Notizie

Cosa rischia Lindsey Vonn a sciare con la protesi parziale in titanio

Cosa rischia Lindsey Vonn a sciare con la protesi parziale in titanio. Fino a dove potrà arrivare Lindsey Vonn al suo rientro alle competizioni dopo l’addio alle gare del marzo 2019 lo vedremo presto, soprattutto con le gare veloci di Cortina.

I primi assaggi sono stati a dir poco strepitosi fin dalla “prima” di Sankt Moritz (14°) fino alla discesa (6°) e al superG (4°) di Sankt Anton.

Ma non è soltanto l’età (40 anni) e la pausa così lunga dalle competizioni a rendere così incredibili i risultati finora raccolti, ma la protesi parziale in titanio che le ha permesso di rimettere gli sci. Ci siamo chiesti fino a che punto quello che non può essere per niente un dettaglio, comporti dei rischi.

Ci è venuto incontro il Dott. Prof Norberto Confalonieri, medico chirurgo, pioniere della Chirurgia Ortopedica Computer e Robot Assistita a Milano, con oltre 10.000 interventi in più di 30 anni di esperienza dedicati all’innovazione e all’eccellenza nella chirurgia protesica di anca e ginocchio. Nel 2014 è stato anche Presidente Mondiale dell’associazione scientifica CAOS (International Society for Computer Assisted Orthopaedic Surgery).

Dott. Confalonieri, che tipo di operazione ha fatto Lindsey Vonn?
L’ha realizzata il mio amico e collega americano, dott. Martin W. Roche. Le ha installato una protesi parziale in titanio con la tecnica robot assistita.

Sembrerebbe un’operazione riuscitissima!
Assolutamente sì. Lindsey ha dichiarato di non provare più dolore e, dopo una estenuante preparazione atletica, è tornata a sciare e a gareggiare.

A quali rischi si espone?
Il rischio di competere con una protesi è significativo, poiché le sollecitazioni durante le gare di sci di velocità, con salti importanti, sono elevate. Alcuni esperti (tra i quali io), hanno espresso preoccupazione riguardo alla sicurezza del suo ritorno, sottolineando che nessuno ha mai gareggiato in Coppa del Mondo con una protesi al ginocchio, per il rischio di una mobilizzazione precoce dell’impianto, oppure un suo affondamento nel piatto tibiale, ricco di osso spongioso. In gigante e in slalom il rischio sarebbe più contenuto, ma in velocità…

Cioè, la protesi potrebbe staccarsi?
Precisiamo, la protesi, se trattata bene può durare anche 30 anni. Una delle mie prime protesi che ho messo è durata 28 anni! Tra i due metalli c’è una plastica (polietilene) materiale che è soggetto a usura. I test di laboratorio effettuati sul banco con un’azione 24 ore su 24, dicono che può durare anche fino a 40 anni, senza carico. Considerando che la protesi è spessa 8 millimetri, si registra un’usura di 0,2 millimetri all’anno. Questa è la teoria, poi bisogna vedere l’attività fisica cui viene sottoposta. In poche parole, la protesi di Lindsey è destinata a non durare e quindi a essere sostituita. Non c’è una certezza assoluta su questo, ma la mia esperienza mi porta a questa conclusione (ne ha installate più di 5.000!). Comunque, la comunità scientifica sta seguendo il caso Vonn con grande attenzione e discussione.

Ma lo sciatore comune corre gli stessi rischi?
Direi di no, ho operato diversi sciatori, sia al ginocchio che all’anca e con un’attività diciamo tranquilla, non accade nulla. Ma siamo sempre lì, se scendo come un pazzo e mi schianto… L’ho installata ad esempio a due maestri di sci a Bobbio e fanno regolarmente lezione senza alcun problema. Così come a un maestro di Pila che ha una protesi totale. Però a tutti ho proibito di fare i salti, le gobbe, entrare nello snowpark… Insomma, si può condurre una vita normale ma senza eccessi. Mi piace ballare? Nessun problema, ma meglio evitare il Rock and Roll!

Perché può sprofondare o staccarsi…
Tra la protesi e l’osso c’è il cemento, quindi si interpone tra due materiali che hanno un modulo di assorbimento e di elasticità completamente diversi. La protesi è rigida, l’osso è elastico. Non solo, ma l’osso è in continuo rimodellamento. Nel giro di 3 o 4 anni noi cambiamo il nostro scheletro completamente. Costantemente gli osteoclasti mangiano l’osso e gli osteoblasti lo riproducono. Quando gli osteoclasti superano gli osteoblasti il circuito si interrompe e insorge l’osteoporosi, ovvero una diminuzione della quantità di osso. Quindi la protesi, se trattata male, si s-cementa, si scolla dall’osso (non dalla protesi).

E se capita son dolori…
Non è un dolore insopportabile ma si crea ovviamente instabilità e l’unica cosa da fare è riaprire, ri-cementare, cambiare la protesi. Per una prima protesi mono compartimentale si recupera in un mese, con una protesi da revisione circa il doppio, due mesi circa.

Ma già che c’era Lindsey non poteva sottoporsi a una protesi totale?
Quando si ammala un solo comparto, impiantare una protesi totale è eccessivo, si sacrificano i legamenti crociati del pivot centrale, si sacrifica molto osso e la ripresa funzionale è più indaginosa.
Mentre, con una o due protesi compartimentali, si salva il blocco centrale dei legamenti, si conserva il compartimento non colpito dall’artrosi e la normale cinematica del movimento del ginocchio che, nella protesi totale diventa una biomeccanica artificiale, legata al design al vincolo della protesi.

Esami strumentali possono verificarne lo stato di usura?
Certamente, una semplice radiografia è in grado di stabilire l’entità dell’usura comparandola con quella effettuata a fine operazione.

Lei l’avrebbe fatta gareggiare di nuovo?
In tanti gliel’hanno sconsigliato, ma il dott. Roche non si è opposto. Poi tutto dipende dalle commissioni mediche delle varie federazioni. Se dovesse esserci un caso con un’atleta della squadra nazionale sarà il nostro Andrea Panzeri, presidente della commissione medica Fisi, a dare o meno il benestare. Diciamo che la comunità scientifica è divisa.


Che cos’è la protesi monocompartimentale

La protesi monocompartimentali di ginocchio (PMG) è un dispositivo ortopedico utilizzato per trattare l’artrosi che colpisce uno solo dei tre compartimenti dell’articolazione del ginocchio: il compartimento mediale, laterale o femoro-rotuleo.

Questa soluzione è particolarmente indicata quando il danno articolare è limitato a un compartimento, permettendo di preservare le strutture sane e ridurre il trauma chirurgico.
Grazie alla correzione precoce dei deficit posturali, alla maggior attenzione alle patologie ed ai dolori articolari, alla maggior cura medica delle stesse, vediamo sempre più ginocchia con un’artrosi compartimentale.


Il ginocchio non è un’articolazione unica, come l’anca (enartrosi), ma diviso in tre comparti, due femoro tibiali (mediale e laterale) e uno femoro rotuleo. Due ruote che scivolano e ruotano su un piatto (ginglimo angolare).

QUANDO SI PUO’ INSTALLARE

Un tempo, l’obiettivo dell’intervento era togliere il dolore. Oggi, le condizioni sociali, ambientali e relazionali fanno si che il paziente richieda una rapida autosufficienza ed un reintegro sollecito nel mondo affettivo e lavorativo.

La mininvasività è intesa come la conservazione del patrimonio osseo, ottenibile utilizzando impianti protesici di dimensioni ridotte con la riduzione del danno chirurgico ai tessuti  periarticolari (muscoli, vasi e nervi), che si ottiene, attraverso accessi chirurgici proporzionali all’ingombro delle protesi. Inoltre, l’introduzione della chirurgia computer e robot assistita, ha consentito una maggior precisione nel posizionamento delle componenti articolari protesiche.

COM’È FATTA LA PROTESI

Le protesi monocompartimentali sono costituite da una componente metallica, solitamente in cromo-cobalto-molibdeno, rivestita di nitruro di niobio, e da una componente tibiale in polietilene, un materiale plastico ultraresistente. L’adesione all’osso avviene tramite cemento speciale. L’intervento per l’impianto di una PMG è generalmente minimamente invasivo. Viene effettuata un’incisione cutanea per accedere all’articolazione e rimuovere il menisco danneggiato. I tagli ossei sono effettuati in modo da preservare i legamenti, consentendo una mobilità simile a quella di un ginocchio sano.

L’intervento per l’impianto di una PMG è generalmente minimamente invasivo. Viene effettuata un’incisione cutanea per accedere all’articolazione e rimuovere il menisco danneggiato. I tagli ossei sono effettuati in modo da preservare i legamenti, consentendo una mobilità simile a quella di un ginocchio sano.

Intervento chirurgico:
L’intervento per l’impianto di una PMG è generalmente minimamente invasivo. Viene effettuata un’incisione cutanea per accedere all’articolazione e rimuovere il menisco danneggiato. I tagli ossei sono effettuati in modo da preservare i legamenti, consentendo una mobilità simile a quella di un ginocchio sano.

Vantaggi:
I principali vantaggi delle protesi monocompartimentali includono:
Minore invasività: L’intervento è meno traumatico rispetto alla sostituzione totale del ginocchio.
Recupero più rapido: I pazienti tendono a recuperare più velocemente e a sperimentare meno dolore post-operatorio.
Risultati funzionali superiori: Le PMG offrono risultati clinici e funzionali comparabili a quelli delle protesi totali, con una maggiore conservazione dell’anatomia articolare

Considerazioni finali

Sebbene le protesi monocompartimentali presentino numerosi vantaggi, è importante notare che possono avere un tasso di revisione più elevato rispetto alle protesi totali, specialmente in caso di mobilizzazione asettica o dolore persistente. Pertanto, tornando ai nostri sportivi, ok lo sport: il golf, ma col golf car, il tennis, ma in doppio, lo sci, ma senza salti o gobbe, la marcia, ma non la corsa, il ballo, ma non il rock, ok il biliardo. Sì la palestra, ma senza eccessi di pesi e stretching,

E, questo, anche per la protesi totale di ginocchio e per quella dell’anca.

Solo in questo modo, l’abbinamento sport-protesi produce risultati clinici favorevoli, non solo nel breve periodo, rendendo la protesi parziale monocompartimentale la scelta più indicata per molti pazienti con artrosi limitata.

About the author

Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).

Add Comment

Click here to post a comment