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50 anni fa l’epico Parallelo Thöni-Stenmark di Ortisei

La ricostruzione di quella indimenticabile giornata del giornalista Lorenzo Fabiano, la stessa penna che ha contribuito alla realizzazione del docu-Film sulla Valanga Azzurra

Magari era solo un po’ invidioso di Eupalla, che cinque anni prima alla mitologia del calcio aveva consegnato Italia-Germania 4-3 nel santuario dell’Azteca di Città del Messico.

Chissà, forse Scio, la divinità della neve, non volle essere da meno. «Adesso ve la combino per bene io l’epica dello sci. Anch’io voglio il mio Giorno dei Giorni», deve aver pensato mentre saliva in seggiovia sull’Olimpo a consultarsi con Zeus. Via libera, e fu di parola. Perché quello che accadde il 23 marzo del 1975 sul pendio del Ronc di Ortisei, fu davvero qualcosa di incredibile, imponderabile e irripetibile: una sceneggiatura degna del teatro dell’assurdo. 

A sugello della stagione, per la prima volta venne inserito uno slalom parallelo che negli intendimenti della Fis altro non doveva essere che una passerella finale per celebrare i campioni a giochi fatti. Nulla più che una festa di fine annata. Nessuno, ma proprio nessuno, poteva prevedere che, all’apparenza la più insignificante delle gare, divenne invece uno spareggio per assegnare la Coppa del Mondo del 1975. 

Successe che in tre, Gustavo Thoeni, Ingemar Stenmark e Franz Klammer

si presentarono al giorno dell’epilogo a parità di punti, 240 a testa. E così quel giorno divenne una resa dei conti da film western, neanche ci fosse dietro la regia di Sergio Leone. Ortisei come Tombstone, insomma. A dire il vero, le premesse c’erano tutte, in quanto quella stagione fu rocambolesca sin dall’inizio, in un susseguo di ribaltoni e contro ribaltoni fino al gran colpo di scena finale.

Un copione perfetto. Pierino Gros, detentore della Coppa, partì fortissimo, tanto da vincere cinque gare. Sembrava essere sulla via giusta, ma poi il buon Piero si perse nelle nebbie del gigante di Fulpmes e da quel momento non gliene andò più dritta una fino a rimanere tagliato fuori da una corsa che divenne un affare a tre tra Thoeni, Stenmark e Klammer.

Gustavo, in difficoltà in avvio, ritrovò il successo nello slalom di Chamonix e realizzò due capolavori:

il secondo posto a tre millesimi da Klammer nella discesa di Kitzbühel e l’incredibile rimonta (un remake dello slalom mondiale di St Moritz l’anno prima) nella seconda manche nello slalom di Sun Valley, vittoria che gli consentì di agganciare Stenmark in vetta alla classifica.

Ma, va detto, furono le tre combinate che si aggiudicò, Lauberhorn, Hahnenkamm e Kandahar, a tenerlo nella partita. Lo svedese, che il 17 dicembre del 1974 aveva festeggiato sulla 3Tre di Madonna di Campiglio la sua prima vittoria in Coppa del Mondo, ci prese gusto e ne infilò altre quattro; Klammer era imbattibile in discesa, ne vinse ben otto su nove. L’unica che gli andò storta fu a Megève, quando perse un attacco e rimase a secco. Altrimenti, staremmo a raccontare una storia diversa. 

Si arrivò così all’atto finale in Val Gardena, il parallelo su Ronc in una prima domenica di primavera

che fu un capriccio degli dèi. Fu, tra l’altro, uno scontro tra Hermann Nogler, gardenese, ex cittì azzurro esautorato dopo le infelici Olimpiadi del 1968 a Grenoble, l’uomo che scoprì Stenmark quando aveva tredici anni e che lo avrebbe seguito tutta la carriera, e quella volpe di Mario Cotelli che sul campo di battaglia mise una precisa strategia di gruppo.  «Oggi si lavora di squadra, tutti per Gustavo!».

L’attesa era spasmodica, la Val Gardena fu presa d’assalto da 45.000 persone con un tifo da Curva Sud; fu la prima volta che una gara di sci venne coperta da uno sponsor, la Parmalat, che investì una ventina di milioni di lire per tappezzare il pendio di striscioni col suo marchio. Forse, quel 23 marzo di mezzo secolo fa lo sci divenne davvero uno sport di massa che varcò i cancelli della modernità.

La corruzione, si sa, è vecchia quanto l’uomo, e volle la sua parte.

La storiella l’avrebbe raccontata Mario Cotelli quarant’anni dopo: Helmuth Schmalzl, alla sua ultima gara della carriera proprio davanti a casa sua e opposto al primo turno a Klammer, nella immediata vigilia è avvicinato da persone vicine alla casa che forniva gli sci all’austriaco che gli fecero delle avances per farsi da parte e dar via libera al suo avversario.

Cosa che un gentiluomo come Helmuth non prese neanche in lontana considerazione; lui fece la sua gara, ma fu lo stesso Klammer a uscire da solo. La partita si restringeva ora a due, tra Gustavo Thoeni e Ingemar Stenmark, il campionissimo e l’astro nascente che pochi giorni prima aveva compiuto 19 anni e aveva invitato lo stesso Gustavo alla sua festicciola nella stube dell’Hotel Adler a Ortisei. 

Dal miele si passò al peperoncino nei quarti di finale quando scoppiò il putiferio.

Stenmark, opposto al polacco Jan Bachleda, suo amico e compagno di allenamenti, si incartò aggrovigliandosi a un palo. I quarantacinquemila della torcida, e l’incontenibile Cotelli coi galloni del capopopolo, esplosero di fronte a quella che pareva essere un’inforcata.

Un’illusione. Non era così.  Dopo un’estenuante attesa, fu la moviola (la prozia del Var) a chiarire come Stenmark con un prodigio fosse riuscito a far ruotare lo sci attorno al palo e a passare regolarmente. Nella manche di ritorno, Bachleda aveva tuttavia un vantaggio tale da potersi permettere di scendere con uno sci solo, ma non trovò di meglio che andarsene via per funghi a metà tracciato.

Apriti cielo, Cotelli schiumava rabbia e partirono scambi di accuse con Nogler. Nessuno era santo quel giorno, se pensiamo che, quando si trovò ad affrontare Thoeni, Tino Pietrogiovanna si fermò alla terza porta… e su, e dai.  

Nel 1995 a Bormio, l’anno della Coppa di Alberto Tomba, Sciare ripropose la rivincita di quel mitico giorno di vent’anni prima (vinse Stenmark). Al centro la Signora Spadafora titolare delal Silvy Tricot

Si arrivò così, in un clima rovente, all’atto finale ormai scontato tra Thoeni e Stenmark.

Il primo per la quarta Coppa del Mondo e la leggenda, il secondo per la prima e aprire quindi una nuova era.

Tensione a mille. Gustavo, catechizzato dai saggi consigli di Oreste Peccedi, scattò fuori dal cancelletto come una furia per costringere il suo giovane rivale a rincorrere; in ritardo, lo svedese recuperò terreno fino ad affiancare l’azzurro, ma chiese troppo a se stesso, esagerò, e a tre porte dal traguardo saltò. Tripudio e spumante a fiumi.

Gustav e Ingo assieme ai loro tecnici Mario Cotelli ed Ermanno Noegtler

La Coppa del Mondo era di Gustavo, la sua quarta e la quinta dell’epopea della Valanga Azzurra; per lo scettro Stenmark avrebbe dovuto attendere un altro anno. Calò così il sipario sul Ronc, una pista oggi fantasma che come sue antiche vestigia mostra oggi giusto i piloni dello skilift, e sul Giorno dei Giorni escogitato da Scio. Più che un Dio, un Diavolo.