Non è una teoria o una sensazione e nemmeno una sentenza scientifica ma una verità: la curva perfetta non esiste! Spiego perché.
Mi piacciono i colli duri e incassati degli sciatori master mentre scendono tra i pali e mi piacciono le caviglie rigide e aperte dei ragazzini quando sciano oltre le loro possibilità.
Mi piacciono le braccia avanzate, chiuse e stecchite e il sedere arretrato delle atlete master già alla seconda porta e mi piacciono, oh questi mi piacciono più di tutti, i volti feroci, gli occhi grifagni, le bocche aperte a mostrare i denti digrignati degli sciatori di tutte le età mentre danno il meglio di loro stessi, cercando la vittoria o anche solo un piazzamento che possa abbassargli il punteggio Fisi.
Perché questo è lo sci che ci spiega l’esistenza. L’altro sci, quello della conduzione, della gradualità, del ritmo, dell’armonia, della curva perfetta, non esiste. È un sogno, una fantasia. È come Moby Dick: una caccia senza fine.
Questo sci della perfezione, se mai, è il nostro ideale di esistenza, mentre noi e la nostra vita siamo quell’altro sci, quello del collo duro, delle caviglie rigide, delle facce eternamente sotto sforzo.
Siamo «conati» diceva Spinoza. Siamo sforzi, tentativi faticosi di continuare a essere quello che siamo. Che però è la più grande e alta, così ci ha insegnato Spinoza, espressione di umanità. Perché l’essere conati, colli incassati e denti digrignati, è la fatica e la sofferenza che ciascuno di noi fa. E patisce per realizzare le proprie buone e sincere passioni attraverso le quali soltanto possiamo arrivare a conoscere la vera, terrena letizia.
Ecco, vi invito a non strappare più, come sempre si è fatto, le foto che ci ritraggono duri e impalati sugli sci. Anzi, vi invito a portarle in ufficio, a esibirle con orgoglio. Non si chiamano forse «imprese» quelle in cui lavoriamo? Non siamo ogni giorno a lottare per continuare a mantenere il lavoro che facciamo?
Siamo tutti conati in impresa. E lo siamo sia quando sciamo, sia quando lavoriamo. Cosa c’è allora di meglio di un collo incassato, di due braccia stecchite, di due gambe dure. O di una faccia feroce di uno sciatore in una bellissima giornata di neve e sole per descrivere la volontà che, spinozianamente, ci conduce alla letizia?