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Editoriale: La manche di un Campione

I campioni hanno tutti la stessa stoffa. Non è vero, e vi spieghiamo perché. C’è chi riesce a vincere tutto raggiungendo un valore assoluto nella storia, chi ha solo qualche lampo di luce, ma sufficiente per riflettere la propria immagine nell’albo degli eroi. La definizione di campione, tuttavia, è molto elastica. A volte basta vincere anche una sola gara per diventare, in quel momento, straordinari eroi e il paragone con i grandi nomi del passato è quasi immediato. Sembra Stenmark, è come Thoeni, mi ricorda Tomba… Henik Kristoffersen, che ha appena 21 anni, ha dominato a Madonna di Campiglio uno slalom molto complicato, battendo il campione Marcel Hirscher con oltre 1 secondo di vantaggio. È di conseguenza un campione anche lui? Dunque, vediamo: l’austriaco ha finora vinto 4 Coppe del mondo, 6 coppe di specialità, 35 gare con 79 podi. Ai Mondiali ha conquistato 4 ori e 2 argenti, alle Olimpiadi 1 argento. Il giovane norvegese ha per il momento portato a casa sei vittorie. La sua carriera è appena iniziata eppure sono molti gli appassionati che lo considerano tale. È sottointeso che un campione rientri anche nell’elenco dei fuoriclasse e di chi ha o ha avuto talento. Tre definizioni che spesso vengono miscelate e confuse. Si citano così, tanto per far capire che un atleta è bravo, un fenomeno, un’iradiddio.

Per noi esiste invece, una netta differenza. Un atleta può avere talento ma non necessariamente essere capace di sfruttarlo. Nasce con questa fortuna, può aumentarlo, ma costruirlo è assai raro. Il fuoriclasse è quell’atleta che ha dei colpi di genio e che risolve le gare con passaggi che lasciano a bocca aperta. Tuttavia è spesso incostante nel rendimento, non è padrone delle sue performances, vale a dire non ha la capacità di gestire mentalmente le sue doti tecniche ed atletiche in maniera continua nel tempo, a vantaggio di prestazioni costanti. Il campione invece è l’opposto del fuoriclasse. Come il fuoriclasse, è dotato di tecnica elevata e certamente di talento. Ma è esempio di lealtà sia in gara che nella vita. Spesso si contraddistingue per comportamenti e gesti esemplari e non è mai fuori le righe. È anche colui che non vince solo per se stesso, ma capisce l’importanza di essere un esempio, soprattutto per i bambini o per l’intero movimento sportivo che vive e che rappresenta. È anche quello che sa soffrire in silenzio e con umiltà si rimette al lavoro per tornare a recitare il ruolo che gli compete. C’è anche un’altra categoria di campioni ed è quella dove vivono atleti che, pur senza aver vinto tutto, hanno lottato fino all’ultimo respiro sportivo per l’impossibilità mentale e morale di staccarsi dal mondo in cui hanno vissuto per tanti anni.

Qui c’è un rappresentante che calza a pennello a questo profilo: Massimiliano Blardone. Ha vinto «solo» 7 gare in 15 anni di attività. A Kristoffersen ne manca appena una per eguagliarlo dopo sole tre stagioni in Coppa. Altre 12 volte ha concluso al secondo posto e 5 al terzo. Nessuna medaglia mondiale od olimpica. Ma Max è un campione, questo è fuori discussione. È importante che passi questo messaggio a tanti ragazzini che ambiscono a diventare campioni in Coppa del Mondo. Perché è sbagliato identificarsi nei ‘Numeri Uno’ soltanto perché hanno le tasche piene di trofei. Se lo sport è ancora in grado di trasmettere dei valori di vita, ebbene, Max, superMax, ne è il testimone perfetto. Dategli in mano vostro figlio per una settimana; tornerà a casa come se avesse fatto 5 anni di scuola. Non fa niente se non arriverà sul gradino più alto del podio. Per quello deve avere talento ed essere anche un fuoriclasse. Se poi vuole finirci sopra in pianta stabile e quindi diventare un campione, deve avere quel qualcosa di speciale che aumenterà, giorno dopo giorno, rispettando i valori dello sport e della vita. Nessuno potrà mai dire che Blardone è campione quanto Hirscher, l’album dei trionfi è lì da vedere e parla chiaro, ma campione non è soltanto quello che vince sempre. C’è il campione che sale sul podio della gara e il campione che sale sul podio della vita grazie allo sport. Eccolo dov’è Massimiliano Blardone. Quell’atleta che, quando vediamo sbucare dal cancelletto di partenza, con quello sguardo furioso, ci fa saltare in piedi sul divano, travolti dalla sua energia. La sua vita sportiva rimane nella storia dello sci, con le sue discese, le sue vittorie e le sue sconfitte. Ha seguito con onore e rispetto il destino e le regole, ha eseguito gli ordini senza mai alzare la voce. Poteva mettersi da parte l’anno scorso, quando la Federazione, a ragione, gli comunicò: «Ci spiace Max, ma sei fuori». Max ha però preferito continuare ancora un anno, perché un campione non può evitare di ascoltare ciò che gli dice il cuore e la testa.

Quest’anno ha a disposizione ancora qualche gara per concludere la sua carriera, anche se difficilmente lo rivedremo sul podio (ma ce lo auguriamo), con i ragazzini, talentuosi e fuoriclasse, che si trova davanti. Però a noi è bastato vivere l’emozione che ci ha trasferito nella sua ultima apparizione sulla Gran Risa, quando, partito nella prima manche col pettorale 56, si è classificato ventunesimo. Il risultato in sé è poca cosa, eppure la tribuna ha tremato, le trombe hanno squillato per svariati minuti e il pubblico si è messo a urlare come per un goal della squadra preferita, perché aveva capito il motivo per cui Max si trovava ancora lì, a 36 anni, a combattere con le durissime leggi fisiche dello slalom gigante, che necessitano di una preparazione tecnica, fisica e mentale da superman. Al traguardo, visto il risultato, la sua gioia era lo specchio di una vittoria. Quella vittoria che proprio sulla Gran Risa ha vissuto per ben due volte, quando lanciava verso il cielo il dardo della felicità. Probabilmente la decisione, faticosissima, di rimanere nel giro ancora una stagione è stata ripagata da quella manche. La manche di un campione.      mdm

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Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

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