Vi raccontiamo per filo e per segno il rapporto che esiste tra Davide e Federica Brignone, ovvero due anime gemelle. Per andare a fondo di questo, per una volta abbiamo evitato di interpellare Federica e preferito torturare un po’ Davide. Perché sappiamo che è un buono (ma no fesso) e che ci avrebbe dato conto.
Davide Brignone ha 26 anni. Ha fatto l’atleta, vivendo spesso nell’inferno degli infortuni. Per lui qualche apparizione in Coppa Europa e la consapevolezza che gli acciacchi fisici non l’avrebbero portato lontano. A fine 2016 ha mandato le sue gare alla malora. “Eh sì, fin da quando ero piccolo non ho avuto molta fortuna con la salute, andavo anche bene, ma quando le cose si sono fatte serie, cioè dal quarto anno Giovani, le mie ginocchia mi hanno abbandonato!
Non sono mai riuscito ad allenarmi con continuità e passavo più tempo con il fisioterapista che con l’allenatore”. Quel mondo delle gare che sembrava diventato un incubo è lo stesso che ora lo fa impazzire di gioia. “Non esageriamo, diciamo che mi diverto tantissimo assieme a Federica. Ci piace stare assieme e assieme stiamo davvero bene. Un rapporto sano, semplice e carico di emozioni”.
Com’è nata l’idea?
Nel 2016 mi ero allenato in estate con tutte le intenzioni di fare ancora un anno da atleta, ma quando sono iniziate le gare non stavo benissimo. In realtà non andavo così male, tant’è vero che sono stato convocato per le tappe italiane di Coppa Europa, ma il giorno della gara mi svegliavo e avevo male, non facevo nemmeno riscaldamento. Uscire nella prima manche era quasi un sollievo. Da considerare che ero da solo, cioè non inserito in una squadra. Andavo in giro per conto mio. Allora mi son detto: Davide, hai 23 anni, senza un vero progetto agonistico o obiettivi quantomeno da tentare, smettila lì.
E cos’hai fatto?
Ero già maestro di sci, così nelle vacanze di Natale mi sono messo a insegnare. In quel periodo, Federica non stava andando per niente bene. Anzi era abbastanza in crisi. A parte i risultati, stava crollando a livello mentale. Diceva: “Non sto bene, non ce la faccio più, meglio finirla qui…”.
Addirittura finirla lì?
Si capiva che era uno sfogo, ma non riusciva proprio a uscirne. Era caduta al Sestriere e andata male nei due giganti di Semmering: fuori nel primo, nona nel secondo. Poi caduta anche a Maribor… Era distrutta!
Cos’è che non funzionava, testa o gambe?
La prima opzione. Può capitare nella carriera di un atleta. Sono situazioni che sfuggono alla razionalità. Sai, nello sci tutto può cambiare in un istante. In una manche puoi essere la migliore del mondo, e in quella dopo una mezza calzetta. E quando capita, la psiche dello sciatore salta per aria. Non è facile gestire queste situazioni. Sei convinto di essere bravo, poi nella manche successiva pensi l’esatto contrario, faccio schifo!
Così è venuta fuori l’idea di seguirla…
Sinceramente non ricordo di preciso se me lo ha chiesto lei o gliel’ho proposto io. Diciamo che ne abbiamo parlato in famiglia e poi ce lo siamo detti assieme. Tipo, va beh, dai, al prossimo allenamento vengo anch’io.
Correva il giorno?
Primi di gennaio del 2017. Pozza di Fassa. Qualcuno della squadra c’era, ma praticamente sciava da sola. Il mio lavoro con Fede è iniziato lì.
Ma cosa sei andato a fare? Giusto per starle un po’ vicino?
Esatto, ho pensato che la mia vicinanza avrebbe potuto aiutarla. Credo questo, perché io sono fatto così: se ho vicino una persona che mi ispira totale fiducia e con la quale sto bene, mi confido e mi confronto, mi fa piacere fare qualsiasi cosa. Dallo sport alle vacanze o una semplice cena. Io non sono partito con l’intenzione di lavorare con mia sorella. Non era proprio questa l’idea. Ero a casa. Per fare il maestro di sci avevo tempo. Mi son detto, ok dai, sto un po’ con lei e vediamo se cambia qualcosa, se posso aiutarla.
Prima che iniziasse tutto questo il vostro rapporto com’era?
Ci vedevamo pochissimo, anche se fin da piccoli siamo sempre stati molto legati. Andavamo proprio d’accordo, a parte il periodo dell’adolescenza, quando tre anni di differenza si facevano sentire un po’ di più. Anche quando facevo l’atleta, vivevo la sua carriera e in generale tutte le gare di sci (e di molti altri sport per la verità) con molto entusiasmo. Mi coinvolgevano tantissimo. Pur se ero in giro a far gare, non me ne perdevo una. Finita la manche dovevo subito informarmi per sapere come stava andando. Insomma ci sentivamo regolarmente, ma ci vedevamo molto poco.
E quando eravate a casa ti chiedeva pareri sulla sua crescita agonistica?
No, consigli mai. D’altra parte io avevo la mia carriera, lei la sua. Eravamo su due binari che non potevano incrociarsi.
Torniamo a quel primo allenamento in Val di Fassa…
I primi giorni ricordo di averla trovata bene. Era serena e io, son sincero, mi sentivo gasato all’inverosimile! Stava sciando benissimo.
E dunque non l’hai più mollata…
Siamo andati assieme ad Altenmarkt, ma annullarono le gare. Poi ci fu Garmisch, ma io rimasi a casa. Non era previsto che io girassi con lei. Quel primo approccio era solo per tenerle un po’ compagnia e basta. Invece siamo andati assieme a Kronplatz.
Dove Fede ha vinto!
Esatto. Aveva il 14, per la prima volta da tempo in gigante era finita fuori dalle top 7. In testa dopo la prima manche, vittoria dopo la seconda!
E le hai detto: per forza hai vinto, c’ero io…
Ah ah ah… Assolutamente no! Non sono proprio fatto così, anzi. Le vittorie sono solo sue.
Non vi siete detti nemmeno, beh dai, la cosa funziona?
Mah, non proprio. Ricordo solo molto bene che dopo la prima manche io ero convintissimo che potesse farcela. Siamo stati tutto il tempo assieme, a parlare del più e del meno. Insomma andò proprio tutto bene.
Però poi avete deciso di stare sempre assieme.
Sì, ce lo siamo detti. Andiamo avanti così. Da Kronplatz in poi fece una stagione eccezionale, chiusa ad Aspen con il trionfo nell’ultimo gigante.
Ma all’inizio cosa facevi di particolare per lei?
Allora, diciamo che io sono un allenatore, quindi le passo dei consigli dal punto di vista tecnico. Ma la cosa più importante è un’altra. Avere una persona vicino, indipendentemente che sia il fratello o non abbia alcuna parentela, che tiene molto a te, ai tuoi risultati, al tuo star bene, dà sicurezza a un atleta. Sarebbe la stessa cosa in qualsiasi ambito. Fede ed io vogliamo vedere la stessa cosa e quattro occhi vedono senz’altro meglio di due.
Quanto peso hai nei suoi successi?
Guarda, tutto quello che arriva appartiene a Federica e basta. Le cose difficili le fa soltanto lei. Perché è lei che tira fuori i bastoni e si getta giù. Però è come se fossimo in due. La serenità e la carica che evidentemente le trasmetto se le porta dietro in gara. Quindi se vinciamo siamo in due, se perdiamo siamo in due. La faccia però è una sola. La sua.
Anche all’interno dello staff tecnico della squadra è così?
La situazione è questa: Fede lavora assieme alla squadra, quindi con i tecnici il fisioterapista, il dottore comuni a tutti. Io e il suo skiman Mauro Sbardellotto, siamo dedicati solo a lei. I giorni e i ritmi di allenamento sono gli stessi delle altre atlete e si lavora sempre con i medesimi obiettivi.
E tu come sei visto e considerato lì dentro?
Ammetto che la mia è una posizione anomala, un ruolo non codificabile. Posizione che ha subito diverse evoluzioni dal primo giorno a oggi. I primi tempi ero visto proprio come il fratello arrivato per sostenere la sorella un po’ in crisi. Dopo tre anni tutti si sono resi conto che io non sono qui per fare il fratello o il suo porta sci. Sono qui per lavorare col massimo impegno. Insomma, pur non essendo la mia una figura convenzionale, è anche vero che nel circuito ci sono diverse situazioni analoghe.
Ti riferisci a mamma Shiffrin?
Non è l’unica. Ora si è ritirato, ma Hirscher e il padre? Kristoffersen e il padre? Ilka Stuhec e la mamma? Petra Vlhova e il fratello? Liensberger e la mamma? Gisin e la sorella? Potrei andare avanti…
Come ti ha accettato la squadra?
All’inizio è stato abbastanza complicato, sia per me che per Fede. Senza troppi giri di parole, non mi volevano. Mi era stato detto in tutti i modi che non ero benvoluto e non dovevo più stare con loro. E così ho fatto. Viaggiavo da solo organizzando le mie trasferte e mi arrangiavo anche per dormire e per avere gli accrediti. Mi dicevano persino di non andarla a trovare in albergo al pomeriggio. Questo per un anno e mezzo, nel quale ho avuto il sostegno della Rossignol, di Infront e del Coni, in occasione dell’Olimpiade coreana.
Il vero motivo per cui non eri bene accetto te lo hanno detto?
Sì certo, il motivo ufficiale era questo: “Beh, se tutti dovessero fare così…”. Da una parte è comprensibile. Se ogni atleta si porta il suo allenatore o il suo staff la squadra e la federazione non hanno senso di esistere. Però qui stiamo parlando di un’atleta già totalmente affermata, ed è stata lei a esprimere questa volontà. E poi non c’è mai stata un’interferenza di nessun tipo.
E dopo il primo anno e mezzo?
Tutto cambiato. Dall’anno scorso posso stare nel suo hotel. Federica ed io dormiamo nella stessa camera. Ho l’accredito come Federazione italiana e da questa stagione sono coinvolto anche con lo staff tecnico. Nel senso che ho anche io la radio in pista, faccio video con loro e mi rapporto con gli allenatori. Intendiamoci, non faccio parte dell’organico tecnico, ma sono una persona aggiunta, sempre disposta a dare una mano. E non solo a Federica. Non porto i pali soltanto per lei.
Ci sono mai stati attriti con i tecnici?
Mai.
E se non fossero arrivati i risultati?
Non sarebbe cambiato nulla, credo. Avrebbe deciso comunque solo Federica. Mi sembra però che questo non sia successo.
Dunque ora va tutto a gonfie vele.
Sai, non diamo fastidio a nessuno e rimaniamo nel rispetto del lavoro di tutti, soprattutto delle altre atlete. Non mi sono mai permesso di intromettermi da nessuna parte. Tantomeno in disquisizioni tecniche o comportamentali. Sono sempre stato semplicemente al mio posto.
Resti ancora con lei perché senza di te non renderebbe al massimo o per semplice abitudine?
Non lo so. Spero la prima ipotesi. Comunque sia l’obiettivo è che Federica Brignone vada più forte possibile. E io lavoro per lei proprio per questo. Anche lei è convinta che la mia presenza sia importante tanto è vero che investe dei soldi per pagarmi stipendiato e spese.
Ci sarà pur un coordinamento con Rulfi e gli altri!
Certamente. Mi hanno messo in mano una radio anche per questo. Perché a Fede arrivi un solo messaggio. Comunque tengo a precisare che non sono a disposizione solo di mia sorella. Mi è capitato di portare pali e aiutare a tracciare percorsi che Fede non ha neanche fatto.
Te lo chiedono loro?
Certamente no, sanno che io sono qui per Fede e pagato da Fede. Ma tra allenatori esiste un legame umano che esula da qualsiasi altra situazione. E a me non fa altro che un grandissimo piacere dare una mano. Non mi spaventa lavorare. Mi spaventa il contrario.
Torniamo al vostro rapporto. Sappiamo che Fede non è un tipo proprio tranquillo. Come ti rapporti con lei quando le va storto qualcosa e se la guardi negli occhi ti arriva un fulmine addosso?
Ah guarda, ho provato diverse tecniche. E ti dirò, ho anche studiato. Letto diversi libri di psicologia e comportamento. Ho incontrato anche alcuni professionisti esperti di queste cose. Alla fin fine dipende sempre dalla situazione. In alcuni casi è meglio prenderla subito di petto, in altri è preferibile non dirle una parola e farla sbollire. Più che altro perché non mi ascolterebbe nemmeno.
Questo le è servito?
Ne sono assolutamente convinto. Ma devo dire che è servito anche a me. Perché predicare bene e razzolare male non porterebbe ad alcun risultato. Di certo non mi ha mai detto: “Senti da che pulpito…”.
Non dirmi allora che fai anche tu la vita da atleta?
Beh, non riuscirei, però mi alleno continuamente, in palestra, in strada, sugli sci…
Dopo tre anni cosa pensi di aver trasmesso di più a Federica?
Anche se sono più giovane di lei, la mia presenza credo l’abbia aiutata a maturare come donna. Non per un aspetto in particolare o per un qualcosa che le ho detto. Ho notato una grande differenza caratteriale in quest’ultimi anni. Sa gestire meglio ogni situazione, sia positiva che negativa. Non si fa più influenzare da cose che magari un tempo la tormentavano. Di conseguenza anch’io ho imparato molto da Federica. Starle vicino è davvero stimolante e gratificante.
Ci sarà stato però almeno una volta un litigio tra di voi. Se no che diamine di fratello e sorella siete?
Poche volte, ma sì, è successo. Discussioni più che altro sullo sci, non dal punto di vista tecnico, ma dell’atteggiamento. Però mai da dover arrivare a far pace. Fede ed io siamo in simbiosi totale. Non ce n’è. In camera siamo disordinati e ci sopportiamo senza problemi, con qualcun altro magari la cosa darebbe più fastidio!
Ti è mai capitato di mancare a una sua gara?
Dalle preolimpiche in Corea, stagione 2016/2017, mai.
Se dovesse accadere? Tragedie?
Ma va, cosa vuoi che succeda! Fede sarebbe senz’altro bravissima anche senza di me. Dispiacerebbe più a me, perché stare lì alle gare è divertente da morire, davvero entusiasmante.
Ninna e Daniele non intervengono mai nelle vostre faccende?
Nel rapporto tra Federica e me, assolutamente mai. Se ci dicono qualcosa è perché glielo chiediamo noi. D’altra parte se non chiedessimo consigli a due genitori così, saremmo proprio degli stupidi. Detto questo i nostri genitori sono molti presenti nelle nostre vite, pur non essendo per niente oppressivi. E in questo lo sci non ha nulla a che fare.
Quando Federica deciderà di appendere gli sci al chiodo, tornerai a fare il maestro di sci?
Ci ho pensato, ma non lo so, anzi, credo proprio di no. Sto vivendo questa esperienza con così tanto entusiasmo e trasporto che forse questa è la vita che voglio. Se faccio 6 al Superenalotto, il mattino dopo sono in partenza della gara e non su un‘isoletta del Pacifico. Aspetta, ti conosco, vuoi chiedermi se continuerei a seguire qualche altra atleta. Diciamo che inizierei ad alzare le antenne. Però sinceramente il mio futuro dopo Fede non l’ho ancora progettato.
Ma questo lavoro che nome ha?
Quando mi chiedono, scusa ma tu che lavoro fai? rispondo così: sono un allenatore e il fratello di Fede. Insomma fare il fratello di Federica ha un lato affettivo e uno professionale. Amore e lavoro. Che poi sia complicato spiegarlo non ci sono dubbi.
Accidenti, però questo condizionerà sicuramente anche un po’ la tua vita privata.
La condiziona moltissimo. Fede poi fa tutte le discipline e non può fermarsi mai un attimo. Però io non ci penso. La fidanzata, il cinema, il convenzionale arriveranno dopo. Sono ancora giovane.
Anche perché facendo la stessa vita dell’atleta di un ambiente abbastanza chiuso, non è che ti si aprano così tante possibilità.
Vero, ma io vivo la situazione in maniera molto serena e divertita. In realtà si pensa che questa vita sia da nababbi. Giri il mondo, tendenzialmente begli alberghi, gente che ti acclama… In realtà questo è un mondo piccolissimo. Sempre le stesse persone, per anni, atleti e allenatori, addetti della Fis e delle aziende. Momenti di svago non ne esistono. Vedi una persona duecento volte in un anno, ma di lui non sai un bel niente. Non c’è tempo per approfondire amicizie.
Un’ultima cosa: avete mai progettato Fede e tu, la conquista della Coppa del Mondo?
Sì.
Questo percorso lo state seguendo o quello che viene, viene?
Quello che viene, viene. Abbiamo una linea di base ma non riteniamo di doverla seguire ad ogni costo. Almeno non in maniera scientifica come fa invece Mikaela Shiffrin.
Sarebbe impossibile?
Sarebbe un inferno.
A fine Coppa ognuno per la sua strada?
Scherzi? Andiamo al mare assieme, con la tavola da surf sotto il braccio!
Vi piace così tanto il surf?
In estate molto più dello sci!
Cosa?
… la linea che cade…