Sono già passati dieci anni. Il tempo vola ma non può spazzare via il ricordo, il rimpianto. Era un sabato il 13 aprile 2002 quando, nel pomeriggio, Fausto Radici disse a Elena Matous che stava uscendo per fare una passeggiata nei boschi. Non è più tornato da sua moglie, dai suoi figli Alessandro e Vittoria, tra noi. Il suo corpo venne ritrovato durante la notte nella legnaia della Monga, la tenuta della famiglia Radici sul Monte Croce, sopra Leffe, nella bergamasca Val Seriana: si era sparato un colpo di rivoltella alla tempia destra. Aveva 49 anni. Era un uomo meraviglioso. Il gesto tragico e definitivo con cui ha voluto porre fine alla propria esistenza è stato l’imponderabile sigillo di una esperienza di vita straordinaria, coltivata con passione, tenacia, sensibilità e coraggio in molte direzioni, tutte illuminate da uno spirito di affascinante complessità.Fausto era il quinto dei sei figli di Gianni Radici e Luciana Previtali. Il padre, con il fratello Miro, negli anni 40 aveva posto le fondamenta di un colosso industriale nel settore delle fibre sintetiche ma era anche un appassionato di sport, di montagna e di sci. Fausto deve il suo nome al campionissimo Coppi. A due anni un glaucoma gli porta via l’occhio sinistro. Questo handicap non gli impedisce di seguire la passione di famiglia per lo sci e di diventare addirittura un grande campione, passando dal Monte Poieto alla Coppa del Mondo dopo aver vinto la Coppa Europa nel 1973. Nel magico e irripetibile mosaico della Valanga Azzurra non è soltanto un prezioso tassello di specializzazione slalomistica ma un faro di serenità e armonia, con un talento da leader contenuto in un involucro fatto di pudore, riservatezza, umiltà ma anche di pervicace determinazione. Nel 1976, quando è già comparso sulla scena Ingemar Stenmark, vince due slalom di Coppa, a Garmisch in gennaio, a Madonna di Campiglio in dicembre, davanti a Pierino Gros e Gustavo Thöni, l’ultimo en plein della Valanga. Si ritira nel 1978 a soli 25 anni. Vuole dedicarsi subito al lavoro nell’azienda per onorare il vincolo fortissimo con il padre e sentirsi degno di lui. Diventa un illuminato capitano d’industria capace di straordinaria imprenditorialità e di lungimiranti visioni strategiche sostenute da una fortissima consapevolezza del ruolo sociale dell’impresa, da un rigoroso senso del dovere e della responsabilità. L’amore per l’arte contemporanea sboccia e si sviluppa sulla sua natura problematica e curiosa. In lui si tengono l’industriale e il collezionista, l’imprenditore e il Mecenate. Infine tutta la sua ricchezza interiore, tutta la sua sensibilità si è scontrata contro il dubbio lacerante di avere sbagliato quando alcune sue iniziative imprenditoriali non hanno avuto successo e un vortice psicologico incontrollato l’ha condotto al suicidio. Ma di lui resta un’orma indelebile nel mondo che ha attraversato con impegno calvinista e quasi infantile leggerezza. Chi lo ha conosciuto e con lui ha condiviso qualche pezzetto di vita lo vuole ricordare a dieci anni dalla sua scomparsa per recuperare il patrimonio del segno lasciato da lui tra noi che restiamo. La moglie Elena e tanti amici hanno organizzato per questo una giornata in ricordo di Fausto Radici per il 14 aprile prossimo presso una delle «opere» scaturite dalla sua intraprendenza e dalla sua determinata volontà. Siete tutti invitati. Non sarà un giorno triste: Fausto sarà lì con noi.
IL SUO ULTIMO REGALO
ALT ARTE CONTEMPORANEA è lo spazio che i collezionisti Tullio Leggeri ed Elena Matous Radici aprono in memoria di Fausto Radici, campione di sci, imprenditore e collezionista di arte contemporanea. ALT è un’associazione culturale, dunque uno spazio no profit, inaugurata il 27 giugno 2009 ad Alzano Lombardo (8 km da Bergamo). ll nome ALT di solito significa divieto, impedimento. In questo caso invece è l’acronimo di Arte Lavoro Territorio e vuole suggerire una sosta, un momento di meditazione. Cos’è? Un incubatore e un display delle energie eccellenti della creatività del territorio, un’apertura alle ricerche artistiche internazionali, ma soprattutto uno strumento per divulgare e sperimentare l’arte contemporanea come mezzo per capire e interpretare meglio il momento in cui stiamo vivendo. Il progetto architettonico è significativo: adiacente ad appartamenti e laboratori, nell’idea di una convivenza con la gente, ALT consiste di 3500 mq di spazi espositivi, un bookshop, un ristorante di cucina ricercata ma a prezzi contenuti e spazi per conferenze, incontri ed eventi di arte contemporanea. Il tutto all’interno dell’ex opificio Italcementi – opera del 1883 definita nella sua forma finale da Ernesto Pirovano – la cui riqualificazione ha ricevuto la segnalazione al prestigioso Convegno Mondiale di Architettura di Istanbul nel luglio 2005. ALT è molto di più di una vetrina di una collezione originale. Grazie ad un’attività di divulgazione e di ricerca che affianca la collezione, si propone come strumento utile al territorio, in una filosofia dell’arte non esclusiva ed elitaria, ma tesa a far partecipare la società alle manifestazioni contemporanee della ricerca. ALT non è dunque un museo, ma uno spazio sperimentale che vuole tentare vie nuove di coinvolgimento del pubblico. «Il museo – ha detto Elena Matous – è l’ultimo «regalo» voluto da Fausto che, insieme all’amico collezionista Tullio Leggeri, ha acquistato per recuperarla quella che fu la prima fabbrica Italcementi, un luogo storico di grande valenza di archeologia industriale. Nel cuore dell’immobile, proprio come voleva lui, è nato il museo dedicato all’arte contemporanea, oggi a lui intitolato: un luogo bellissimo!!»
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