Per frattura malleolare si intende la frattura che interessa una o due parti anatomiche fondamentali della caviglia, che sono rispettivamente: malleolo esterno operoneale e malleolo interno o tibiale.
A completamento di questa introduzione anatomica è necessario ricordare che esiste anche un “terzo” malleolo, formato dalla parte posteriore della tibia. I tre malleoli resi solidali tra loro da strutture legamentose, formano la così detta “pinza”, che stabilizza il piede consentendone i movimenti su tutti i piani, compresi quelli rotazionali.
Ripercorrendo la storia dello sci, questa importante articolazione è stata un tempo, frequentemente esposta a eventi fratturativi, specialmente a causa delle caratteristiche degli attrezzi di allora. Gli scarponi ad esempio, erano fatti di cuoio, bassi e con il gambale appena al di sopra dei malleoli, in questo modo risultavano essere privi di presa efficacie della caviglia e favorivano le rotazioni dell’articolazione con possibile trauma fratturativo. Con il passare degli anni l’attrezzo si è evoluto, sviluppando proprietà di rigidità importanti, che consente flessibilità anteriore ma non laterale, ma allora come mai negli ultimi tempi si sta assistendo a un ritorno di questa tipologia traumatica?
Per rispondere correttamente a questa domanda, pur essendo io un maestro di sci, ho contatto Damiano Riva, maestro di sci, allenatore di fama e istruttore nazionale e con Lui ho analizzato quali sono i fattori predisponenti questo tipo di trauma. L’analisi si basa su fattori diametralmente opposti riscontrabili nello sciatore comune e nell’agonista.
Nel primo caso gli scarponi utilizzati risultano essere poco contenitivi e spesso allacciati non correttamente determinando di conseguenza, un’incontrollata libertà di movimento della caviglia. Nel secondo caso gli scarponi sono, al contrario, supercontentivi e devono sopportare torsioni traumatiche della caviglia. A determinare la frattura concorre anche la durezza della neve su cui impatta lo sci. Nello sciatore comune in seguito a una presa di spigoli improvvisa, si verifica una rotazione violenta dell’articolazione della caviglia nello scarpone , con conseguente trauma distorsivo che può portare a diversi tipi di infortunio. In questo caso lo sci può sganciarsi ma con l’evento traumatico già avvenuto. Per quanto riguarda lo sciatore agonista, per evitare pericolosi distacchi dello sci durante le gare, gli attacchi vengono tarati in base ad alte prestazioni dell’atleta, talvolta sino a 200 chili, per questo nella maggior parte degli impatti gli sci tendono a rimanere vincolati allo scarpone, causando traumi particolarmente rilevanti alla caviglia.
In ogni caso si tratta il più delle volte di fratture che vanno incontro sempre a guarigione e, a seconda della gravità, possono essere trattate cruentemente o incruentemente. Interessano maggiormente il malleolo esterno, meno frequentemente quello interno e il posteriore, ma possono coinvolgere entrambi i malleoli (fratture bimalleolari) o tutte e tre i malleolo (fratture trimalleolari).
Il trattamento si basa sull’uso di apparecchi gessati e di tutori bivalva o walker. Quando è necessario si ricorre a viti e placche anatomiche che seguono il profilo del malleolo, riducendo ottimamente la frattura.
La scelta del tipo di trattamento è dettata, non solo dalla scomposizione della frattura, ma dall’allargamento della “pinza” formata dal malleolo esterno ed interno, che deve stabilizzare l’articolazione. Sono fratture da non sottovalutare in quanto, un insufficiente studio (necessaria tac o rmn), può portare a errate indicazioni cliniche. Al periodo di immobilizzazione seguirà un ciclo di fisiochinesiterapia per recuperare forza e stabilità dell’articolazione.
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