Dolomiti Show, così suona il titolo di un servizio turistico realizzato il 21 dicembre, e che sarà pubblicato sul Sciare del 15 gennaio. Immagini meravigliose di luoghi fatati. In certi posti lo sciatore si lascia sedurre dalla carenatura dolomitica che rompe l’azzurro di un cielo intenso. Qui la mente vola via e sbatte da una roccia all’altra, dal Sella al Pordoi, dal Sassolungo fino alla Marmolada che rimane appena dietro, prima che l’orizzonte la offuschi. Più si sale, maggiore è il senso di disorientamento. Ci si sente piccoli, piccoli, intimoriti dalla maestosità e dalla forza che la natura ha voluto regalare a queste vette così uniche. Cerchi di addolcirle abbandonandoti alla fantasia, per accostarle a figure note che diventano mitologiche per sdrammatizzare: un cane a due teste, la corona di un re, le fauci di una tigre… Quel senso di timore viene presto sconfitto se decidi di rimanere in disparte con doveroso rispetto, rendendoti protagonista di uno spettacolo indimenticabile. Dolomiti show, appunto. C’è invece chi interpreta la scena come una sfida. Rimanere seduti in platea per il bene di occhi e polmoni non soddisfa, quindi ci si prepara al confronto. Tu contro la montagna, il desiderio di domare qualsiasi cosa contro la natura, rea di essere talmente bella da dover essere conquistata a tutti i costi. Orgoglio personale, sfrontatezza, mettere alla prova le proprie capacità. Forse qualcos’altro. Entrare nella mente di chi pratica alpinismo e sci alpinismo evoluto non è semplice. Chi sfida l’impero dell’estremo o dell’avventura, e sono tanti, è violentato da una tremenda pulsione, che permette di scaricare adrenalina e tensione. Chi sa controllare questo stato di scarso equilibrio psichico si mette in gioco senza rischiare poco o nulla. In caso contrario si è alla totale mercè della montagna, governata da leggi dove l’uomo non può intromettersi. Molti esperti sanno interpretarle, altri ritengono di conoscerle con scarsi successi, altri ancora le recitano a memoria, ma nulla si può quando interviene l’imprevedibilità. La parola rischio viene spesso cancellata dal vocabolario, perché appare come un nemico invisibile pertanto impossibile da affrontare. Ci si affida alla propria autorevolezza e all’istinto. Uno stato di delirio che fa scivolare dritti, dritti verso una chiara e nitida strafottenza o mancanza di rispetto, pratica, purtroppo, molto diffusa. Ogni schema, ogni considerazione salta per aria quando questo accade ad appassionati di esperienza. Sette giorni dopo il nostro passaggio, due alpinisti friulani con un Ottomila himalayano affrontato da poco decidono di avventurarsi in Val Lasties armati di ciaspole, in cerca di pareti di ghiaccio da scalare, senza Arva e in condizioni di pericolo valanga 4. Qual è il rischio? Il distacco è probabile già con un debole sovraccarico su molti pendii ripidi. In alcune situazioni sono da aspettarsi molte valanghe spontanee di media grandezza e, talvolta, anche grandi valanghe. Quello che è accaduto è tristemente noto. Non esiste una logica che possa regalarci una spiegazione. Qualsiasi paragone risulterebbe infantile. Tutt’altro che banale è invece il problema di coscienza che interviene in un simile caso. Bisognava andarli a cercare perché questa è la mission del soccorso alpino oppure conveniva attendere condizioni migliori per non rischiare altre vite? Le istituzioni e il popolo votano la seconda via, i soccorritori, ancora oggi, non hanno invece alcun dubbio a non considerare nemmeno la questione. Non si sentono eroi, tanto meno salvatori della Patria. Sono lì per aiutare chi è in difficoltà e sono protetti da una preparazione raffinata, anche se appare evidente come esistano limiti alla prevedibilità. Anche questa è una forma di pulsione che non può essere controllata. È un sentimento che si sviluppa fin dalla nascita e che si rafforza man mano che scorre il tempo. Salvano vite consapevoli di non doversi aspettare nulla, perché la soddisfazione personale è più grande di un grazie, che a volte non arriva nemmeno. Conoscevamo Diego Perathoner, piccolo grande uomo dal viso serafico con quel ciuffo rossastro che tanto ricordava i colori delle valli fassane in autunno. Lo abbiamo cercato nel nostro tour ma era impegnato a mettere in sicurezza alcune zone sciistiche di Canazei, in vista della grande folla che avrebbe raggiunto il comprensorio nelle vacanze natalizie. Siamo scossi, quasi disamorati. Stavamo per cancellare ogni parola scritta nelle pagine dedicate all’itinerario compiuto in Val di Fassa, ma tale scelta non sarebbe mai stata condivisa da Diego, Erwin, Alessandro e Luca. Questa è l’unica cosa di cui siamo certi.
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