In diversi settori del commercio si sta imponendo sempre di più il concetto di sharing. Nelle auto e nelle grandi città anche nel bike tale sistema spopola. Si tratta di una sorta di affitto evoluto con caratteristiche proprie. Uso una city car per un tragitto, ne uso un’altra per tornare indietro. Da qui è in procinto di partire un sistema ancora più evoluto, simile al noleggio: non compro più l’automobile ma pago un servizio. Con un canone mensile fisso che può valere uno, due o più anni, mi portano a casa l’auto nuova e l’azienda pensa a tutto, dall’assicurazione alla manutenzione straordinaria, dal cambio gomme al tagliando. L’operatore della concessionaria è destinato a cambiare totalmente tipologia di lavoro. Non guadagnerà più sulla vendita ma proprio sui servizi di manutenzione della vettura. Non è di certo l’unica categoria che ha visto negli ultimi anni modificare la propria attività. Alcune sono scomparse addirittura. Senza andare lontani, nell’editoria non esiste più la fotocomposizione e la fotolito. Un bel vantaggio in fatto di risparmio di tempo (e di denaro) del processo produttivo, decisamente meno per l’occupazione. Nel mondo dello sci il noleggio esiste da sempre. Erwin Stricker seppe trasformarlo aumentandone la qualità. Le aziende del settore ne hanno cavalcato l’onda e ora vendono meno sci agli appassionati ma molti di più ai negozi rent. Molti sciatori, soprattutto quelli occasionali, sono più felici, le case produttrici, invece, seppur alimentino sempre di più tale sistema di distribuzione, non possono che assistere alla caduta verso il basso della freccia relativa alle vendite. Trovare un negozio di articoli sportivi nelle grandi città è davvero impegnativo. Negli ultimi 15 anni su 100 ski shop ne saranno rimasti 10. E’ proprio di questi che voglio parlare, identificandoli come piccoli eroi. Esistono ancora perché prima di essere abili venditori sono inossidabili paladini della passione.
Per riuscire a tirare su la saracinesca ogni mattina hanno però dovuto cambiare identità, perché il cliente non varca la soglia per comprare semplicemente uno sci. Entra nel mio negozio perché sa di trovare un servizio. L’argomento principale non è l’attrezzo sci, ma lo scarpone. Da un paio d’anni la parola bootfitter è entrata prepotentemente nel vocabolario dello sciatore. Prima ci si limitava a personalizzare il plantare, per risolvere tanti guai. Qualcuno in tempi non sospetti, già si adoperava per sistemare anche lo scafo, ma era una pratica poco nota. Ora questo tipo di lavorazione si è diffusa. C’è la possibilità di modificare lo scarpone al fine di trovare la massima calzabilità, renderlo più preciso possibile e adattare al meglio le zone che provocano dolore. Per dedicarsi a questa tipologia di lavorazione entra in scena l’artigiano. Come il falegname di un tempo lavorava di cesello, il bootfitter, con l’utilizzo di attrezzi tutto sommato rudimentali, cambia lo scarpone da così a così. E sono le stesse aziende che propongono tali servizi affidandosi ai negozi riconosciuti più tecnici.
Naturalmente il bootfitter prima di essere identificato come il santo protettore dei piedi dello sciatore, deve imparare il mestiere seguendo corsi specializzati, organizzati dai guru del settore, oggi alle dipendenze dei produttori. Diciamolo, è un lavoraccio. Quelli bravi impiegano anche più di un’ora, con il cliente lì, che aspetta. Ed è anche in questo momento che il negozio cambia identità. Qui non si acquista soltanto uno scarpone, ma anche tanta fiducia. Colui che mette le mani dentro alla scarpetta o prende a scalpellate (si fa per dire) lo scafo è un po’ come il dottore che ti sistema un osso o ti cuce la pelle. Il bootfitter, quasi sempre con i capelli tinti di grigio, ha le ginocchia a terra quasi pregasse. Tu sei dinnanzi a lui con le gambe semiflesse, in una posizione di probabile imbarazzo. In quel momento è un uomo ai tuoi piedi e tu nelle sue mani. Non è per lui una situazione sgradevole. Sa di doversi prendere una discreta responsabilità. Se lo sciatore uscirà dal negozio col sorriso sulle labbra sarà per lui un momento di soddisfazione enorme. Non è per il denaro perché per quello che fa prende due lire. Sa di poter garantire un risultato che mai l’appassionato si sarebbe immaginato e ancora di più sa di non essere un commerciante e nemmeno un venditore, ma un uomo di neve, anzi, al servizio della neve. Rimane allo stesso tempo consapevole di essere colui che nel suo piccolo contribuisce a tenere in vita un mestiere. Le aziende lo riconoscono e stanno lavorando sodo per correre loro in aiuto con sistemi sempre più precisi, affidandosi alla tecnologia, ma dove la manualità e l’esperienza rimangono indispensabili per ottenere un buon lavoro. Da qui parte un breve messaggio. Chi non fosse interessato a questo genere di servizio, perché è stato convinto da qualcuno che con un paio di numeri in più il problema degli scarponi non esiste (bestialità), se ne stia alla larga dai bootfitter. Sono quelli che entrano in negozio, provano tre o quattro modelli e poi escono con un: «Grazie, ci penso». Poi si attaccano a internet per trovare il modello scelto al miglior prezzo (pochi euro in meno). Ecco, se siete così, tenetevi a debita distanza dai bootfitter. Se volete procedere in questo modo, fatelo, ma non da loro. Li offendete e li umiliate. Lo scarpone non potrà mai essere un oggetto «Sharing», tantomeno da Black Friday, ma solo da White Sunday!
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