Lo slalom, quest’anno più che mai, è diventato una specialità di alta acrobazia. Un esercizio fisico dove la rapidità d’esecuzione è davvero difficile da comprendere, nella sua interpretazione, per noi sciatori, comuni mortali. L’istinto gioca un ruolo di primaria importanza. Si distingue dalla pulsione che mira alla soddisfazione di un desiderio ben preciso, mentre l’istinto, che non è frutto di un apprendimento o di una scelta personale, ha un rapporto piuttosto rigido con ciò cui si mira. È innato e appartiene al patrimonio genetico. Lo slalomista che ne è pervaso, facilmente vince. Lo sci però poggia le propria fondamenta su un’elevata tecnicità e i coachs addestrano gli atleti attraverso allenamenti dove più pali si fanno e più si sviluppa l’abitudine alla reattività. La seconda manche dello svedese Mattias Hargin a Kitzbühel ci ha però insegnato qualcosa di stupendo, di eccezionale, che raramente si è vede su questi schermi. Nella sua carriera, all’età di 30 anni, ha vinto solo sulla pista Ganslem il 25 gennaio scorso, poi un secondo posto in Val d’Isère nel 2013 e due terzi posti nel 2011 a Schladming e Zagabria. Tuttavia è nel primo gruppo da un sacco di tempo, nelle prime manche è quasi sempre tra i primi tre, ma poi, nella seconda… il crollo! Marcel Hirscher e Felix Neureuther, che a Kitz lo hanno accompagnato sul podio, rispettivamente sul secondo e sul terzo gradino, hanno dichiarato all’unisono che mai in vita loro hanno visto una manche eseguita in quel modo. Senti chi parla… proprio loro… eppure se lo dicono… non sono certo tipi da strappare complimenti gratuiti. E non lo hanno detto per giustificare la sconfitta. In effetti Hargin sembrava una scheggia impazzita, capace di distruggere ogni certezza consacrata dalla scienza e dalla fisica. Qui l’istinto si è impadronito del suo corpo e gli ha fatto fare cose che la piena lucidità gli avrebbe negato. Una belva feroce che si è rivelata in tutta la sua rabbia appena superato il traguardo, con il tabellone dei tempi a illuminare i led sulla posizione numero 1. Presente Hulk quando inizia a diventare verde e a strapparsi la camicia? Forse peggio. Questo per dire come sa essere fragile o granitico l’essere umano, nel nostro caso lo sciatore. Nessuno riesce a capire cosa abbia fatto scattare in Matthias un’azione del genere, non giustificabile dalla naturale volontà di fare meglio possibile. Pulsione o istinto? Dunque, l’intenzione di vincere certamente ce l’ha ad ogni gara, ci mancherebbe. L’istinto tecnico pure, altrimenti non riuscirebbe a passare a certe velocità a pochi millimetri dai pali. Ma queste due componenti non lo hanno mai portato lontanissimo o almeno, laddove sono finora arrivati Hirscher e Neureuther. Siamo più vicini alla teoria del raptus agonistico che ha fatto coincidere ogni elemento favorevole, seppur si stenti a credere che tutto possa andare in maniera così positiva per quasi un minuto di gara. I paragoni col passato risultano spesso inappropriati, ma quella manche ne ha fatto riemergere un’altra che ancora oggi detiene il primato della bellezza e della fantascienza sciistica. Sankt Moritz 1974: davanti a gentil donne e cavalieri, re in esilio e ministri in vacanza, attori e attrici, cantanti e poeti, Gustavo Thoeni, presentò nel salotto d’Europa, dove la Svizzera paracadutò i Campionati del mondo, un pezzo di slalom che secondo Mario Cotelli sarebbe potuto andare in scena alla Scala o all’Arena di Verona. Fu uno spettacolo senza precedenti che Thoeni diede dopo una manche quasi stentata, simile a quella di Sapporo dove Paquito Ochoa aveva impostato la medaglia d’oro che lo trasformò in un idolo forse ancor più popolare di Dominguin. In Giappone, dopo un furibondo contrattacco, Thoeni aveva catturato la medaglia d’argento. A Sankt Moritz, Thoeni riuscì a fondere una straordinaria potenza, la sua precisione, il suo fiuto, in una manche che lo stesso papà di Hans Hinterseer, eterno rivale di Gustavo, definì digrignando i denti, un capolavoro. A metà pista aveva già risalito sette posizioni, recuperando lo svantaggio e ammonticchiato un vantaggio che gli permise negli ultimi 300 metri di passeggiare incontro alla medaglia d’oro che lo aspettava al traguardo. Ora paragonare Hargin a Gustavo può suonare come una bestemmia, ma lungi da noi anche l’idea di privarci. Se non altro perché lo svedese, già 48 ore dopo, nello slalom più spettacolare del mondo, è franato sotto una valanga di secondi. L’imminenza dei Mondiali di Beaver Creek ci ha però condizionati e la luce è tornata a illuminare quella memorabile impresa del ’74. 41 anni dopo. Questa nota serve per porre l’accento su una specialità che è diventata un vero e proprio show, anche per chi di sci non sa nulla. L’azione di Hargin resta inimitabile, ma altre simil bellezze ci hanno stupito: la seconda manche di Stefano Gross nel catino di Schladming, altro capolavoro. Si differenzia dalla prima prova di Alexander Khoroshilov, perché la sua azione, era totalmente prova di elettricità. Nessun movimento che richiamasse all’equilibrismo, un colpo di reni, un’inversione acrobatica… Niente, solo il minimo indispensabile per tenere le punte degli sci sulla linea più verticale possibile. Uno sciatore-robot inserito in un videogame non avrebbe fatto meglio. Hargin, Gross, Khoroshilov, tre slalomisti completamente diversi tra loro che hanno vinto in maniera altrettanto dissimile. Acrobazia Hargin, tecnica Gross, precisione Khoroshilov. Il numero uno è Felix Neureuther, che riesce a mixare i tre elementi quasi sempre. Speriamo che questi eccezionali interpreti dello sci agonistico moderno non cambino mai, perché ciò che sanno offrirci è uno stimolo per trasmettere adrenalina. Quella che poi stimola l’appetito e porta a entrare in un ristorante fatto di neve e impianti. E una volta in pista, giù, alla ricerca della curva perfetta, con la speranza di essere raggiunti da quell’insolito e strano fenomeno che ha colpito Hargin a Kitzbühel, Gros ad Adelboden, Khoroshilov a Schladming. Per essere avvolti dalla magia che pervase Gustavo a Sankt Moritz nel ’74 invece, non c’è niente da fare. Non disturbiamo gli Dei.
La scintilla
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Marco Di Marco
Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).
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