Non è una gara come tutte le altre. Non c’è Adelboden che tenga, la Gran Risa è un’altra cosa, perché sa andare anche al di là della competizione stessa. Inizi a vivere questa atmosfera così particolare da quando arrivi dinnanzi all’hotel e scendi dall’auto! Per qualsiasi gigantista è la gara più attesa, figuriamoci per un italiano. Vieni investito da una carica emotiva, da un’attenzione e da una concentrazione diverse rispetto a ogni altra gara. E dentro di te non c’è mai uno stato d’ansia perché ti senti a casa, riconosci un sacco di persone, dai guardia-porte ai lisciatori, dai maestri della stazione ai membri del comitato organizzatore, Marcello e Andy Varallo in primis.
Il clima perfetto per rilassarti ma allo stesso tempo per caricarti al punto giusto, senza metterti sotto pressione. Un mix di emozioni che crea uno status ideale. I tifosi chiudono poi il cerchio: anche loro fanno parte dello show di questo grande evento. Tutto questo ti entra dentro ed è un’arma in più in pista. I Badioti poi ci mettono del loro. Attorno alla gara costruiscono uno show incredibile, consapevoli di essere i registi di un film da oscar, proprio per la popolarità che tale gare ha assunto fin dalla sua prima edizione. Non so come facciano, ma ogni anno c’è qualcosa di nuovo, di esclusivo. Anche per questo per un atleta entrare nell’albo d’oro della gara ha un peso decisamente superiore a qualsiasi altra competizione. Un po’ come per un discesista vincere sulla Streif. Sulla Gran Risa si vive poi un’altra sensazione unica: esci dall’hotel, prendi l’impianto, arrivi in cima, butti la testa dentro al Moritzino, ti mischi a centinaia di sciatori turisti, poi prendi la pista che ti porta in partenza. Quel clima da stadio cessa all’improvviso e ti trovi immerso nel silenzio totale. Ti concentri su quello che vedi: il monitor della gara, il tabellone dei tempi, gli skimen ordinati nelle rispettive piazzuole, i lisciatori divisi in squadre. C’è un gran movimento ma nessuno parla. Tante immagini ti passano davanti, mentre il pensiero è totalmente dedicato alla concentrazione, alla prestazione.
Scene che capitano bene o male in tutte le gare ma qui è diverso. C’è magia. Quando poi metti i bastoncini al di là dell’asticella dello start ti rendi conto che tutta l’Italia sta per tifare per te. In quell’attimo vedi tutto ciò che accade in pista. Quel movimento continuo di lavoro si ferma. Chi mette giù la pala, chi si toglie i guanti o si apre la giacca come per dare più aria al respiro. E appena ti lanci fuori dalla casetta senti un’esplosione. La tua carica si mischia a quella delle gente che tifa per te. Tutto unico, tutto esclusivo. Perfetto per affrontare una pista terribile. Fin da subito ti trovi in una cascata di ghiaccio che si ammorbidisce solo in corrispondenza del grande curvone che invita al lungo schuss finale.
La pista è talmente stretta, anche se ultimamente è stata allagata, che ti fa perfettamente rendere conto della velocità che raggiungi. Nelle prime 15 porte che ti portano all’intermedio devi avere un tempismo esecutivo preciso perché non puoi permetterti di «assaggiare» la situazione. Parti e vai subito forte. Se in quel tratto prendi 4 o 5 decimi, recuperarli poi è difficilissimo. La linea dev’essere stretta, non puoi permetterti di ricercare il ritmo: devi prenderlo subito se no ciao. La sciata è pulita per creare velocità, molti vanno un po’ destra-sinistra con una certa abbondanza, ma è un errore.
Quando scollini nel primo murettino la sciata dev’essere sempre in spinta, mai linee abbondanti. Dal primo rilevamento, curvone verso destra, hai 4 porte di media pendenza per poi affrontare una piccola chicane, che invita a un nuovo muro terribile. Ma prima di affrontarlo, hai quelle 4/5 porte dove pensi di poter tirare un po’ il fiato. Invece se il ritmo si ammorbidisce e diventa più blando sei fregato, perché è un tratto dove chi sa fare velocità crea un notevole gap. Lì il respiro non lo tiri, anzi, il contrario, devi spingere come un dannato. Eccoci alle 16 porte che precedono il curvone. è fondamentale tenere sempre un fine curva con la quota molto alta. Ovvero, dal palo in poi, gli sci devono «calare» nella diagonale andando sempre verso il basso. Guai se gli sci tendono a risalire. Non bisogna ricercare a tutti costi la velocità: qui è più importante trovare il ritmo, la cadenza giusta che non lo trovi se acceleri in un paio di porte per poi sbagliare la terza. Solo un buon timing risulta vincente. Nelle ultime due porte, in corrispondenza dellla lunga (il famoso curvone) che devi fare sul piede sinistro bisogna fare molta attenzione. In TV si vede poco: c’è un aumento del ripido su un terreno in lieve contropendenza.
Lo sci sinistro si carica tantissimo e qualche problemino te lo crea sempre. è il passaggio più tattico. Hirscher l’anno scorso si era accorto che stava per affrontata in ritardo, perché aveva perso la traiettoria ideale nelle porte precedenti. D’istinto credo abbia pensato: meglio «grattare» qualche porta prima, ma arrivare lì con la giusta linea che mi permette di creare la massima velocità. Strategia perfetta. Io invece una volta lì ci ho lasciato la vittoria, finendo in terra sci incrociato. La ricordo come fosse ieri! Dalla curva al traguardo inizia un’altra gara. Oggi ci sono le tre gobbe del Ciatt, dove bisogna essere svegli e scaltri, soprattutto sulla prima, perché è molto accentuata. Qui si deve sciare con la massima pulizia d’azione abbinata a un costante collegamento da una curva all’altra, se è richiesto, ma sempre in conduzione, cercando di mantenere la velocità. Il resto è una danza che ti porta al traguardo. Una gara che ti apre il cuore!
GUARDA na delle vittorie di Max Blardone, quella del 2008
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