Colnaz e Amsi al voto per eleggere i rispettivi Presidenti. La nostra analisi
Oggi il Colnaz, Collegio Nazionale Maestri di Sci si riunisce a Bologna per nominare il nuovo Presidente. L’attuale guida Giuseppe Cuc ha già dichiarato che lascerà questo incarico e il Consiglio è tenuto a individuare il suo successore. La stessa cosa capiterà in seno all’Amsi a giungo. L’attuale presidente Maurizio Bonelli dopo tre mandati potrebbe lasciare l’incarico ma molto dipenderà anche dall’esito dell’elezione in seno al Colnaz.
Comunque sia i due organi legati alla figura professionale del Maestro di Sci sono chiamati a rinnovare i rispettivi quadri dirigenziali in un momento storico abbastanza particolare che ora cerchiamo di analizzare.
Gianni Poncet e Luciano Stampa a Levi durante l’ultimo recente Interski
Come abbiamo già riportato qualche giorno fa l’Amsi è tornata a far parte dell’Isia, in occasione dell’Interski ospitato a Levi. Un rientro benedetto all’unanimità da tutti i 35 paesi membri che ne fanno parte, quando la delegazione composta da Gianni Poncet e Luciano Stampa ne hanno fatto richiesta nel sit-in in Finlandia, secondo il desiderio del Presidente Maurizio Bonelli e dell’intero Consiglio Nazionale. L’Italia ne era uscita, con la ferma posizione dello stesso Bonelli, assieme a Francia e Austria nel 2016 per divergenze su alcune posizioni dell’Associazione Internazionale Ski Instructor e in particolar modo per un problema che stava assumendo proporzioni ingovernabili, ovvero la libera circolazione dei maestri sul territorio europeo. Sulle nostre piste arrivavano maestri di altri paesi con una scarsa abilità tecnica, rispetto alla preparazione dei maestri italiani, che invece, si è sempre distinta in tutto il mondo per qualità e professionalità. Questa la motivazione in grande sintesi, ma è bene entrare nei dettagli poiché da qui si aprono alcune discussioni che da tempo impegnano i protagonisti della categoria e che sono alla base della decisione di rientrare in Isia.
Com’è noto nel 2019 la Comunità Europea intervenne sulla questione con una legge chiamata Atto Delegato. Da quel momento ogni maestro di sci per poter insegnare in un paese europeo deve superare due prove: l’Eurotest e l’Eurosicuritè.
In realtà l’Eurotest era già in uso da parecchi anni in casa nostra (primi anni 2000) perché l’Italia ha sempre puntato sull’assoluta eccellenza in questa figura professionale.
Sono infatti passati più di 30 anni da quando è entrata in vigore la legge N 81 del marzo 1991
che prevede un solo livello di massimo grado.
L’indicazione che invece ha sempre dato l’Isia si riferisce alla cosiddetta “piramide” che prevede tre livelli. Un primo livello che è il maestro base, una specie di assistente, poi il Maestro Nazionale (secondo livello), che può avere il bollino Isia, e il maestro formato col livello massimo (il terzo), cui viene riconosciuto sia il bollino che la card che permette di insegnare anche all’estero, l’unica figura paragonabile al maestro di sci italiano.
È bene sottolineare che le indicazioni date dall’Isia non hanno mai avuto un valore legale (e mai lo avranno). Il senso era quello di dare indicazioni ai vari paesi per costruire, ognuno, le proprie regole (ad esempio, l’Inghilterra aveva ben 4 livelli) e l’Atto delegato non entra assolutamente nei meriti della formazione dei maestri all’interno dei paesi. L’Italia è una delle pochissime nazioni se non l’unica, che ha voluto dettare le regole attraverso una vera e propria legge.
Ad ogni modo l’Atto Delegato del 2019 ha decisamente messo una pietra sopra al disordine che regnava sulle piste europee grazie alle due prove d’esame. Quindi l’Eurosicurité, che, come sottintende la stessa parola, è un esame legato alla sicurezza in pista, soccorso, valanghe, etc. e l’Eurotest che da quel momento cambiò nome, denominata Prova di Formazione Comune Tecnica (PFC-T).
Quest’ultima non è altro che una discesa di slalom gigante dove è necessario realizzare un tempo non superiore a una percentuale pari al 19% per gli uomini e al 25% per le donne, rispetto a quello fatto registrare dai cosiddetti parametratori.
Generalmente, i parametratori, sono tre o quattro e di diversi paesi. Si fa la media dei migliori due tempi. Dopo un tot di discese il tempo di riferimento viene riconsiderato per l’usura della pista, prendendo ancora la media dei migliori due tempi. Il riferimento finale è la media del tempo della prima mattina con quello ripetuto più o meno a metà prova. Il parametro dell’allora Eurotest, che da noi esiste dal 2001, era più restrittivo: +18% e +24%, quindi è stato leggermente allargato.
Questa prova è spesso entrata in un vortice di critiche da chi non riusciva a superarlo. Il percorso è questo: supero la selezione, frequento il corso di 90 giorni, passo anche l’esame finale, quindi divento maestro, ma non riesco a superare l’Eurotest per cui non posso iscrivermi al Collegio di competenza, pertanto non posso insegnare.
Di fatto stiamo parlando di un non-problema dal momento che il 95% dei maestri supera il PFC-T senza alcuna esitazione. La medesima prova, infatti, rappresenta il primo sbarramento della selezione che prevede poi, a chi la supera, di eseguire una serie di esercizi (gli archi) valutati da una commissione che stabilisce chi può accedere al corso. La teoria vuole che tale prova di gigante sia tendenzialmente più impegnativa del PFC-T, proprio per non avere problemi a superarla dopo aver dato gli esami da maestro. Com’è noto, ogni regione indice le proprie selezioni e i propri corsi di formazione. Non è semplice garantire al centesimo la medesima prova di gigante nelle diverse selezioni perché tutto dipende dal tempo che realizza il parametratore. C’è abbastanza uniformità, ma può capitare che in una regione passi il 20 % dei candidati e il 60% in un’altra, dove evidentemente la prova è risultata un po’ troppo blanda. Poi però i nodi vengono al pettine.
Qualcuno suggerisce una soluzione: far valere la stessa discesa di gigante prevista per la selezione come prova di formazione comune tecnica. Per fare questo bisognerebbe adottare i criteri della PFC-T, ovvero con i commissari europei. Questo eviterebbe di spostare il problema di qualche mese, ovvero per il periodo del corso. Sarebbe anche difficile far passare questa regola perché – anche se non conosciamo la legge nel dettaglio – è necessario almeno aver effettuato qualche modulo del corso prima di fare tale prova. Almeno, adesso funziona così.
Ci si chiede, comunque, come sia possibile che diversi ragazzi provenienti in stragrande maggioranza dalle gare, non riescano a superare la prova di gigante alla selezione e alcuni al PFC-T. Accade questo: chi approda nella categoria Giovani, ma non intravede più la possibilità di andare avanti in carriera, continua a rimanere nello sci club per prepararsi alle selezioni. Le stesse società organizzano corsi non più di agonismo, ma di tecnica, con istruttori che iniziano a insegnare gli archi. Peccato che così facendo si perde il contatto con l’azione agonistica che invece servirebbe per superare questa benedetta prova di gigante. Si tratta, dunque, probabilmente, di un errore di preparazione. E allora ecco un’altra soluzione suggerita da più di un Istruttore: consentire l’accesso alla selezione soltanto a chi ha un certo punteggio Fis o Fisi, condizione che eluderebbe il rischio di non superare la prova. Allo stesso tempo ne godrebbero anche gli sci club impegnati a continuare la crescita agonistica dei ragazzi con l’obiettivo non di andare in Coppa del mondo, ma di raggiungere la soglia dei punti stabiliti. Da un certo punto di vista finirebbe qualsiasi discussione, ma siamo sicuri sia così conveniente per chi aspira a diventare maestro?
Chi non ha mai sviluppato a sufficienza una certa tecnica agonistica evita di presentarsi alle selezioni nelle Regioni sapendo che c’è un certo rigore. In Italia non capita spesso, ma capita. Il candidato passa facilmente il primo sbarramento, supera gli esami al termine del corso, ma non la prova di formazione comune tecnica. C’è chi decide di diventare maestro in altri paesi, Slovenia, Croazia, San Marino… dove il livello tecnico è indubbiamente più basso che in Italia, ma, come detto, poi sbatte contro la PFC-T e sostanzialmente le critiche verso questa prova arrivano proprio da questo versante.
Eccepiscono sul perché si debba essere così bravi in un tracciato dal momento che la professione si applica per lo più su un campetto per principianti. La risposta di chi difende, invece, tale principio suona così: chi non tiene lo spigolo e prende oltre 6 secondi (ma spesso sono anche di più) in meno di un minuto di gara, non sa stare sugli sci a livello professionistico: è un amatore, diciamo, di ottimo livello a cui però, non si può, come prescrive la legge, chiedere prestazione di soccorso in condizioni estreme come in montagna può sempre accadere.
Il principio trova fondamento sull’idea che si vuole dare all’allievo riguardo alla figura del maestro di sci. Che è quella di un professionista altamente preparato, di uno sciatore, tanto abile sugli sci da poter fare sulla neve qualsiasi cosa con destrezza ma anche naturalezza. È il modo migliore per determinare quel sentimento di totale fiducia che è indubbiamente necessario si instauri tra maestro e allievo. Chi vuole apprendere la tecnica si mette totalmente nelle mani di un maestro, sia per imparare a sciare, sia perché sa che seguendo i consigli di un “fenomeno” dello sci, non corre il pericolo di farsi male. Ecco che il professionista non può avere punti deboli.
Il candidato maestro che prende svariati secondi in un tracciato di gigante non da un atleta in attività, ma da un istruttore (18-20 anni il candidato; 30-35 anni l’istruttore) non può che essere considerato uno sciatore incerto. Non importa se poi è un genio nella didattica. Lo sci, prima di essere teoria, è azione. Ma la chiudiamo qui, perché il dibattito ha diverse linee di pensiero.
Per tornare al tema dominante, perché l’Amsi, assieme alle associazioni dei maestri austriaci e francesi, decise nel 2016 di uscire dall’Isia? Fondamentalmente per difendere e tutelare la figura professionale dei rispettivi maestri di sci. Da anni si dibatteva sull’annoso problema di maestri stranieri presenti sulle nostre piste con un grado di preparazione tecnica molto approssimativo. Questo provocava anche un evidente danno economico poiché chi si professava maestro era per lo più un accompagnatore, dunque, poteva offrirsi a tariffe ben più basse. L’effetto scatenante però fu un altro. Chi allora tirava le fila dell’Isia non aveva soltanto l’ambizione di creare un punto di incontro e di confronto tra le scuole del mondo, ma stava intromettendosi nelle regole di formazione dei Maestri delle varie nazioni. Per farla breve, voleva dettare legge in ambito Europeo in rappresentanza delle varie associazioni Nazionali. È soprattutto questo atteggiamento che ha suggerito ad Austria, Francia e Italia di togliersi via, sbattendo anche la porta. Ne nacque addirittura un durissimo scontro anche legale fino a quando la Commissione Europea con l’Atto delegato, chiuse la questione. Nonostante questo, i rapporti sono rimasti tesi fino a quando l’Isia, ha voltato pagina e atteggiamento cambiando la dirigenza, riaprendo così un certo dialogo.
Rimanere fuori dall’Isia ha significato anche non prendere più parte all’Interski, momento molto importante di confronto tra le scuole sci di tutto il mondo che si incontrano ogni quattro anni. L’ultimo nostro fu quello di Ushuaia 2015, quindi abbiamo saltato l’edizione 2019 a Pamporovo, in Bulgaria, e quella di quest’anno a Levi. Si era soliti tornare dall’Interski dicendo: “L’Italia ha vinto”. In realtà non c’è mai stata una gara, ma nel momento dell’esibizione dedicato alle coreografie, beh, i nostri Istruttori hanno sempre incantato e con un po’ di vanto ci veniva dedicata questa etichetta. Solo a Ushuaia ci fu una vera e propria gara con una prova di gigante, conquistata guarda caso proprio dai maestri “Azzurri”.
Qualcuno si è accorto che a Levi c’è stata la dimostrazione del team austriaco, nonostante, come più volte detto, anche questo paese sia fuori dall’Isia. Questo si spiega perché l’Interski non è un evento che appartiene all’associazione, ma a diversi gruppi di lavoro internazionali. L’Austria fa parte di uno di questi, ed ecco spiegato il motivo per cui è scesa in campo.
Per tornare a bomba, risolto il problema della libera circolazione all’estero del maestro, cambiato il dialogo con la dirigenza dell’Isia, l’Amsi ha valutato che non c’era più motivo per rimanere fuori. Da qui la richiesta di rientrare nel recente Interski di Levi, domanda accolta all’unanimità dai 35 paesi presenti. Rispetto al passato sono cambiati gli equilibri anche al nostro interno tra Amsi e Colnaz, la prima tutela la figura professionale del maestro, una sorta di sindacato, la seconda lavora per la formazione del maestro in nome delle Regioni, con la piena collaborazione della Fisi che gestisce con la Coscuma, gli istruttori delegati a insegnare ai corsi di formazione. Mai come negli ultimi anni i tre organi si sono avvicinati collaborando al 100 per 100 in ogni occasione.
Ultimamente è nato un nuovo argomento che crea non poche discussioni. Ogni anno l’Italia “sforna” circa 500 maestri, eppure, soprattutto nei periodi di alta stagione, sembrano non bastare mai. Come mai? Anche in questo caso c’è più di un motivo. Quello base è di origine fiscale: troppe tasse! Molti maestri hanno un lavoro primario e quello del maestro, spesso esercitato nei week end o durante le feste di Natale, permette di arrotondare le proprie entrate. Questo naturalmente crea un cumulo fiscale poco conveniente.
Il maestro, infatti, ha due strade: essere socio di una scuola sci o lavorare come libero professionista, dunque obbligatoriamente con fattura. Il corto circuito sta proprio qui: un tempo, chi decideva di fare soltanto il maestro nella vita, lavorava molto di più. Lo sci estivo garantiva di rimanere in attività anche da giungo a settembre. Questa situazione non esiste più e l’attività dunque, si riduce, quando va bene a cinque mesi. Ecco perché i giovani maestri conseguono la cosiddetta “patacca” se si vuole per chiudere il cerchio di un’attività sugli sci che hanno coltivato fin da piccoli, ma poi cercano strade lavorative più redditizie. Dall’alta parte le scuole sci non riescono a far fronte a tutte le richieste nei momenti di altissima stagione.
Per far fronte a questa situazione c’è chi si sta interrogando se non sia il caso di tornare ai tre (o due) livelli, cosa che, come abbiamo già detto, avviene in tanti altri paesi. A dire la verità in Alto Adige esistono già due livelli con una prima figura che risulta essere di affiancamento, autorizzato dal direttore della scuola sci. Piccola parentesi: c’è da dire che l’Amsi Alto Adige si è tirata fuori dalla presa di posizione dell’Amsi Nazionale di sette anni fa e di fatto ha aderito sempre all’Isia, anche se non si è mai presentata all’Interski. Col rientro dell’Italia si è comunque detta disposta a fare un passo indietro e si unirà in toto all’Amsi, unica entità a rappresentare l’Italia.
Per tornare ai livelli, anche la Valle d’Aosta parrebbe favorevole a un cambio di rotta con una figura di primo livello, quindi di affiancamento, ma a tempo, ovvero per un massimo di due stagioni, dopo di che, per continuare, dovrà allinearsi alla massima figura superando la prova di formazione comune tecnica. Un po’ più complesso sarebbe istituire il livello di mezzo, cioè il secondo di tre, per il quale bisognerebbe identificare in maniera più chiara compiti e limiti. Sarebbe forse facile scriverne le competenze, più impegnativo verificare che vengano rispettate. Tra le ipotesi quella di istituire un albo differente con regole ancor meglio definite.
È bene sottolineare che qualsiasi strada si voglia prendere è necessario mettere mano alla legge con una modifica, dunque non si tratta di un passaggio così semplice. Chi desidera questo non è contro al concetto base che il maestro di Sci italiano debba avere una preparazione tecnica ineccepibile. Sostiene che la legge 81 del 1991 sia giusta nei principi, ma non più adeguata ai tempi.
Rispetto al passato i ragazzi oggi studiano molto di più. Si iscrivono all’università e cercano un lavoro in quell’area di studio con la sicurezza di una remunerazione più solida rispetto a quella del maestro che di fatto dura 5 o 6 mesi. C’è però una contraddizione: se il maestro cerca soluzioni più favorevoli dal punto di vista economico è altrettanto vero che le scuole sci stanno guadagnando di più e non per l’adeguamento dei prezzi di una lezione, parametrato al costo della vita.
Per questioni commerciali le scuole cercano di rispondere alle esigenze dei clienti proponendo le ore più richieste, ovvero dalle 10 alle 14. Da qui la disperata necessità di cercare tanti maestri che però, nelle ore meno richieste lavorano poco. Anche per questo i maestri valligiani tendono a scarseggiare con un relativo abbandono della terra natia. Poi c’è anche il maestro con una mente più aperta e con un piglio intraprendente che cerca di approfondire le proprie competenze per far sì che tale professione possa offrigli un lavoro di 12 mesi. Ad esempio, maestro di sci in inverno e di mountain bike in estate o di altre attività proposte da una montagna che da maggio a settembre sforna proposte sempre più ricche. Il maestro di sci che diventa operatore di montagna a tutto tondo.
Scatta però una considerazione tutt’altro che secondaria e riguarda la tutela lavorativa del maestro di sci “apprendista” che in quanto tale non riceve evidentemente un’adeguata remunerazione, anche se il cliente paga sempre la stessa tariffa. E allora a fine stagione si fanno i conti: la scuola sci ha lavorato e incassato bene, ma non chi ha lavorato per un compenso che non consente di vivere di questo.
Non sappiamo come gli organi competenti si muoveranno difronte a tale situazione ma è probabile e auspicabile che si stia ragionando per costruire un progetto al passo coi tempi. Questi saranno i punti principali che dovrà affrontare la nuova dirigenza Colnaz e Amsi. Colnaz e Amsi al voto Colnaz e Amsi al voto Colnaz e Amsi al voto Colnaz e Amsi al voto
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