Cronaca di una giornata indimenticabile, di un 27 febbraio che evidentemente porta bene allo sci azzurro, se è vero che le sole altre gare olimpiche disputate in questa data sono state lo slalom maschile di Calgary nel 1988 (e chi non si ricorda come finì vada a leggersi la storia dello sci) e quello di Lillehammer nel 1994 (idem come sopra). Nevica, anzi piove, anzi nevica, o piove? Chissà; sia come sia, basta uscire per bagnarsi, ci si bagna anche se dal cielo non cade nulla, l’igrometro segna 100% di umidità. La pista della gara maschile che chiuderà questi Giochi, lo slalom, è stata accorciata, partenza dal «via» delle donne. Il motivo? Per prepararla al meglio con gli idranti e poi il sale è meglio sia più corta. Ok. Via, il primo a calarsi è Silvan Zurbriggen, poi tocca a Kostelic e Raich, che va forte, e avanti, fino alla prima emozione per noi, il numero 8 di Manfred Mölgg. Inutile dire che ci sia tensione nella squadra italiana, non tanto negli atleti quanto nello staff, tutti fanno finta di niente ma insomma, se anche stavolta si chiuderà con zero medaglie sarà dura andare avanti, i processi si sprecheranno eccetera eccetera. Ma non pensiamoci. Manfred va. Va bene, sul piano è sciolto e fila come deve, Manuela al parterre lo segue tesissima, ha le guance bagnate (ma non è la pioggia) quando lui taglia il traguardo ed è terzo, a pochi centesimi da Raich. Alé, bravo «Manni». La pista rovina? Boh, forse sì, forse no, dipende da chi scende. Col 9 lo sloveno Valencic fa la manche della vita, miglior tempo, quando se ne rende conto non esulta nemmeno e sbianca, come se sentisse già la tensione della seconda manche. Numero 13 in partenza. Razzoli Giuliano Italia. Si alzano alte le bandiere del fan club, sono venuti in 25 guidati dal papà, avevano prenotato già in estate, volo, biglietti e alloggio. E se non ti fossi qualificato? avevamo chiesto a Giuliano alla vigilia. «E beh, saremmo venuti lo stesso a farci una vacanza!». Ma che vacanza, Giuliano è in pista e va come un razzo, anzi come un Razzoli. Tutti gli altri erano lì a centesimi, lui li massacra. Sul piano in alto fa paura, ha un’altra marcia, ma questo si sapeva. Però continua con sicurezza, è centrale, solido come una roccia. Traguardo, meno 0,43 su Valencic. Wow!!! Che manche, ragazzi, che manche! Lui sorride, soddisfatto di sé, senza particolare enfasi, alla Razzoli, insomma, pacato, gentile, educato, nulla fuori posto. Ma bello, bellissimo. Esce dal parterre, si ferma un attimo per le interviste tv e poi passa come un fulmine davanti ai giornalisti schierati: «Dopo ragazzi, dopo, scusate eh, ma vado!». Vai, vai, vai dove vuoi, ma torna eh! La manche continua e dopo il primo gruppo la pista sembra cedere decisamente, o forse sono quelli al via che non riescono più a sciare.Escono uno dietro all’altro gli americani Ligety, Miller e Cochran, poi tocca agli altri due italiani, che non lasciano il segno. Thaler fatica nelle buche e Deville esce. Col 37 stupisce Ondrej Bank, il ceco, che si piazza sesto 1 centesimo dietro a Manfred Mölgg, quinto a 0”90 con davanti, oltre al «Razzo» e a Valencic, anche Raich e Kostelic. Fra la due manches Giuliano sta nei locali adibiti a skiroom, tranquillo, con gli altri, mangia qualcosa («Ma non tortelli, no!»), fa esercizi di allungamento e rilassamento. Poi torna, fa la ricognizione, il tracciato dell’austriaco sembra più stretto e tortuoso ma lui non si preoccupa. «Era tranquillissimo», diranno in coro alla fine tutti quelli che gli sono stati vicini in quelle lunghe ore di pausa. Seconda manche. Ha smesso di piovere o di nevicare ma non di essere umido, il cielo però è più chiaro, si vede bene. Non c’è più la nebbia, ma c’è la tensione, quella sì. Per l’Italia, l’Austria, la Francia di Lizeroux (8°) e anche il Canada (che ha Janyk e Cousineau piazzati) è l’ultima chance di fare medaglia in questi Giochi. A chi andrà bene? Beh, siccome sappiamo già tutti come è andata a finire, vi risparmio la cronaca della seconda manche, della lunga attesa, andiamo direttamente alla prova di Manfred Mölgg, partito quando in testa si era piazzato, dopo una prova eccezionale, lo svedese André Myhrer, 10° a metà gara. Manfred sembra subito meno veloce nella parte alta, scia poi bene quella centrale e fa qualche errorino nel finale, chiude ma è terzo, dietro anche a Hirscher. Manuela si rilassa. È andata, peccato Manni. Avanti il prossimo, è Kostelic. Fantastico, veramente fantastico, preciso, centrale, pulito, la pista sembra liscia per lui. Myhrer è battuto, lui esulta, ma non esagera, ne mancano ancora tre. Raich è il primo. Ha nei piedi la sorte di una squadra, di una Nazione che mai nella storia olimpica è rimasta a secco di medaglie nello sci alpino maschile. Via, parte bene Benni, ma poi sbaglia, va lungo, si pianta, è nel piano, addio sogni. Arriva, terzo… di un soffio davanti a Hirscher, spera, ma sa già cosa lo aspetta, si dispera. Ecco Valencic, il cui destino sembra segnato. È ancora bravo lo sloveno, ma non abbastanza. Non sbaglia, ma scende pianino. Quinto. È il momento. Il momento di Giuliano. Parte, deciso, una meraviglia, il vantaggio di 57/100 diventa 67/100 al primo intermedio, un sogno, vai Giuliano vai, meno 0,57, sei fantastico Giulietto, sei il Dio del piano, ecco il cambio di pendenza, stai su eh, stai su per carità, e attento a dove gira di più, ecco, bene, così, vai mollali ora, mollali che è fatta, è fatta, è fatta!!! È fatta. È oro: meno 0,16… aiuto! che pochi, ma era stanco in fondo o chissà cosa, ma chi se ne importa? Ha vinto, per sé, per l’Italia, per la squadra, per tutti quelli che hanno sofferto e lavorato con lui. Eccoli che scendono in processione, sventolando le bandiere che avevano messo nello zaino, si spera sempre no? Il dopo gara è il solito, tv, podio, fiori, conferenza, dove in un buon inglese, con frasi preparate forse per l’occasione, Giuliano risponde all’unica domanda concessa a giornalisti stranieri: «This was my dream since a long time, this is the best thing of my life». Poi lo stress dell’antidoping e via, al villaggio a farsi una doccia, cambiarsi, poi a Medal Plaza, il podio, la medaglia (ricevuta da Mario Pescante) e l’inno. «Il momento più duro, lo ammetto. Mi è venuta la tremarella».
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