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L’anima dell’atleta

Chi nel mondo dello sci non ha mai sentito parlare dello skiman? Nessuno, ne siamo certi. Anche il fruttivendolo sotto casa sa chi è lo skiman. È il meccanico dello sci, detta in maniera un po’ grossolana. Nella terminologia sciistica è senza dubbio uno dei nomi più noti. Come dire slalom, Alberto Tomba, seggiovia. Non esiste una traduzione in italiano. Si chiama skiman e basta. Nasce però un paradosso assoluto: chi ricopre questo ruolo o meglio, chi nella vita ha scelto o deciso di fare lo skiman, vive nell’anonimato più assoluto. E più l’atleta, grazie alle sue imprese, diventa famoso, più lo skiman diventa piccolo, piccolo, sepolto dall’euforia dei tifosi che impazziscono per le gesta del loro eroe. Per l’opinione pubblica esistono solo Goggia o Brignone, Fill o Paris e così per tutti gli sciatori vincenti. Anche l’allenatore fatica a uscire dall’anonimato, ma qualche occasione per finire sotto i riflettori ce l’ha. Saranno poche, ma ogni tanto capita. Allo skiman mai! Ma è ingiusto? Per l’atleta lo skiman è tutto. Più dello sci, dello scarpone, dell’allenatore, della mamma. Se lo skiman si sveglia con la febbre, viene anche all’atleta, se ride, ridono assieme, se è isterico, urlano allo stesso modo. Se tra i due non c’è feeling, non si vince. Non c’è niente da fare. Perché lo skiman non è solo colui che mette un po’ di sciolina sulla soletta o che tira le lamine. Non dico che questa pratica sia l’ultima cosa, ma quasi. Lo skiman è davvero l’unica persona in assoluto cui l’atleta cede e concede tutta la propria fiducia. Lo skiman poi può sbagliare, ma non è per un errore che l’atleta si sentirà tradito, così come lo skiman sarà il primo a consolare l’atleta se perderà una gara per un errore stupido. Gli errori fanno parte del gioco. Lo skiman è un grande motivatore. Forse non se ne rende conto, ma è anche un formidabile psicologo. è un uomo (tranne l’eccezione Mamma Stuhec) consapevole di doversi assumere una responsabilità molto pesante. Possiamo osare senza dire eresie che per il 50% da lui dipende la vittoria o comunque una buona performance. Lo skiman non prepara lo sci allo stesso modo per tutti, anche a parità di pendio e di neve. Lo adatta alle caratteristiche tecniche di chi lo guida. Potendo contare su questo, l’atleta troverà la tecnica migliore tra i pali anche in base alle reazioni dello sci, a come il suo skiman glielo avrà preparato. E’ un gioco a due, una complicità assoluta. L’allenatore è una figura di riferimento, ti dice come migliorare, ti aiuta ad analizzare gli errori, disegna i tracciati in funzione di quelli che si incontreranno in stagione, oltre, naturalmente, a impostare un programma di lavoro sempre più scientifico. Ma deve dividersi con la squadra, ha le sua simpatie e assume un po’ il ruolo che esiste tra professore e allievo. Provate a chiedere a un atleta se, dovendo scegliere, cambierebbe l’allenatore o lo skiman. Risposta ovvia! Per l’amor d’Iddio non si vuole assolutamente mettere in ombra l’allenatore per dare maggior luce allo skiman. D’altra parte lo skiman non è fatto per essere intervistato, fotografato o per andare in tivù. Non lo vuole nemmeno, anche perché non ha tempo. Deve assolutamente indossare il grembiule e andare in skiroom, che quasi sempre è un garage o uno scantinato. E se non è lì, sta portando in partenza quattro o cinque paia di sci sulle spalle. Ci si chiede come faccia lo skiman a sapere come reagirà lo sci preparato in quel modo per quell’atleta, in un determinato tracciato, su un tipo di neve che cambia sempre, con il sole, con la nebbia, sotto la neve, sul ripido, sul piano, su terreno liscio o in mezzo alle buche…. Non esiste la bacchetta magica, ma si sappia che lo skiman è uno scienziato a 360° con specializzazione per la chimica e l’alchimia. Studia come un pazzo pur non avendo libri. Può contare solo sui suoi appunti, sui suoi occhi, sul suo cervello, sulle sue intuizioni, sui suoi errori. E sul «padre» che ha cercato di insegnargli il mestiere. Chiedete a Federica Brignone, a Nadia Fanchini o prima ancora a Deborah Compagnoni quanto Mauro Sbardellotto c’è dietro ai loro successi. Chiedete a Tina Maze, a Julia Mancuso, a Giorgio Rocca a Viktoria Rebensburg cosa pensano di Andrea Vianello. A Lindsey Vonn di Heinz Haemmerle, a Christof Innerhofer di Ales Kalamar, a Goggia e Bassino di Federico Brunelli. Vogliamo parlare delle 17 medaglie «vinte» da Aurelio Ronco? O del “«baby» Daniel Zonin da due anni lo skiman di Peter Fill. Da due stagioni… dice qualcosa? E di Babi Greppi (marito di Bibi Perez) che ha praticamente battezzato Lara Gut prima che la fuoriclasse elvetica cambiasse sci? Ora, la lista di questi personaggi è estremamente lunga e non è questo il luogo adatto per riportarla e ci scusiamo con chi non è stato citato, ma lo scopo di questo scritto è un altro: se è vero che dietro al successo di un grande uomo c’è sempre una grande donna (quasi mai il contrario), ebbene, dietro alle vittorie di un grande atleta c’è sempre un grande skiman (è così anche al contrario). Naturalmente lo skiman non è fondamentale solo per l’atleta. Sì, lo è anche per te, che se stai leggendo Sciare è perché sei un appassionato dello sci. Quello sci che condiziona totalmente la tua sciata se è preparato in un modo piuttosto che in un altro. E non dirmi che non lo sapevi. Già, è cosa nota, tuttavia sono ancora pochi gli sciatori che portano gli attrezzi del mestiere in laboratorio. Certo, costa e non tutti possono permetterselo. Come soluzione c’è chi ci prova da solo. Chi si limita a guardare su YouTube qualche video finisce per combinare spesso dei disastri irreparabili. In Italia c’è l’Associazione Skiman ideata da Dino Palmi che organizza corsi di preparazione attraverso la scuola italiana Skiman. Molti laboratori, tra i più celebrati, sono portati avanti da allievi di Dino. Il quale Dino, dopo anni di onorata carriera, quest’inverno si è barricato all’interno di un container nella zona delle «baracche» di Anterselva al seguito della squadra nazionale di Biathlon. Dopo una ventina di giorni è uscito da lì inviperito, richiamato da un gran fracasso: «Cos’è sto casino?!?». I tifosi stavano applaudendo Alexia Runggaldier al suo primo podio di Coppa del Mondo. Dopo essere stato portato in trionfo per indubbi meriti, ha dichiarato: «è stata un’esperienza bellissima, ho imparato un sacco di cose che non immaginavo nemmeno». Perché lo skiman possiede da qualche parte dentro di sé, l’innato dono dell’umiltà. Chi non ce l’ha non fa carriera. Non fa lo skiman.

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Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

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