisci se le pareti sono di mattoni o di legno. Non c’è nemmeno un centimetro scoperto che lo possa rivelare. Foto, maglie, pettorali, sci, scarponi, bandiere, striscioni…
C’è una tavolo di bel legno lungo 8 metri subito all’ingresso con relative panche simile a quelle che si trovano nelle baite di montagna. In mezzo c’è un plexiglass divisorio anticovid. “Perché la gente si siede dinnanzi al maxi schermo e mentre assaggia una punta di parmigiano e una fettina di Parma, si gode lo spettacolo. Di questi tempi è bene prendere ogni precauzioni”.
Non riusciamo a capire ogni sua parola con chiarezza, un po’ per via della classica cadenza emiliana che tende a strascicare un poco quando viaggia veloce, un po’ per la mascherina che indossa con rigoroso rispetto e poi quella musica e quella telecronaca a un volume impossibile!
Loris non smette un secondo di parlare. Cerca di spiegarti il significato di ogni ricordo presente in quello spazio. Tutto è stipato all’inverosimile eppure ogni elemento riesce a non soffocare. Centinaia di riviste, ritagli di giornali, copertine tutte in perfetto stato, protette da sacchetti di cellophane su misura. Oppure ricoperte dallo scotch trasparente. “Un giorno entrò l’acqua qui dentro e alcuni giornali si sono rovinati, Ma sono riuscito a recuperare quasi tutto asciugando col phone pagina per pagina”.
Lo stato di conservazione di ogni oggetto è quella di un museo delle belle arti. Non c’è un filo di polvere e tutto brilla. In genere luoghi simili trasudano umidità e l’olfatto se ne accorge subito. Lì sotto invece si avverte solo il “profumo” della carta e anche della neve!
Loris, quante cose ci sono qui dentro?
Non lo so, ma sono sempre troppo poche rispetto alle gioie che ci ha regalato Alberto
Saranno dieci mila?
Dieci mila saranno solo le cartine che i tifosi hanno mandato nel tempo ad Alberto
Hai 10 mila cartoline?
Anche di più! Me le ha mandate sua mamma. Per non parlare delle lettere. Vieni che ti faccio vedere i giornali.
Entriamo nella prima stanzetta che avevamo superato al nostro ingresso. Su un tavolo d’angolo ci sono due pile di libroni 70 x 50 con copertina rigida. Dal 2008 la Rosa, ma anche quasi tutti gli altri quotidiani, avevano il classico formato “Berliner” a 9 colonne, poi passate al Tabloid a 6 colonne.
Ogni librone contiene circa 50 fogli trasparenti contenenti ognuna una pagina con articoli e cover. Per prenderne in mano uno occorre una certa forza e se lo vuoi sfogliare sei obbligato ad appoggiarlo da qualche parte, perché perdi inevitabilmente l’equilibrio. Ce ne saranno una trentina, impilati uno sopra l’altro. Poi centinaia di riviste sia specializzate che di cronaca e costume. Ai tempi tutte le testate parlavano di Alberto. E Loris non se n’è persa una.
Loris mostra con fierezza uno dei suoi libroni. 62 anni, pronto alla pensione, ha messo in piedi il Tombaland, una specie di luogo di culto dedicato ad Alberto Tomba, “Che un giorno mi disse: Eih Loris, stai attento, perche stai diventando più famoso di me!”. Ma non è così, questo posto appartiene a lui, a tutti!
Le hai comprate tutte tu?
No, sei matto? Molte me le hanno portate gli altri tifosi del Tomba Club, altre lo stesso Albi e la famiglia. Per me sarebbe stato impossibile, sono solo un operaio.
Loris ha 62 anni e da una vita fa l’operaio. Ha iniziato a sciare da grandicello a Sestola e da lì è stato amore a prima vista. “Ma sono solo un appassionato, non scio benissimo, però lo sci è tutta la mia vita”.
Impegnativo tenere ordine con tutte quei ricordi…
Ah beh, qui non ci si ferma mai. Dev’essere sempre tutto in ordine. Alberto passa molto spesso a trovarmi e cosa vuoi, che lo faccia entrare in un luogo a lui dedicato pieno di confusione?
Loris, hai messo in piedi un vero e proprio museo, ma lo hai fatto solo per lui e per te?
Non ho iniziato con questo scopo. Giorno dopo giorno mi sono messo a raccogliere di tutto un po’. Cosa vuoi che ti dica, per me Alberto non è solo tifo e ammirazione. Mi è entrato dentro. Difficile spiegare quello che provo. Credo si avvicini al sentimento che c’è tra padre e figlio. Ma non è proprio così. Non è nemmeno un’amicizia fraterna. Insomma, certe cose non si possono spiegare per filo e per segno. Guarda qua cos’ha mi ha portato! Il pettorale che indossò a Bormio quando vinse la Coppa del Mondo.
È il cimelio più bello?
No dai, non farmi questo, non chiedermi una classifica, se no mi sento male! Inizio a piangere come un bambino!
Addirittura a piangere?
Senti, io qui ci vivo, ma ancora oggi, ogni tanto mi siedo in quella stanza, mi guardo intorno e dopo un po’ mi accorgo di avere le gote umide!
Ricordi indelebili…
Ma sai, non è tanto per il ricordo in sé. Non è come sfogliare l’album fotografico di famiglia e intenerirti quando vedi com’eravamo da giovani. Guardo un pettorale e lo associo subito a quella gara. Poi apro l’armadietto delle video cassette, la rintraccio e me la riguardo. Ecco, è come se fosse la prima volta. Vederlo sciare mi mette addosso un’emozione indescrivibile. Alè-alè, alè-alè.
Quando è nata la vostra amicizia
Attorno all’88. Devi sapere che Alberto ha una memoria visiva pazzesca. Lui mi vedeva sempre al traguardo. C’ero anche a quella festa organizzata a Sestola e quando mi vide, anche se non ci conoscevamo ancora di persona, mi disse: “Loris, Loris, che bello, dai vieni qui a mangiare con me”.
In quel luogo di beatitudine non c’è posto soltanto per Alberto.
Vedi quella bottiglietta di aceto balsamico? Me lo ha portato Giuliano Razzoli. Lo sapevi che lo producono in famiglia? Anche il Razzo, che ragazzo meraviglioso. Viene a trovarmi spesso e anche lui, come Alberto, mi porta sempre qualche suo ricordo.
Loris e l’aceto di Razzoli
Questo invece sembra un pettorale di una donna…
E certo che lo è. Me lo ha dato Barbara Milani. Che ragazza meravigliosa! Lo sai vero che è l’unica emiliana ad essere arrivata fino alla Coppa del Mondo. Aspetta…
Loris riapre l’armadietto delle VHS.
Dopo pochi secondi parte un servizio realizzato da una TV locale su Babi: slalom di Coppa a Lienz, seconda manche, miglior tempo, 19esimo finale. Il giornalista è a casa di Barbara. La mamma non risparmia umili lacrime di felicità, il caro padre non ostenta felicità ma poi dice. “Però io sono il papà e come padre devo dirle che la prossima volta dovrà fare meglio”.
Eh la Barbara, non ce ne sono brave come lei.
Come degli impiccioni invadenti e anche un po’ sfacciati, ci avviciniamo a quell’armadietto. Le VHS sono centinaia ma ancor di più i DVD.
Sì, molte immagini le ho riversate su DVD che si rovinano meno. Ho le immagini delle gare intere o dei servizi relativi. Vuoi sapere quanti ne ho? Ecco…
Sul tavolo si accatastano decine di raccoglitori di CD. Secondo noi nemmeno nell’archivio Rai c’è così tanta roba. Ne prendiamo uno a caso.
Li ci sono le gare di Nagano. Era caduto in gigante e si fece male alla schiena. E poi andò male anche in slalom. Ricevette una bordata di critiche dalla stampa. Mi telefonò da là per dirmi: “Loris ho male alla schiena, ma hai letto cosa hanno scritto su di me dopo tutto quello che ho fatto finora?”. Fu davvero ingiusto. Ti faccio vedere Sierra Nevada, c’ero anch’io. Fai caso alle immagini quando taglia il traguardo: prima ancora di girarsi verso il tabellone dei tempi, punta verso di noi. Quando si accorge della nostra felicità capisce di aver vinto. Così ci viene incontro e allunga la mano per cercare la mia tra la folla. Ricordo anche che prima di partire per la Spagna venne a trovarmi sul posto di lavoro! “C’è un tuo amico all’ingresso” mi disse un collega. Capisci ora perché mi commuovo ancora oggi?
Loris, ti rendi conto che questo posto andrebbe condiviso?
Guarda che chiunque qui è ben accetto. Basta saperlo con un poco di anticipo. Non vorrei rimanere a secco di parmigiano, crudo e Lambrusco! Sai cosa mi piacerebbe tantissimo? Che gli allenatori portassero qui i giovani atleti. Una bella esperienza che gli sci club potrebbero offrire ai rispettivi iscritti. Qui non si impara a sciare, ma si possono capire tante cose. È importante che capiscono che si trovano in un posto che racconta le gesta di uno dei più grandi atleti non solo dello sci, ma dello sport mondiale. È un particolare di cui non tutti si rendono conto
Dai, proponiamolo. Vuoi darmi un indirizzo mail?
Eh ma non sono mica così pratico io di ste cose. Una mail devo avercela da qualche parte, ma l’ho usata una sola volta tanti anni fa.
L’unica soluzione allora, è comunicare il tuo numero di telefono, ma sarebbe un po’ troppo invadente, no?
Urca, il telefono? Facciamo così, tu ora se vuoi inizia a scriverlo. Poi in un secondo tempo, magari, pubblichiamo il numero. Ma prima devo anche chiedere il permesso ad Alberto.
Facciamo che se qualcuno vuole venirti a trovare manda una semplice mail a sciaremag@gmail.com e poi vi mettiamo in contato?
Mi sembra una bellissima idea.
La nostra visita è durata due ore e abbiamo visto un millesimo di quel bendidìo. Ci accompagna alla porta assieme ad Anna, Elsa e Polly, le sue inseparabili cagnolone. La porta si chiude e anche se ormai eravamo dentro all’auto, la sua voce ci arriva ben chiara: “Alè-alè, Alè-alè”…
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