Per la seconda edizione dei Giochi Olimpici Invernali (25 Nazioni partecipanti, 495 atleti) la Federazione italiana dello sci decide di affrontare con un programma preciso la preparazione dei suoi atleti e nel 1926 ingaggia due allenatori norvegesi, Olavsen per i fondisti e Dagfin Carlsen per i saltatori. I risultati per certi versi sorprendenti degli azzurri alla prima edizione di quattro anni prima e il fascino crescente di una manifestazione sportiva come l’Olimpiade avevano galvanizzato tutti gli ambienti italiani vicini alle discipline invernali. Un esempio: il generale Ottavio Zoppi, ispettore delle truppe alpine del tempo e incaricato di reclutare elementi idonei per l’allora prestigiosa gara per pattuglie militari, inondava le caserme con circolari che avevano come «oggetto»: «Vittoria della pattuglia italiana a Saint Moritz». Il 12 febbraio 1928, primo giorno della seconda olimpiade bianca, la nostra pattuglia (composta dal tenente Enrico Silvestri, dal sergente Daniele Pellissier e dagli alpini Erminio Confortola e Pietro Maquignaz) lotta con onore fino a quando non si verifica una caduta in discesa che fa crollare tutti i sogni di gloria. Il maltempo caratterizza le giornate olimpiche ed evidenzia i poteri di quelle misteriose «peci» che i nordici mettono sotto le solette dei loro sci per renderli più scorrevoli. Nelle gare individuali, al dominio svedese nella 50 km risponde subito un tris di norvegesi alla testa della 18 km (questa distanza si correrà fino alle Olimpiadi di Oslo del 1952). r
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