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Wengen Lauberhorn, com’è nato e le chiavi della gara

Un breve tuffo nel passato (con le foto di Pentaphoto) per celebrare il Lauberhorn di Wengen, ricordare com’è nato e quali sono le chiavi della gara. Anzi della discesa maratona!

A Wengen viveva Ernst Gertsch, un geniale ex telegrafista che stava cercando di incentivare il turismo invernale del suo paese. L’idea è quella di organizzare una grande manifestazione internazionale. Sull’esempio della cugina Mürren che aveva già fatto un grande salto di qualità sul piano turistico, grazie al Kandahar (sotto, scopri che cos’è).

Così chiede aiuto al Downhill Only Ski Club, all’associazione turistica, agli albergatori. Lo ottiene e si mette al lavoro. Dal 1930, per quarant’anni, quest’ometto piccolo, intelligente, vulcanico, sarà l’anima e il cuore del concorso del Lauberhorn di Wengen.

La pista scelta da Gertsch è ancora oggi, pur con le leggere modifiche intervenute nel tempo, un sontuoso palcoscenico della discesa. Eccolo dunque ai nostri piedi il Lauberhonrn di Wengen, un serpentone di 4300 m di pista nobile per il primato della lunghezza. E perché, pur non essendo mai stata pista di grande difficoltà, comprende comunque diversi punti dove si balla per decine di secondi.

Detiene sempre il primato della lunghezza 4260 m e del dislivello 1020 tra le grandi piste del grande sci. È ancora la maratona delle discese quella del Lauberhorn di Wengen. Una discesa che succhia tutte le forze e che porta gli atleti verso il traguardo con le gambe provate come su nessun altro percorso.

Se a Kitzbühel ti si rivolta lo stomaco – ha detto una volta Christian Ghedina, vincitore per due volte sul Lauberhorn

– a Wengen ti si prosciugano le energie. Arrivi alla “Esse” finale dopo oltre due minuti di corsa. Se non sei più che preparato le gambe si rifiutano di seguirti e rischi di farti veramente male”.

Wengen Si trova nell’Oberland bernese nel fantastico panorama dominato dalla Jungfrau. Dall’Eiger e dal Mönch questo monumento della specialità regina dello sci alpino. “Assieme alla Streif di Kitzbühel, si legge sul libro “La Leggenda dello Sci Alpino” scritto da Massimo Di Marco – tra il 1928 il 1931 con l’Arlberg-Kandahar, il Lauberhorn e l’Hanhnenkamm lo sci alpino ha costruito le sue piramidi”.

È un’immagine felice che riesce perfettamente a definire il rilievo storico di questi tre monumenti. Posti alla base della tradizione agonistica  dello sci da discesa (All’epoca la Stelvio di Bormio non esisteva ancora).

La sua caratteristica dominante resta la lunghezza con una prima parte molto veloce, l’acuto dell’Hundschopf,  con la Minsch Kante a ruota ed un’ultima interessante bella sfuriata di curva e contro curva all’arrivo, dove un bravo sciatore riesce a rosicchiare tempo.

Per il resto gran sfoggio di scorrevolezza e di capacità da grandi glisseur. Quando la pista abbandona il crinale lasciandosi l’Eiger alle spalle, se ne va a cercare uno spazio angusto che si infila tra le rocce, per passare: è L’Hundschopf, testa di cane in italiano, perché ne assume le sembianze.

A chi lo vede per la prima volta questo passaggio fa un certo effetto: una striscia di pista stretta a lato da un roccione e protetta da una rete dall’altro per non rischiare di finire dello strapiombo. Il punto cruciale concentrato in un centinaio di metri dove la velocità di entrata viene accuratamente dosata dalla curva rotonda di avvicinamento all’Hundschopf. Curva che è spesso causa di grossi guai, perché sempre ghiacciata e innaturale, tanto è vero che è una delle poche curve in libera con l’apertura di punta.

Il salto dell’Hundschopf è fatto per dare spettacolo; il parco di osservazione è lì, sul faccione di sinistra che per l’occasione si gonfia di pubblico come un grappolo d’api quando sciama.

Gli atleti che volano sul vuoto fanno venire veramente i brividi. Pur entrando a velocità controllata il salto è sempre molto lungo ed alto e negli anni di poca neve si va inevitabilmente ad alterare là dove è meno ripido.

A parte le possibili conseguenze di un atterraggio in piano, subito sotto c’è la Minsch Kante che attende e sancisce implacabile i lavori mal fatti. È sufficiente un errore di linea per presentarsi sullo spigolo di Minsch con gli sci ancora da girare per incorrere in grossi guai.

A titolo di cronaca è utile sapere che Jos Minsch era un campione svizzero noto oltre che per la sua bravura, anche per la sigaretta che infilava alla partenza sotto il casco per poterla avere subito a portata di mano all’arrivo.

È probabile che su questa pista sia riuscito a fumarla poche volte visto il punto commemorativo espressamente dedicato.

Bisogna riconoscere che sia l’Hundschopf e la curvona che lo precede, sia la Minsch Kante con la diagonale che la segue, non sono solo punti di spettacolo ma chiavi importanti per giungere veloci a quelle stradine, apparentemente banali, ma nella sostanza particolarmente insidiose, che portano al tunnel.

In questo tratto si racchiudono in pochi secondi tanti ostacoli differenti quanti non ne presentano certe piste, lungo un tracciato intero.

Saper disegnare una linea perfetta su questo tratto significa avere buona spinta fino al tunnel. All’entrata dell’Hundschopf l’influsso della prima curva deve ormai essere messo fuori causa così come di fronte alla Minsch Kante le conseguenze del salto devono essere terminate e gli sci sapere esattamente quale linea seguire.

Nel tratto successivo non resta più gran cosa sul piano strettamente tecnico se non l’impegno dopo lo scorrimento della stradina e del passaggio sotto il tunnel della ferrovia, a sostenere l’alta velocità (fino a 140 km/h) all’Hanneggschuss.

Infine la prova finale, questa sì molto tecnica, dove una curva a destra e una controcurva a sinistra con salto proiettano direttamente sotto lo striscione del traguardo.

È la degna conclusione da affrontare con grande sapienza tattica, della pista maratona.

Qui purtroppo il Lauberhorn ha fatto una vittima. Era 18 gennaio 1991 quando l’austriaco Gernot Reinstadler, nato a Jerzen (Tirolo), il 24 agosto  1970 ha affrontato la “Esse” con il pettorale 44. Bene la curva destra, poi nel cambio degli spigoli per impostare la contro curva a sinistra lo sbilanciamento fatale. Lo sci esterno che sembra perdere contatto con la neve.

E l’impossibilità di chiudere l’ultima traiettoria. Gernot esce troppo largo dal salto, e in volo, senza più il controllo di sé, non riesce ad evitare le reti di protezione, dove i suoi ci si incastrano in un impatto micidiale. Quando atterra pesantemente sulla neve il suo corpo appare già inanimato. A nulla valgono i soccorsi.


Che cos’è il Kandahar

Non è il caso qui di rifare la storia di sir Arnold lunn. Quel geniale pioniere inglese che nel 1928 insieme all’austriaco Hannes Schneider ha inventato il concorso sciistico dell’Arlberg-Kandahar.

La gara che collegava il risultato della discesa all’ordine di partenza dello slalom e da cui scaturiva una classifica combinata.

La gara che fino all’avvento della coppa del mondo, quindi per 40 anni, è stata il faro dell’agonismo di vertice. Mache proprio la nuova creatura ha assorbito dissolvendola

interrompendola per sempre nel 1970, ultimissima edizione disputata a Garmisch già all’interno dello scheletro del moderno circuito internazionale inventato da Serge Lang.

La disputa del Kandahar era assegnata ad anni alterni a Mürren (Svizzera) a St.Anton (Austria), a Garmisch (Germania) e a Sestriere (Italia).

Questo fatto (nobile ma tale da non legare indissolubilmente la gara ad una località) e la formula (anacronistica per il nuovo sci che avanza tra gli anni ‘60 ‘70) hanno determinato la fine del Kandahar.

Che però in tutti quegli anni aveva costruito un mito e a sua immagine e somiglianza infatti sono state costruite le altre due piramidi della storia dello sci alpino.

Appunto il concorso del Lauberhorn di Wengen e il concorso dell’Hahnenkamm di Kitzbühel.

Ma questi due sono ancora oggi pilastri inamovibili del calendario della Coppa del Mondo. Proprio perché,al contrario del Kandahar, hanno costruito una identità indissolubile tra manifestazione e località.

E perché, fin dall’inizio, la loro formula di svolgimento non prevedeva un legame vincolante tra la discesa e lo slalom, come nel Kandahar.

In Svizzera il primo sci club era nato nel 1900 nell’Oberland Bernese. Negli anni 20 a Wengen la ferrovia a cremagliera che raggiungeva la vetta della Jungfrau con la necessità di poter scendere solo con gli sci, aveva spinto alla nascita del “Downhill Only Ski Club”.

 

About the author

Marco Di Marco

Nasce a Milano tre anni addietro il primo numero di Sciare (1 dicembre 1966). A sette anni il padre Massimo (fondatore di Sciare) lo porta a vedere i Campionati Italiani di sci alpino. C’era tutta la Valanga Azzurra. Torna a casa e decide che non c’è niente di più bello dello sci. A 14 anni fa il fattorino per la redazione, a 16 si occupa di una rubrica dedicata agli adesivi, a 19 entra in redazione, a 21 fa lo slalom tra l’attrezzatura e la Coppa del Mondo. Nel 1987 inventa la Guida Tecnica all’Acquisto, nel 1988 la rivista OnBoard di snowboard. Nel 1997 crea il sito www.sciaremag.it, nel 1998 assieme a Giulio Rossi dà vita alla Fis Carving Cup. Dopo 8 Mondiali e 5 Olimpiadi, nel 2001 diventa Direttore della Rivista, ruolo che riveste anche oggi. Il Collegio dei maestri di sci del Veneto lo ha nominato Maestro di Sci ad Honorem (ottobre ’23).