Sapevo che ormai mancava poco, così mi ero messo a cercare qualche suo scatto memorabile. Una raccolta delle immagini più belle. Ne avevo in mente una del del 1985, ma non sono riuscito ancora a trovarla. Gliel’avevo vista fare. L’elicottero ci aveva lasciati sul cucuzzolo di un panettone di neve a 4 mila metri di una sperduta località canadese del British Columbia. Lui è stato l’ultimo a scendere ma un colpo di vento aveva provocato un movimento isterico del velivolo e lui era precipitato da poco più di due metri. Armando era completamente sommerso dalla neve fresca. Spartio. Inghiottito. Sembrava morto, soffocato, ma poi abbiamo visto la sua inseparabile Canon emergere col braccio teso a sostenerla. Come il periscopio di un sommergibile. Nessuno diceva una parola, terrorizzati. Aspettavamo un altro segnale per accertarci che effettivamente fosse ancora vivo. Seppur inabissato ominció a premere il tasto del click a ripetizione. Era uno dei primi esemplari 10 scatti e quel rumore, una specie di mitragliatrice sorda, interruppe il silenzio come una liberazione, Quella è la foto per me più bella: un panettone di fresca e noi come canditi. Gli altri 5 milioni di scatti – supergiù – sono invece da mettere tutti sul gradino più alto del podio. Perché la forza di Armando Trovati era quella di essere nel posto giusto al momento giusto. Facile scriverlo, ma provate voi a trovare da soli la postazione migliore sulla Streif. Non per niente nessun collega si posizionava in pista prima di vedere dove Armando appoggiava il suo zaino. Quei 10/15 centimetri che gli mancavano per rimanere nell’altezza media sono sempre stati un plus, perché aveva l’opportunità di vedere e vivere lo sci con un’altra prospetiva. Armando è stato il fotografo della Coppa del Mondo e dello sci in generale. Tuttora ci sono abili fotografi, magari anche tecnicamente più bravi, ma dietro ai suoi scati non c’era mica soltanto l’occhio o l’abilità di leggere l’esposimetro. Con le sue foto era anche possibile non scrivere nulla, perché già parlavano da sole. Ogni foto, una storia. Per non parlare di quelle leggendarie che ha costruito. Non è il momento questo per scrivere l’elenco, piuttosto è il caso di iniziare a ringraziarlo per ciò che ha fatto per questo sport. Lo ha saputo raccontare e mostrare a milioni di persone con una maestria infinita. La sua immensa generosità lo ha poi portato a non tenere tutto per sè, perché ha insegnato questo mestiere prima al nipote Stefano Rellandini, oggi direttore in Italia della Reuters, poi ai figli Alessandro e a Marco. E a tanti altri fotografi, come Luca Bruno, Luca Cattaneo e a colleghi come Aldo Martinuzzi e Claudio Scaccini. Armando si è spento oggi a mezzogiorno serenamente per non dare soddisfazione a quel male che quando ti colpisce è quasi sempre spietato. Non poteva che essere così dopo che è sempre riuscito a sconfiggere una decina di infarti sempre messi perfettamente a fuoco e gettati alle spalle, come dire: “Uffa che noia”.
Sono felice abbia potuto partecipare alla festa dei 50 anni di Sciare, Quel duetto sul palco di Skipass assieme al suo compagno di giochi Massimo Di Marco è stato indimenticabile. In tre minuti di show spontaneo hanno saputo riassumere con totale fedeltà una vita passata assieme sulla neve.
Non posso dire che ora senza di lui sarà tutto diverso, perché Ale e Marco hanno saputo cogliere gli aspetti fondamentali che lui, sottovoce, ha cercato di trasmettere. Le pagine di Sciare, anche quando Armando ha capito che era meglio rimanere in ufficio (ma lo ha capito tardissimo), sono sempre state intrise (e sempre lo saranno) di quel marchio inconfondibile che nacque come ART foto per poi crescere e divenire Pentaphoto.
Ora come ora non riesco a scrivere null’altro. Mi sento completamente avvolto dal fumo e dal profumo della sua inseparabile pipa. Mi riprenderò.
ciao i funerali saranno martedì 8 alle 11 chiesa sant angela merici via cagliero milano
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