La gara più importante della prossima stagione invernale è l’elezione del presidente della Fisi. E lo sarebbe, anche se ci fossero le Olimpiadi e i Mondiali. Nulla è più importante, per l’intero movimento degli sport invernali, della scelta del proprio presidente. Senza un leader non si va da nessuna parte, perché senza un leader non c’è un’organizzazione che funzioni; senza questa, non ci sono i mezzi per far crescere quel movimento sportivo da cui emerge il campione; senza il campione, non vengono le vittorie; senza vittorie non c’è attenzione verso lo sport; senza interesse per gli sport invernali precipitano i praticanti e tutta un’economia che dà lavoro a migliaia di persone. Eleggere un bravo presidente è vitale per tutti. Austria, Svizzera, Francia e oggi anche gli Stati Uniti hanno potenti e ben dirette federazioni. L’Italia non è stata certo da meno. La sua storia di vittorie documenta in modo incontrovertibile il buon lavoro che la Fisi ha svolto fin dal 1933, quando nacque dall’unione di tre grandi sci club, Torino, Milano e Roma. Senza Fisi non ci sarebbero state le tantissime vittorie azzurre e non ci sarebbero i circa 8 milioni di praticanti che animano la montagna invernale. Fin qui, credo che siamo tutti d’accordo. Vorrei che lo fossimo anche su ciò che sto per dire: il commissionariamento attuale della Fisi, a mio modo di vedere, origina dal criterio feudale con cui si sono sempre svolte le sue elezioni. Pochi grandi elettori, di solito presidenti dei comitati regionali e provinciali, con un bel po’ di deleghe ciascuno e con un bel po’ di uomini fidati con altrettante deleghe, votano il prescelto di una o dell’altra parte. Giochi fatti, giochi chiusi. Nessuna vera espressione del popolo della neve. Oligarchia più che democrazia, con conseguenze, ovvie, di continue possibili interferenze nella governance della Federazione. Perché un grande elettore, lo dice l’aggettivo, è un uomo di potere direttamente proporzionale al suo pacchetto di rappresentanza. In nome di questo potere prima o poi egli presenta il conto, interferendo nella gestione di presidenza, secondo i propri interessi e quelli del suo feudo. È inevitabile che accada così, quando a eleggere un presidente non è il popolo, ovvero i singoli individui che liberamente esprimono la loro preferenza e poi contano e chiedono sempre per uno, ma un capo delegazione, che a sua volta deve rispondere a chi lo ha investito, e conta e chiede per tutta la sua parte. I fatti recenti dimostrano che questo sistema non funziona. Comunque la si pensi sul caso Morzenti, la Fisi non può sprofondare nella logica clientelare né può impantanarsi, come però è avvenuto, nelle baruffe e, peggio, nei complotti e nei complottini della politica all’italiana. La Fisi deve organizzarsi per esprimere un presidente che sia espressione della maggioranza di tutti gli iscritti e che, una volta regolarmente eletto, governi senza pressioni nella condivisione del consiglio federale, altrettanto eletto dal popolo sovrano. Per farlo, però, c’è un solo modo: eliminare le deleghe. Una persona, un voto, come in tutti i governi post feudali.
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