L’elicottero che si alza con il medico e l’atleta appesi a una corda, ancora un infortunio, ancora questa brutta scena. Dentro a quella barella, infagottata, c’è la povera austriaca Elisabeth Reisinger.
È arrivata nel punto più critico e difficile della pista, una curva verso sinistra condotta ad alta velocità con un inizio di compressione, un poco arretrata. Per tenere la linea ha dovuto inclinarsi troppo e poi il classico tentativo di tirarsi su col ginocchio che va da una parte e il corpo dall’altra.
È probabile che questo sia accaduto a Elisabeth. Che appena si è infilata nelle reti per concludere la sua corsa, ha lanciato urla di dolore tremende. Sono entrate dentro il cervello di tutti. Ancora più forti di quelle che ancora oggi echeggiano nella valle di Albertville a firma Deborah Compagnoni.
Abbiamo perso il conto sul numero degli infortuni quest’anno. Però abbiamo un dato inequivocabile. basta guardare l’ordine di partenza di oggi: 47 atlete al via. Tra atlete al pronto soccorso, che sono ancora in ospedale, o dal fisioterapista. E tra atlete che si tolgono il pettorale a pochi minuti dal via o quelle che comunque scendono in piedi perché sono appena rientrate da un infortunio. La scena non è per niente bella.
L’incidente di Elisabeth, classe ’96 (7a a Bansko) non è stato provocato da un terreno o una pista, in generale, troppo pericolosa. Capita. Nello sci capita. È la somma dei legamenti partiti che spaventa. O di altri infortuni, come quello di Sofia Goggia al braccio.
Molta gente dovrebbe iniziare a porsi più di una domanda. E oltre a darsi delle risposte, magari dovrebbe provvedere a studiare anche qualche soluzione.