Siamo stati a Cervinia con Hervé Barmasse andando alla scoperta delle sue montagne. In tre giorni abbiamo avuto modo di ascoltarlo comprendendo la filosofia che ne guida la vita in un mondo, quello dell’alpinismo, che oggi è sempre più inquinato da interessi economici.
Alpinismo è lasciare un messaggio, questo sostiene Barmasse
Oggi molte persone cercano imprese clamorose per far parlare. Alcuni addirittura “barano” sostenendo di aver raggiunto cime che hanno visto da diversi metri di distanza. E se noi, ignoranti, abbiamo pensato: “cosa saranno mai i 30 metri che mancavano” chi ha vissuto l’alpinismo sa bene che 30 metri sono uno spazio infinito a 8000 metri d’altitudine.
“L’alpinista può sembrare un mestiere strano. Significa avere sogni e obiettivi da realizzare con creatività, lungimiranza e passione, tre componenti per realizzare gli obiettivi. La quotidianità è fatta di alti e bassi che fanno inevitabilmente parte della vita”. Ci ha detto. Barmasse a 16 anni sciava bene ma un giorno, a 120km/h, è finito contro un palo di ferro subendo ben 7 operazioni al ginocchio a causa dell’impatto. Al momento dell’infortunio era un predestinato, uno che avrebbe sfondato e i punti FIS ne davano conferma. Qualcosa però dentro si è rotto e il suo mondo è divenuto grigio e triste. Un periodo difficile che è cambiato quando un giorno il padre lo ha guardato negli occhi e gli ha detto: “ti porto a scalare la montagna più bella del mondo”
Cervino obiettivo di vita
“Scalare il Cervino è diventato un obiettivo e mi sono impegnato nella rieducazione. Per molti di noi, che ci viviamo sotto, il Cervino è come una scultura. Per me è diventato il sogno. La vita è una medaglia, luccicante ma con due facce. Ho scelto di guardare a qualcosa di positivo e dopo due anni sono arrivato sulla vetta del Cervino. Per me ha rappresentato il momento del cambiamento. Ho capito che la montagna sarebbe stato il mio futuro. Non più scenderle ma salirle. L’alpinismo è diventato una scuola di vita che mi ha insegnato, ad esempio, come l’amicizia sia il valore più grande capace di tirarti fuori dalle grane e farti tornare il sorriso”.
Alpinismo pericoloso?
“Avete mai pensato questo è il mio ultimo giorno? No, perché l’uomo si alza per vivere non per morire. Così come nessuno va in montagna per morire, ma per vivere. Noi siamo sempre sicuri che gli incidenti e la morte riguardino gli altri alpinisti. Però non è così e non tutto si può prevedere. La montagna ti regala anche la non sicurezza, fattore che dà adrenalina e permette di godere di ogni momento. Il mio alpinismo, un po’ esplorativo ovvero che si sviluppa su linee che non ha fatto nessuno, ha componenti di rischio maggiore. Sappiamo che basta un sasso che cade per avere danni importanti. La colpa non è mai della montagna. Quando ci sono incidenti o ti sopravvaluti o non valuti le componenti esterne. Spesso pensiamo che gli incidenti siano fatalità. Ce n’è sicuramente una componente ma sarebbe meglio analizzare tutto quello che invece si sarebbe potuto prevedere”.
Alpinismo introspezione
“Ogni tanto abbiamo bisogno di un po’ di solitudine. Mi ha fatto capire i miei punti forti e deboli. Mi ha fatto capire cosa era veramente importante per me. Quando sei solo ascolti solo la montagna che ti manda sempre dei messaggi. Non c’è bisogno di aprire vie nuove o compier imprese. Basta un bosco, in sicurezza per ascoltarsi. Mi hanno sempre detto: “se sei un alpinista figo devi fare 8000” 0-8000 sono solo dei numeri. Quello che conta sono le emozioni”.
Barmasse e gli 8000
“In principio si pensava che le montagne più alte si potevano scalare solo con l’ossigeno e le corde. Una volta c’era una spedizione l’anno. Oggi invece ci sono oltre 1000 aspiranti per anno. In tre settimane gli sherpa fissano le corde che poi vengono lasciati lì. Si tratta di chilometri di plastica. Messner e altri hanno dimostrato che si poteva salire senza ossigeno e corde fosse. Con corde fisse non è possibile rispettare la montagna. Quando ho deciso di andarci la cosa importante è stato il come. Mi sono ritrovato ancora una volta uscire dall’ospedale per un’operazione dovuta a ernie cervicali. Avevo una scheggia d’osso staccata che mi ha fatto rischiare di rimanere tetraplegico. Avevo deciso di smettere ma avendo avuto un’altra chance ho deciso di provarci.
Avevano pensato di scalare una via nuova ma il meteo, con un solo giorno di bel tempo, non ce lo ha permesso. Grazie all’allenamento e all’alimentazione in 13 ore siamo saliti attraverso la parete Sud dello Shishapangma. Ci siamo fermati a tre metri dalla vetta perché era pericoloso e sarebbe stata la differenza tra vivere e morire. Abbiamo preferito vivere, tornare indietro e dire la verità. Nessuno avrebbe scoperto che mancavano tre metri, ma la menzogna non ci avrebbe fatto stare bene con noi stessi e sarebbe stata una mancanza di rispetto per quanti quei tre metri li hanno coperti”.
Quindi per Barmasse niente 8000?
“Come dicevo, zero e 8000 sono numeri. Gli zero sono i momenti tristi, gli 8000 quelli felici. Io mi sento di aver scalato almeno una quarantina di 8000: le mie figlie, i miei cari, i traguardi raggiunti. Come me anche ognuno di voi ha diversi 8000 nello zaino della vita”.