Aperture, chiusure chi capisce cosa. Che cosa comporta il capire? Quando un allenatore capisce la curva del proprio atleta o un maestro quella del proprio allievo o uno sciatore quella che sta facendo, cosa accade? Cosa si capisce per davvero?
Il tema non è da poco. Capire come si capisce, è importante per ognuno. E lo sci, sia detto tra parentesi, sport tecnicamente assai complesso, quindi difficile da capire, è una bella palestra per esercitare e sviluppare le nostre capacità di comprensione, che, chiusa parentesi, andiamo ad applicare nella nostra vita di tutti i giorni sulle persone che ci sono vicine, sul presente in cui viviamo, sugli oggetti di cui ci serviamo.
Tant’è che anche quando ci chiediamo se gli sci che abbiamo ai piedi vanno bene o potrebbero andare meglio, non facciamo altro che esercitare la difficile arte della comprensione. Insomma, ultima domanda ma sempre la stessa, quando comprendiamo, o cerchiamo di farlo, cosa facciamo?
La risposta è paradossalmente semplice: comprendere significa cogliere le relazioni tra le cose. Ovvero non capiamo la cosa in sé, ma la relazione che essa instaura con le cento cose con cui viene in contatto. Ed è tanta roba!
Di uno sciatore in curva, per esempio, il movimento antero-posteriore della caviglia piegata non ci dice niente in sé. Essa può essere piegata e lo sci sbattere.
Mentre se si coglie la relazione di quella caviglia piegata e lo sbattere dello sci, la postura del bacino, delle braccia, perfino della testa, le condizioni della neve, la visibilità del momento, l’arco di curva che si sta compiendo e altro ancora, si capisce perché quello sciatore non chiude la curva come potrebbe, perché i suoi sci non scorrono veloci.
Quindi dovremmo imparare a non guardare le cose, quasi queste non esistessero, ma le cento relazioni che insorgono tra esse per aprirci le porte della comprensione.
Scrivo questo come premessa al dibattito sull’apertura della stagione sciistica in tempo di Covid. In cui sono intervenuti politici, tantissimi, scienziati, pochissimi, e i soliti pseudo intellettuali, conosciuti più per le tante comparse televisive che per essere autori di saggi indimenticabili.
Uno di questi onnipresenti tuttologi televisivi, di cui dovrei andare su Google per ricordarmi il nome, riferendosi al messaggio di Alberto Tomba a favore dello sci e dell’apertura degli impianti, ha detto, grosso modo, che Tomba è stato un grande campione, ma non è certo un intellettuale.
Come a dire, guardiamolo sciare, ma non facciamolo pensare; non facciamolo parlare nemmeno quando parla di sci di cui è stato tra i più grandi, se non il più grande, della storia di questo sport.
E poi sempre il tuttologo, e come lui tanti altri, ha proseguito dicendo le solite banalità sullo sci, che è sport per ricchi, che è sport per anime domenicali, che è futile divertimento in stile film Vacanze di Natale a Cortina.
Unica eccezione, in questo dibattito superficiale e penoso, stracolmo di luoghi comuni e di preconcetti, Sgarbi, che ha fatto un ragionamento sensato, questo: si è sempre detto, perché è dimostrato, che lo sport fa bene alla salute. Il Covid costituisce un attacco alla nostra salute. Vinciamo il Covid facendo sport che fa bene alla nostra salute.
Ragionamento ineccepibile, così come è ineccepibile che lo sci è uno sport individuale, che si pratica all’aria aperta negli infiniti spazi dell’alta montagna, che nessun altro sport è più salubre dello sci.
A questo punto è chiaro che chi è intervenuto sul dibattito delle aperture degli impianti non ha capito nulla. Perché non ha colto le relazioni tra lo sci e la salute e l’aria e il freddo e il distanziamento e le altre 100 cose, tutte a favore della pratica dello sci sciato in questo momento pandemico.
A quel tuttologo televisivo, quindi, vorrei dire che solo quando capirà, cogliendone le sublimi relazioni, la suprema intelligenza della caviglia di Tomba nella curva verso sinistra nel gigante di Calgary – la porta era rossa – potremmo nuovamente aprirgli il microfono. Fino ad allora, taccia.
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