Pochi giorni fa è venuto a mancare, all’età di 83 anni Virginio Bracchi che per oltre 40 anni, fino al 2005, è stato direttore della società impianti di Bormio con la proprietà dei Fontana. Sotto la sua direzione la stazione ha iniziato a creare le basi di un’area ski che all’epoca era invidiata da tutti. Per ricordarlo non troviamo forma migliore che tornare indietro nel tempo e seppur con grande sintesi, collocarlo nel suo ruolo di direttore degli impianti che forse ai tempi era ancora più importante di oggi.
Bormio, parliamo degli anni ’60-70, nasceva in una posizione assolutamente strategica. È la storia a raccontare quanto valesse. I romani, guerrieri per vocazione, con la scusa delle terme e dell’acqua calda corrente vi avevano già piantato un campo fisso fin dalla loro prima apparizione in quelle zone. E i loro successori, con l’ampliarsi dei traffici, riuscivano a bloccare e a far pagare pedaggio a tutti quelli che, per lo Stelvio o il Gavia, intendevano raggiungere le vallate contigue.
La ricchezza di Bormio, divenuta contea e quindi soprannominata pomposamente «magnifica terra» ha sempre goduto di questa posizione strategicamente dominante. E continua a mantenerla anche negli Anni ‘70, d’inverno e d’estate, senza soluzione di continuità. Non sono più i mercanti, ma i turisti. Ed i bormini, che il cervello fino ce l’hanno per tradizione atavica, sanno la lezione a memoria.
Virginio verso la metà degli Anni ’70, si trovo a gestire un carosello immenso per quell’epoca: 18 km di impianti, 50 km di piste che abbracciano un’intera montagna fra 1200 300 metri di quota che esplose in quegli anni.
Per giungere in quota da Bormio individua due possibilità: la telecabina del Ciuk o… l’automobile! La prima porta a 1.680 metri del Ciuk, punto nevralgico del sistema delle risalite di Bormio. La seconda arriva fino a Bormio 2000. Secondo punto di raccordo fra gli impianti e base di partenza per la Grande Funivia di Cima Bianca, più conosciuta come Bormio 3000.
La doppia sciovia Nevada prende l’avvio da Bormio 2000 per risalire fino al “cimino”
In seguito suggerisce una terza possibilità, una funivia che dall’abitato di Bormio porterà a Bormio 2000 in un unico balzo, accorciando notevolmente il tempo di percorrenza per raggiungere le piste ad alta quota. Per Bracchi non era sufficiente far girare al meglio gli impianti, ma ha sempre cercato il pieno coinvolgimento di tutte le parti in gioco del paese per vincere la scommessa turistica.
Voleva che gli sciatori tornassero a casa felici per le giornate passate a Bormio ma anche ammirati per aver trovato una simile organizzazione che nessun’altra stazione aveva. Nella zona del Ciuk, la più anziana, su un breve pianoro che si apre di fronte al ristorante di Nani Anzi, padre del discesista Stefano, fanno scalo 5 impianti disposti a raggiera. Due sciovie arrivano dal basso, mentre uno skilift e due seggiovie prendono l’avvio da qui per risalire più in alto. Poi ci sono gli impianti bassi, il baby-scuola “Prati Ciuk” al servizio di un facilissimo campetto molto frequentato di neofiti, e la sciovia Elena, un impianto di 450 metri al servizio di una buona pista che scende fino al quarto tornante della carrozzabile di Bormio 2000.
Poi gli impianti alti. Sulla sinistra, in campo aperto sale la grande sciovia Graziella, lunga 1.750 metri che serve la celebre pista agonistica degli Ermellini. In prosecuzione naturale della cabinovia del Ciuk si innalza la seggiovia della Rocca, che dopo un percorso di 1.620 metri giunge fino a quota 2.126 e viene seguita immediatamente dalla seggiovia di Valbella, lunga 850 metri, fino a quota 2.428 metri.
Prima dell’avvento della funivia Cima Bianca era proprio questo il punto più alto raggiungibile. La rete impianti si completa poi con la seggiovia dei laghetti che svicolando verso destra raggiunge Bormio 2000, a pochi passi dalla partenza della Grande Funivia. Ne mancano tanti altri, ma il senso di avervi portato indietro nel tempo era per far comprendere cosa Virginio Bracchi doveva coordinare con i mezzi di quei tempi. Non c’era di certo la tecnologia di oggi dove tutto è automatizzato. Ecco perché Bormio deve tantissimo a quest’uomo, zio di Umberto Capitani, una famiglia che affonda le radici in una terra che ha infinite storie da raccontare, di uomini e grandi imprese sia sportive che turistiche.
Virginio, oltre a lasciare la sua amata terra ha lasciato di sé un ricordo indelebile!
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