Mondo Head, l’evoluzione degli scarponi, la raccontano Macciò e Cenedesi. Dopo aver scoperto il mondo attacchi Head e Tyrolia con la visita del centro produttivo austriaco di Schwechat, ci spostiamo in Italia nel distretto trevigiano dello scarpone e più precisamente ad Altivole dove ha sede il centro ricerca e sviluppo Head.
La storia di Head nel mondo degli scarponi inizia proprio qui, quando nel 1990 il marchio austriaco acquistò il calzaturificio Brixia che era proprietario e produceva i marchi storici Munari e San Marco. Poi, per logiche commerciali, nel 1997, la collezione San Marco diventò definitivamente Head.
A farci da guida in questo nuovo viaggio saranno Corrado Macciò e Alberto Cenedesi responsabile di Head per la divisione scarponi.
A livello di ricerca e di evoluzione dello scarpone da sci sia Head, sia le aziende da cui è stato ereditato il DNA sono sempre state all’avanguardia. Basti pensare che Munari già nel lontanissimo 1939 proponeva i suoi scarponi da sci con doppia allacciatura (interna per permettere di adattare il piede alla scarpa da sci, indipendentemente dal collo del piede, mentre l’allacciatura esterna a zig zag dava al piede, grazie al fatto di essere tutta verso l’alto, un punto d’appoggio).
Nel 1955, sempre Munari, mise a punto lo scarpone Master composto da ben 375 elementi diversi. Scarpone che, grazie alla vittoria di Toni Sailer alle Olimpiadi di Cortina del 1956, diventò il modello più ricercato dagli sciatori.
A metà degli anni sessanta, fecero la loro prima comparsa i ganci in metallo per la chiusura, mentre alla fine di quel decennio iniziò la grande rivoluzione chiamata comunemente «plastica», in un primo tempo con il cuoio plastificato per arrivare al 1966 quando, ai Campionati Mondiali di Portillo in Cile, fecero il loro debutto ufficiale in pista i primi scarponi interamente in plastica.
A questo proposito, andando a consultare gli archivi di Sciare nel numero di Marzo del 1967, abbiamo trovato un articolo sull’evoluzione dello scarpone di cui riportiamo un interessante quanto premonitore passaggio.
«L’avvenire degli scarponi e nella plastica? All’inizio dell’ultima stagione invernale avevamo posto questa domanda ai più importanti industriali calzaturieri della zona di Montebelluna. Le risposte erano state divergenti: qualcuno aveva parlato delle innumerevoli possibilità della plastica; altri avevano esaltato le funzioni del cuoio.
Fra le varie prese di posizioni, però, era apparsa particolarmente significativa quella di Santo Tessaro, del Calzaturificio San Marco: «Le scarpe del Duemila – ci aveva detto – potrebbero essere anche in plastica: ormai si sono studiate delle soluzioni, per cui la plastica è indeformabile. Però mancano molti anni al Duemila…».
Riconsiderate in prospettiva, queste parole sembrano il preannuncio della sensazionale novità presentata dalla San Marco al MIAS, un prototipo interamente in plastica. Tale prototipo è stato realizzato sulla base delle prime esperienze fatte col «fondo ad iniezione».
Il modello San Marco si pone sulla linea della più assoluta avanguardia e segue, in un certo senso, l’opera della Lange che ha lanciato con molto successo, in America , uno scarpone interamente in plastica, ad un prezzo molto elevato.
Contrariamente alle previsioni, questo modello ha trovato un grande pubblico, in America, che non ha badato al costo, pur di impiegare lo scarpone-novità. D’altra parte, questo primo esperimento ha dissipato molti dubbi, che si avevano in passato, sulla versatilità della plastica, per gli scarponi da sci.
La nuova evoluzione dei sistemi di costruzione comporterà, per l’industria specializzata, delle inevitabili conseguenze. Gli scarponi in plastica, infatti, richiedono una sostanziale trasformazione rispetto ai metodi tradizionali di lavorazione.
I costi maggiori si concentreranno sugli stampi, che raggiungono cifre di molti milioni. Questo obbligherà, naturalmente, i fabbricanti a concentrare la produzione su pochi modelli, che dovranno essere prodotti in quantità notevoli, per consentire l’ammortizzamento del costo degli stampi.
«In effetti – ci dice Cenedesi – la grande rivoluzione che ha interessato lo scarpone è stato il passaggio dal cuoio alla plastica, sia in termini di performance sia per quanto riguarda tutto il processo produttivo e tutta l’organizzazione aziendale.
Questa riflessione ci dà l’opportunità di entrare nel nostro mondo e di spiegare l’evoluzione, quali siano le caratteristiche degli scarponi, il loro funzionamento, come si sono adattati all’evoluzione tecnica, e quanto hanno influenzato la stessa. Gli studi di tutti questi anni si sono concentrati principalmente su due aspetti: aiutare lo sciatore a migliorare la propria performance e riuscire a coniugare performance e comfort di calzata.
L’introduzione dello scarpone “di plastica” diede la possibilità agli sciatori di migliorare le loro performance molto rapidamente. Infatti questo nuovo strumento permetteva un maggior controllo degli sci aiutando anche a mantenere l’equilibrio facendo meno sforzo fisico.
La problematica era che a causa dei materiali utilizzati, l’ancora scarsa capacità di anatomizzare i prodotti, gli stessi risultavano molto poco confortevoli e in molti casi molto dolorosi da calzare e utilizzare.
Da questo momento iniziò l’atavica lotta tra l’uomo ed il suo scarpone e furono coniate frasi celebri quali “il momento migliore della mia giornata sulla neve è quando mi tolgo gli scarponi”…
Cercando di risolvere questo problema nel corso di questi decenni abbiamo visto anche soluzioni molto creative che vennero chiamate rivoluzioni, tipo gli scarponi a calzata posteriore oppure gli scarponi “soft”, ma che rivoluzioni non furono perché dopo un po’ di stagioni si ritornò all’idea originale che tutt’oggi con le migliorie e le evoluzioni ci consentono di avere scarponi tecnici e allo stesso tempo confortevoli».
Dopo questa doverosa introduzione ci prepariamo a scoprire i segreti dello scarpone. Alla prossima puntata!
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