IIl 2012 sarà ricordato come l’anno delle riforme. Alcune realizzate, molte abbozzate, tutte discusse. Anche il nuovo presidente della Fisi con i suoi tecnici dovrà, com’è accaduto per il presidente Monti con i suoi ministri, affrontare un percorso di riforme. Una di queste, a mio avviso, è la riprogettazione dell’aggiornamento allenatori. Così com’è, evidentemente non funziona. Sono moltissimi, vorrei dire i più, che non vi partecipano, dimostrando poco interesse per quello che dovrebbe essere uno tra i momenti più stimolanti per il loro sapere tecnico. Le defezioni sono alte, sebbene gli allenatori siano, tra i professionisti della neve, notoriamente quelli più vocati a ogni sorta di sacrificio pur di far andar forte un proprio atleta. Il fatto, quindi, che una categoria così impegnata e motivata non viva l’aggiornamento come un momento fondamentale della propria professione deve far riflettere sulla formula «aggiornamento allenatore». Ne è una riprova anche il fatto che gli allenatori sono maestri di sci prima di essere allenatori e che all’aggiornamento maestri partecipano sempre tutti. Quindi è il format «aggiornamento allenatori» che non va e che dev’essere riformato. Oggi, esso è declinato su quello dell’aggiornamento maestri: stessa obbligatorietà, stessa scadenza triennale, stessa durata: due giorni e mezzo. Questa somiglianza, però, genera un equivoco di fondo che, a mio avviso, è la vera causa del disinteresse e l’assenteismo di cui s’è detto. L’aggiornamento maestri ha, infatti, un fondamento concettuale che l’aggiornamento allenatori non ha. In nome del quale il primo è sentito e partecipato, l’altro no. Bisogna partire da qui per riformare l’aggiornamento allenatori e dargli quello statuto di credibilità che oggi non può avere senza quel fondamento logico che il suo fratello maggiore, l’aggiornamento maestri, invece ha. Maestro e allenatore sono due professionisti che stanno nel mercato della neve in posizioni diametralmente opposte. Quando, infatti, un turista entra in una scuola di sci italiana e chiede la prestazione di un professionista, non fa che scegliere, sulla credibilità del marchio «Scuola di Sci Italiana», un maestro che gli insegni a sciare: quindi uno vale l’altro, quello di una scuola vale quello di un’altra, addirittura quello di una scuola di una certa stazione vale quello di un’altra di un’altra stazione sia essa a est, a ovest, a nord o a sud del luogo in cui ci si trova. Per il mercato di chi vuole imparare a sciare, tutti i maestri sono uguali tra loro sotto l’egida dello stemma Amsi e del Collegio di appartenenza, che a sua volta fa capo al Collegio Nazionale. A garanzia di questa uniformità c’è innanzitutto un testo scritto, oggi anche un video, che fa da riferimento dichiaratamente «ufficiale» sulla tecnica da insegnare. I corsi di aggiornamento per maestri servono appunto a divulgare in modo uniforme questo sapere su tutto il territorio nazionale. Quando, invece, i dirigenti di un club scelgono un allenatore, fanno una scelta opposta a quella del turista: dopo aver assodato che i titoli ci sono, non scelgono sulla fiducia di un marchio o del titolo stesso ma sulla conoscenza approfondita delle specifiche qualità della persona. L’allenatore più vincente della storia dello sci, Ermanno Nogler, faceva il barbiere a Ortisei prima di diventare l’allenatore di Stenmark; un club potrebbe, come d’altro canto ha fatto la Fisi stessa per gli slalomisti con l’incarico al francese Jacques Theolier, prendersi un tecnico non italiano e quindi non aggiornato, né formato in Italia, per guidare la propria squadra. La via dello sci veloce è nel suo fondamento logico libera, alta, indipendente da qualsiasi format tecnico. Quindi, se un maestro di sci italiano deve essere aggiornato sulla tecnica ufficiale italiana perché è il cliente che implicitamente glielo richiede nell’atto di rivolgersi a una scuola di sci, è altrettanto corretto dire che un allenatore italiano, poiché scelto sulle proprie qualità personali, dev’essere libero di coltivarle, maturando il proprio convincimento tecnico in modo autonomo. E infatti non c’è, e nemmeno ha senso che ci sia, un testo «ufficiale» della curva veloce, perché essa viene, come diceva d’Annunzio per la poesia, «dalla magica pratica dell’arte»; pratica quindi: nessuna teoria universale, nessuna legge generale, nessun sapere standardizzato. Questo non significa non fare più aggiornamenti sotto l’egida della Fisi. Anzi. Significa però trovare una formula che rispetti lo specifico della figura dell’allenatore, ovvero «l’anima» di una categoria.
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