Riceviamo e pubblichiamo il pensiero di Francesco Mambretti, Maestro di Sci e Avvocato cassazionista, membro del Consiglio Disciplinare Nazionale dei Maestri di Sci istituito presso il Colnaz).
Malgrado i precoci entusiasmi di molti, in attuazione dell’ultimo DPCM è stata differita al 5 marzo la chiusura degli impianti da sci, rendendo così sempre più evidente che non verranno più riaperti per la stagione corrente.
Tuttavia, contrariamente alle apparenze, Covid o no, sulle Alpi diversi impianti sono aperti e consentono l’accesso ai c.d. “atleti” in funzione sia di competizioni che di allenamenti, che si avvalgono sin dall’inizio stagione di una norma del DPCM (che per inciso, come qualunque giurista sa, è un atto giuridicamente inadeguato ed illegittimo per introdurre norme limitative delle libertà dei singoli e delle categorie) che pare rimandare ad eventuali protocolli d’intesa con il Coni e la Federazione.
E qui sta la prima anomalia italiana, poiché chi ha scritto il DPCM evidentemente pare non conoscere la normativa italiana sullo sci.
Infatti in tutta la legislazione degli ultimi 20 anni in materia professionale di sci (vedasi Legge quadro 81/91 e relative integrazioni regionali, per es. L. Reg. Lombardia 84/94, Legge regolamento Reg. Lombardia n.10/2004 ecc.), il legislatore ha progressivamente allontanato le figure di FISI e Coni, privandole di ogni giurisdizione di legge sulle professioni sciatorie, abilitate ex lege con esame di stato.
Quindi non esiste nessuna definizione di legge su chi sia un “atleta”, comprendendo sotto tale definizione generica ed impropria chiunque svolga una attività agonistica sotto l’egida di una tessera federale, che va dal livello amatoriale alla coppa del mondo. E l’infelice espressione usata “atleti di interesse nazionale” non fa che accrescere la confusione poiché giuridicamente non significa nulla.
Cioè nel diritto italiano la figura dell’atleta professionista, a cui pare maldestramente destinata la norma del DPCM, non esiste.
Mentre le figure professionali legate alla disciplina sportiva dello sci, a differenza della maggior parte degli altri sport, sono inquadrate in albi professionali di legge che sin dalla riforma del 1991 non c’entrano nulla con Fisi e Coni, Enti che le riforme successive hanno sempre più teso ad escludere dalla giurisdizione in tale materia.
L’unica deroga prevista dal DPCM per i non “atleti” è per i loro c.d. “allenatori”, incarico federale non riconosciuto dalla legge ma avente solo rilievo organizzativo interno, i quali – va sottolineato – proprio per tale ragione quando esercitano l’attività di insegnanti dello sci lo fanno solo in virtù del titolo legale di Maestri di Sci regolarmente iscritti all’albo.
E la legge Professionale sull’insegnamento dello Sci, L. quadro 81/91 (e successive modificazioni e integrazioni regionali) sull’argomento è univoca: i Maestri di Sci sono tutti uguali, non ne esistono di serie A e di serie B, a maggior ragione in virtù di titoli non riconosciuti legalmente come quelli federali, che non sono delle abilitazioni. Dal punto di vista legale non esistono “allenatori” e “sci club”, esistono solo “maestri” e “clienti”.
Quindi il paradosso che ormai è sotto gli occhi di tutti è che chiunque, di qualunque età, anche se dilettante dello sci, si prenda una tessera federale e si iscriva a una competizione più o meno amatoriale purché sotto un’egida di Federazione, diviene “atleta”, che per il tramite del proprio sci club ha diritto di accesso agli impianti in funzione.
Mentre nulla il DPCM dice sulle categorie di sciatori che professionalmente hanno un sacrosanto diritto sancito dalla legge a stare sui campi da sci. Poiché depositari di una abitazione professionale di altissimo livello tecnico conseguita con esame di stato ed iscrizione all’albo (maestri di sci in primis) che si trovano ad essere escluse dalla norma, malgrado legalmente siano sciisticamente molto più titolate dei c.d. “atleti”, pur non avendo incarichi “federali”.
Incredibilmente nessuno pare essersi accorto dell’ovvio, cioé del diritto dei Maestri di Sci di andare a sciare. Qui non stiamo parlando delle ovvie e dolorose constatazioni sulla perdita del diritto al lavoro di una categoria che l’irresponsabile decisione governativa di chiudere gli impianti da sci sta riducendo alla fame insieme alle loro famiglie e di cui si continua di frequente giustamente a parlare e che si continua a rivendicare in molte sedi.
Qui stiamo parlando di un argomento molto più elementare che sta a monte del diritto al lavoro, cioé del diritto puro e semplice di sciare. Sembra incredibile ma è vero: nessuno si è accorto di rivendicare tempestivamente e con fermezza il sacrosanto diritto – dovere della categoria dei Maestri di andare a sciare in forma singola (senza allievi) sui pochi impianti aperti, per mantenersi allenati.
Nessuno pare essersi accorto che ciò configura non solo un diritto ma anche e soprattutto un dovere, essendo tenuti i Professionisti della neve, Maestri di Sci in primis quale unica vera e propria categoria professionale di sciatori riconosciuta e disciplinata dalla legge, ad avere anche nell’emergenza sanitaria il diritto-dovere come singoli di calpestare le piste da sci anche quando gli altri (i sacrosantamente legittimi turisti domenicali) non possono, per l’ovvia ragione che i professionisti della neve sono legalmente e deontologicamente tenuti a mantenersi professionalmente preparati e quindi a mantenersi allenati.
Ed in quanto Professionisti iscritti ad un albo molto di più ed in precedenza assoluta rispetto ai c.d. “atleti” o sedicenti tali, in ogni caso privi di qualsiasi titolo legale ad essere riconosciuti professionalmente.
Nessuno pare essere stato in grado di spiegare ai governativi, che legiferano illegalmente a colpi di DPCM e verosimilmente hanno un’idea molto vaga di cosa sia lo sci, che i professionisti di questo sport hanno diritto di andare a sciare, poiché stare fermi a lungo senza allenarsi mina gravemente e pericolosamente la loro professionalità.
E tutti paiono aver perso di vista il fatto che il diritto degli appartenenti di una categoria ad una dignità professionale passa anche e soprattutto come primo gradino della scala attraverso il diritto di praticare in forma singola la loro attività che in primo luogo è – e deve essere nell’essenza – una passione.
E che non rivendicarlo fermamente come categoria solo perché allenarsi da soli non rende palanche e non dà da mangiare è gravemente pericoloso e minatorio per il rispetto dell’integrità della professionalità di tutti gli appartenenti.
Per tale ragione anche le rappresentanze dei Maestri di Sci purtroppo si sono dimostrate carenti, e probabilmente più carenti sono stati i loro referenti politici, anche non rivendicando con forza sufficiente come la scellerata norma del DPCM paia far passare alla massa un altro pericolosissimo messaggio, ovvero il falso distinguo che esistano Maestri di Sci di serie A che hanno diritto di accedere agli impianti (solo in virtù di un titolo non riconosciuto dalla legge) e Maestri di Sci di serie B che non l’hanno, distinzione che la legge espressamente nega ribadendo l’uguaglianza dei Professionisti.
Con il rischio di spaccare un categoria che da anni stiamo vedendo concentrata principalmente su sforzi di marketing per attirare nelle scuole stuoli di allievi di livello tecnico basso, talvolta trascurando il suo compito – simbolo di artefice della storia dello Sci Italiano, che è quello di sciare ai massimi livelli e di trasmettere la passione per lo sci. E che una passione è soddisfazione per sé stessi, che non è sempre divertimento. Ma neppure sempre e solo vendita di ore di lezione.
Questa dimenticanza di attenzione legislativa, volta a maltrattare una categoria professionale riconosciuta come tale dalla legge da almeno un ventennio, è talmente macroscopica che non può non far sorgere il dubbio di essere funzionale ad una logica più ampia, volta a svalutare le categorie professionali, nessuna esclusa, per screditare le capacità riconosciute e istituzionalizzate del lavoro del singolo esercitato in indipendenza, in un processo storico e sociale ampiamente studiato1.
A maggior ragione appare pericolosa anche la posizione assunta dalla Conferenza delle Regioni in un atto del 28 gennaio scorso con un intervento apparentemente volto alla tutela del diritto dei Maestri di Sci di allenarsi, poiché in esso si parla addirittura di “equiparazione” del diritto di allenarsi (di chi ha sostenuto un difficilissimo esame di stato) ai c.d. “atleti”, i quali però indistintamente non hanno nessun titolo legale. Si legge addirittura che i Maestri “rappresentano il primo approccio sulla neve degli allievi” (sic!), dimenticando che per legge sono gli unici docenti abilitati di qualunque tipo di sciatore, di qualsiasi livello, atleti compresi, il cui sapere tecnico viene dai Maestri di Sci, che – pressocché tutti – hanno alle spalle un percorso di atleta.
Possiamo solo sperare che il 2020, anno disastroso, dove con il pretesto di una emergenza sanitaria pur grave sono stati aboliti diritti elementari, non venga ricordato dagli storici dello sci come l’anno dell’inizio dell’uccisione della categoria professionale gloriosa dei Maestri di Sci Italiani, un tempo capiscuola e vanto d’Italia nel mondo.
Oggi relegati da un atto amministrativo ai diritti dei sacrosanti ma normali turisti domenicali e superati nei loro diritti dagli amatori, taluni solo sedicenti atleti.
Francesco Mambretti
(Maestro di Sci, Avvocato cassazionista, membro del Consiglio Disciplinare Nazionale dei Maestri di Sci istituito presso il Colnaz)