Agli Sherpa l’Oscar del cinema della Montagna di Cervinia. Con la cerimonia di premiazione di ieri sera sera si è chiusa una settimana di proiezioni ed eventi che hanno visto sfilare tra Breuil-Cervinia e Valtournenche tanti ospiti del mondo dello sport e della letteratura ma soprattutto registi, produttori, sceneggiatori e attori che hanno scelto il festival come vetrina speciale per presentare le loro opere cinematografiche.
Otto giorni, oltre 30 ore di proiezione, 51 film provenienti da 24 Paesi diversi e 25 anteprime: sono questi i numeri della XXIV edizione del Cervino CineMountain che si chiude oggi a Valtournenche. Un’edizione da record ma soprattutto la consacrazione del festival come agorà del cinema di settore, luogo fisico di confronto e incontro tra operatori del settore e pubblico.
Altissima la qualità dei film presentati quest’anno, che hanno reso particolarmente difficile il lavoro della giuria composta dalla regista Irene Dionisio, il giornalista e vicedirettore di Rai 2 Paolo Corsini, e Benti Banach, membro del comitato di selezione del Dutch Mountain Film Festival.
I VINCITORI
Grand Prix des Festival – Conseil de la Vallée
THE WALL OF SHADOWS (di Eliza Kubarska – Polonia, 2020, 94’)
Il film della regista polacca Eliza Kubarska si aggiudica l’Oscar del cinema di montagna, il premio riservato ai film già premiati nei principali festival di settore provenienti dal circuito dell’International Alliance for Mountain Film.
Il documentario stravolge la struttura narrativa del film di spedizione spostando il punto di vista del racconto verso una famiglia di sherpa, capovolgendo ogni romantica idealizzazione dei “conquistatori delle vette.
Avvicinata da un gruppo di scalatori, per accompagnarli fino all’inviolata parete est del Kumbhakarna in Nepal, la famiglia si trova di fronte a un dilemma. La vetta, nella religione locale è considerata una montagna sacra che non deve essere scalata. La madre è contraria alla scalata, ma alla fine accetta di guidare i tre stranieri sulla montagna, per rendere possibile il sogno del figlio di diventare medico.
Motivazioni: “E se iniziassimo una spedizione in Himalaya non seguendo gli scalatori con la loro preparazione e il loro viaggio, ma dal punto di vista degli sherpa? Prima che gli Sherpa accolgano gli scalatori, Eliza Kubarska cattura magnificamente il loro stile di vita, i rituali, la mitologia, ma anche la loro discussione sollevata dall’imminente spedizione: possiamo scalare una montagna sacra se ci permette di guadagnare soldi per l’educazione dei nostri figli? In un linguaggio che a volte sfida i confini tra finzione e diario, Kubarska ci lascia molto altro su cui riflettere, come il nostro atteggiamento nei confronti delle montagne e della natura, e come il nostro stile di vita esigente e gli obiettivi prefissati in Occidente contrastino piacevolmente con ciò che gli Sherpa cercare nella vita.”
MENZIONE SPECIALE: A TUNNEL di Nino Orjonikidze, Vano Arsenishvil (Georgia, 2019, 93m)
Premio Montagne d’Italia
PAOLO COGNETTI. SOGNI DI GRANDE NORD (di Dario Acocella – Italia, 2020, 80’)
Il film che vede protagonista Paolo Cognetti è un percorso originale sulle orme Ernest Hemingway, Raymond Carver, H.D. Thoreau, Jack London, Herman Melville e Chris McCandless di “Into the Wild”, un viaggio letterario ed emozionante dalle Alpi all’Alaska. Lo scrittore Paolo Cognetti – accompagnato dall’amico Nicola Magrin, viaggiatore e illustratore – guida lo spettatore nella ricerca di una nuova frontiera esistenziale per l’uomo e per la sua convivenza con l’Ambiente.
Motivazioni: “Un impatto visivo potente per un percorso originale, sempre in prima persona, che alterna campi lunghissimi con paesaggi naturali maestosi a piani più ravvicinati per una vera e propria narrazione letteraria dalle Alpi fino all’Alaska che prende vita alternando la presa diretta al voice over. Fin dalle prime inquadrature questo road movie meditativo dichiara la sua letterarietà con una citazione di “Sentieri selvaggi” di John Ford, omaggio al mito della frontiera americana. Le immagini girate durante il tragitto e i frammenti di dialogo tra i due amici offrono 80 minuti di emozioni e riflessione alla riscoperta (o, perché no, alla scoperta) degli scrittori americani della Beat Generation, autori totem del viaggio e del selvaggio, inseguendone i testi e attraversando i luoghi dei loro romanzi, con – in sottofondo – il contrasto irrisolto e irrisolvibile tra l’attrazione di una vita solitaria nella natura e la naturale voglia di relazioni umane.”
MENZIONE SPECIALE: ICEMELTLAND PARK di Liliana Colombo (Italia/Regno Unito, 2020, 40m)
Premio Montagnes du monde
ENTRE FUEGO Y AQUA (di Viviana Gomez Echeverry, Anton Wenzel – Colombia, 2020, 90’)
Il film racconta la storia di Camillo, figlio adottivo di una coppia indigena della tribù dei Quillasinga. Essendo l’unico uomo di colore nella sua comunità, si è sempre sentito diverso, per questo decide di intraprendere un viaggio spirituale alla ricerca delle sue origini e della sua identità.
Motivazioni: “Il regista ci offre uno spaccato della cultura indigena di montagna dei Quillasinga in Colombia, in cui il giovane adottato Camilo occupa una posizione speciale. Camilo lotta con la sua identità, le sue radici e la sua posizione all’interno della famiglia adottiva e della tribù tradizionale. Viviana Gomez Echeverry segue da vicino il protagonista durante la sua ricerca di chi è. In particolare la sottigliezza di lei che registra le sue delusioni, speranza e accettazione è molto potente. Una storia autentica, raccontata disadorna e con grande rispetto della cultura e dei personaggi”.
MENZIONE SPECIALE: WOLVES AT THE BORDERS di Martin Páv (Repubblica Ceca, 2020, ’79)
Premio Montagnes tout-court
HARRIA HERRIA (di Dimegaz – Spagna, 2019, 6’)
L’estetica e la spettacolarità della danza verticale, ambientata in una cava, un luogo distrutto dall’uomo. L’attenzione è focalizzata sulla figura di una donna, che pretende un ruolo da protagonista, come sta accadendo nella società. Donne che ballano, donne che scalano, donne che sollevano anche le rocce.
Motivazioni: “Una cava, spazio devastato dall’intervento umano, non più in uso, quindi morto, prende vita grazie a chi è il simbolo della vita: la donna. Donne che ballano, donne che si arrampicano, donne che sollevano massi come se sollevassero un paese: in basco Harria è la pietra, Herria il paese. Quasi a voler, nemmeno troppo implicitamente, rivendicare il rilievo che la donna ha acquisito nella società contemporanea. Quattro donne mettono in scena una danza, che si distende su uno spazio insolito, familiare solo a chi vive la montagna: quello verticale. Si assiste così a un ribaltamento della normale percezione dello spazio: il vuoto diviene vita in contrasto con il nulla – perché non attraversabile – della dura pietra. La vertigine della danza verticale contrasta e si fonde con la leggerezza e la spettacolarità dei movimenti delle quattro donne al ritmo naturale, vibrante e incalzante del TXalaparta, in un’opera dal sapore iniziatico”.
MENZIONE SPECIALE: PIZ REGOLITH di Yannick Mosimann (Svizzera, 2020, 20m)
Premio SONY – migliore fotografia
MY UPSIDE DOWN WORLD (di Elena Goatelli e Angel Esteban – Italia, 2021, 70’)
Dopo aver gareggiato per tutta la vita e aver vinto quasi tutto quello che c’era da vincere, Angelika Rainer decide di abbandonare le gare e rimettersi in gioco in un viaggio personale alla riscoperta di sé stessa, del rapporto con il passato e con la natura. Davanti alle pareti di roccia e di ghiaccio più difficili al mondo, la climber affronta il momento di riflessione sulla sua carriera, alla ricerca di nuovi stimoli e nuove vie da percorrere, in libertà.
Menzione: “My upside down world”, la realtà vista a testa in giù, sfidando le leggi della gravità: appesa ad una roccia o a una piccozza da ghiaccio cercando l’equilibrio perfetto per non cadere. Il punto di vista è insolito, quello di questo documentario biografico sulla vita dell’arrampicatrice italiana, Angelika Rainer (che abbandona le gare per rimettersi in gioco in un viaggio personale alla riscoperta di sé stessa) è quello di un mondo capovolto, ma riesce con naturalezza ad avvicinare lo spettatore a una realtà appassionante, sì dal punto di vista sportivo ma soprattutto umano, andando oltre il classico racconto biografico.
Un racconto che non stanca e non allontana ma avvince e coinvolge mescolando armoniosamente e con equilibrio le immagini spettacolari delle pareti di roccia e di ghiaccio più difficili al mondo (dalla The Blue Cave in Islanda alla Odyssey in Grecia) a quelle dei trofei in bacheca della “Regina del ghiaccio”; foto e filmati di repertorio di strutture artificiali, competizioni e gare con intime riprese dei momenti in casa con il compagno o delle passeggiare con la madre tra gli splendidi paesaggi dell’Alto Adige”. Agli Sherpa l’Oscar Agli Sherpa l’Oscar